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Il governo indiano ha ufficialmente incriminato Arundhati Roy
Martedì 11 ottobre diversi media indiani, ripresi poi anche da Reuters, hanno riportato che Vinai Kumar Saxena, vicegovernatore del Territorio della Capitale Delhi (gigantesca area metropolitana che comprende la città e i territori circostanti), ha confermato le accuse a carico della scrittrice – vincitrice del Booker Prize nel 1997 con Il dio delle piccole cose – e attivista indiana Arundhati Roy, risalenti al 2010. Insieme a lei è stato incriminato anche il professore di diritto internazionale all’università del Kashmir Sheikh Showkat Hussain, il quale si era espresso in favore di Roy all’epoca dei fatti. Il New York Times ha riportato che una portavoce della polizia di Nuova Delhi ha spiegato che le accuse sono state “approvate”, una procedura che nel Paese è prevista per alcuni tipi di reato.
Le accuse sono di aver utilizzato un linguaggio provocatorio e di aver promosso la secessione del Kashmir. Nel 2010 l’autrice partecipò a una conferenza a Nuova Delhi dal titolo “Freedom – the Only Way” che aveva come tema centrale il Kashmir, una regione da secoli contesa tra India e Pakistan e per la quale sono state combattute due guerre. In quel periodo nel Kashmir erano state organizzate varie proteste contro l’uccisione da parte della polizia indiana di un 17enne. Solo quell’anno, durante le proteste, morirono 120 persone. In un articolo per il New York Times, Roy denunciò le violenze e i soprusi della polizia. In diverse interviste, anche in occasione della conferenza, la scrittrice parlò della frattura a suo avviso insanabile tra India e Kashmir, aggiungendo che a fare del Kashmir una realtà diversa dalle regioni dell’India era stato lo stesso governo indiano.
In tanti si chiedono a cosa sia dovuto questo nuovo e improvviso interessamento al caso di Roy, ben 13 anni dopo le sue dichiarazioni. Potrebbe avere a che fare con la posizione apertamente critica dell’attivista nei confronti dell’attuale governo di Narendra Modi, suggerisce il Guardian. Negli ultimi anni il Primo ministro indiano è stato accusato da varie organizzazioni per i diritti umani di portare avanti politiche che limitano la libertà di espressione e volte a criminalizzare il lavoro degli attivisti. Dal 2014, il primo anno del governo Modi, a oggi, l’India è passata da essere il 141esimo Paese per libertà di espressione alla 160esima posizione, riporta il Guardian.