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Giada Biaggi vuole celebrare il funerale del patriarcato

Gli ospiti del suo nuovo vodcast, Daddy Issue, disponibile dal 20 febbraio, sono rigorosamente uomini over cinquanta con la tendenza a tradirsi da soli durante la conversazione.

di Studio

«Una macchina da guerra glitterata contro il patriarcato»: così si autodefinisce Daddy Issue, il nuovo vodcast Feltrinelli firmato dalla comica e scrittrice Giada Biaggi, disponibile da giovedì 20 febbraio. Come si può evincere dal titolo, la figura del daddy è al centro di questo progetto: nel cuore di ogni puntata, che si apre con un monologo e finisce con il racconto del funerale di un uomo famoso, c’è un’intervista di Biaggi a un “daddy” italiano, rigorosamente over cinquanta (si comincia con Fausto Brizzi, Giuseppe Civati, Diego Passoni, Piero Chiambretti e Walter Siti). Abbiamo chiesto a lei di raccontarcelo.

ⓢ Perché un vodcast sugli uomini over 50?
Perché sono un’ossessione collettiva. E, come tutte le ossessioni collettive, andavano dissezionate con una certa dose di sadismo intellettuale. Gli uomini di mezza età sono il centro di tutto: del potere, della nostalgia culturale, dell’erotismo, dell’imminente fine del mondo. Daddy Issue è nato come una risposta, ma soprattutto come una provocazione. Ho sempre trovato irresistibile il modo in cui questi uomini, convinti di essere padroni del mondo, si tradiscono da soli in pochi minuti di conversazione; nella vita privata come in quella professionale. Non ho dovuto neanche chiederli: «Ma secondo te il patriarcato esiste?», perché so già che mi risponderebbero con un «Eh, ma non tutti gli uomini…» e da lì, boom, esplosione. Mi limito a creare il contesto giusto, con un tocco di surreale, e loro fanno il resto. Insomma queste interviste sono un documentario di National Geographic sul maschio bianco urbanizzato dopo il #MeToo, che pensa di aver superato il trauma dopo che ha iniziato ad andare in terapia.

ⓢ L’estetica è molto curata.
Assolutamente. Daddy Issue non è un vodcast che puoi relegare a sottofondo mentre lavi i piatti – non è intrattenimento funzionale. Con la produzione di Feltrinelli abbiamo curato ogni dettaglio: il set è di Fornasetti, le grafiche sono più concettuali di un seminario su Roland Barthes, e ogni look è una narrazione. Non posso accettare che l’intrattenimento intelligente debba per forza avere la stessa estetica spoglia di un coworking di Milano Est, dove tutti bevono caffè filtrato e nessuno ha mai riso in vita sua. Daddy Issue è glamour, è provocazione ed è l’equivalente visivo di un messaggio inaspettato di un ex che ti scrive alle due di notte con un “pensavo a te”: disturbante, ma impossibile da ignorare.

ⓢ Perchè i funerali chiudono l’episodio?
Ho davvero provato a essere una persona semplice. Davvero. Mi sono detta: “Giada, potresti fare un podcast lineare, parlare di cose normali, magari evitare di inserire monologhi verbosi e funerali glamour”. Ma niente. Sono complex. Ecco perché i funerali alla fine di ogni episodio: avrei potuto chiudere con un bel messaggio di speranza, con un riassunto empatico… ma no. Dovevo decostruire il patriarcato nel suo ultimo grande atto pubblico. I funerali sono il momento in cui il daddy smette di parlare (lol) e il mondo decide come ricordarlo – e lì inizia il vero spettacolo. Perché il potere maschile non muore mai del tutto, si trasforma in mito, in statua, in “era un grande uomo”. E Daddy Issue è qui per guardare tutto questo e chiedersi: ma siamo proprio sicuri che fosse così grande?

 

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ⓢ Sei soddisfatta del risultato?
Daddy Issue è esattamente come l’avevo pensato: troppo, nel modo giusto. E in un panorama in cui la comicità femminile deve sempre scegliere tra “accessibile” e “troppo radicale”, essere troppo è già una forma di resistenza. Mentre tutto diventa più omologato, più digeribile, più safe, ho scelto di fare un progetto che non chiede permesso, che non si spiega, che non si addomestica per stare bene in un algoritmo. Essere indipendenti oggi significa non annacquare la propria voce per entrare meglio nel sistema.

ⓢ Daddy del futuro non italiani?
1. Jeremy Strong: Voglio scoprire se nella vita reale parla come Kendall Roy o se riesce a rilassarsi senza citare Sun Tzu mentre ordina un caffè.

2. Taika Waititi: Un daddy che pensa di essere troppo cool per essere un daddy. Quindi sì, perfetto.

3. Elon Musk: Ma solo per vedere quanto tempo ci mette prima di twittare “Questa intervista è un attacco woke”.

4. Michel Houellebecq: Questo sarebbe l’episodio in cui il patriarcato si autodistrugge in diretta, tra un suo sospiro esistenzialista e il mio tentativo di capire se sta trollando o solo accettando la fine dell’Occidente con la stessa energia di un termosifone spento.

5. Bret Eston Ellis: Sarebbe come un’intervista a Patrick Bateman, ma senza la sicurezza che alla fine sia tutto nella sua testa. Lui parlerebbe con la freddezza di un uomo che ha visto troppi neon e troppa cocaina negli anni ‘80, io cercherei di incastrarlo con domande tipo Ma Bret, secondo te l’uomo di potere esiste ancora o è solo un algoritmo con la faccia di Elon Musk?”. E lui, con uno sguardo glaciale, probabilmente risponderebbe: “Non c’è più differenza”. E a quel punto la puntata finirebbe con me che osservo la telecamera, in silenzio, mentre in sottofondo parte una canzone dei New Order.

ⓢ Come hai scelto gli ospiti?
Ho scelto gli ospiti per un motivo molto semplice e assolutamente non narcisistico: sono tutti miei fan. Non so perché, ma ogni uomo over 50 con una carriera pubblica in Italia sembra avere un’ossessione segreta per me. Forse perché gli ricordo la ragazza brillante che li ha ghostati nel 2003, perchè assomiglio a sua figlia o forse perché il daddy ha bisogno di sentirsi osservato. Di stare al centro dell’attenzione, o meglio di qualsiasi attenzione. 

ⓢ Com’è lo stato della comicità femminile in Italia?
La comicità femminile in Italia è ancora vista come un’eccezione, non la norma. Se fai ridere, devi giustificarti: intelligente ma non supponente, pop ma non troppo frivola, sofisticata ma non di nicchia. Gli uomini possono permettersi di essere mediocri, le donne devono essere perfette nonostante il contesto. Va detto che finché il potere resta in mano ai soliti daddy, la comicità femminile sarà sempre un’ospite tollerata, mai la padrona di casa.

ⓢ Ti consideri una femminista?
Sì, ma senza il PowerPoint. Sono una femminista nel senso più puro: credo nella parità, nella libertà di scelta, nel congelamento degli ovuli e nel diritto di smontare il patriarcato con stile. Però non sono qui per fare lezioni accademiche o per trasformare Daddy Issue in un TED Talk sul gender gap. Mi interessa una comicità femminista destrutturata, che non ha bisogno di toni solenni per far passare il messaggio. Non mi vedrete mai dire “Ecco i dati sul femminicidio”, perché il mio modo di fare attivismo è un altro. La mia arma non sono i grafici a torta, è l’ironia.