Se Gerry Scotti fosse nato nell’anno giusto, oggi sarebbe MrBeast. Sarebbe più di MrBeast, perché Gerry Scotti ha capito internet nonostante lo svantaggio generazionale, quindi l’ha capita meglio di uno che ha avuto il privilegio di nascere nel 1998 come Jimmy Donaldson. «Ci sono voluti 68 anni ma alla fine ho capito che il segreto per restare giovani sono i meme, altro che lifting», si legge nella caption di uno dei più apprezzati Reel pubblicati sul suo apprezzatissimo profilo Instagram. Un Reel in cui Scotti si dimostra giovane due volte: lo si vede che abbraccia calorosamente un versione di se stesso ringiovanita dall’intelligenza artificiale, estendendo così il processo di memificazione oltre i limiti dello spazio e del tempo.
Lo zio Gerry, come si è ribattezzato su Instagram (è facile capire perché: se internet è il posto in cui nessuno si dimostra più maturo di un preadolescente, le migliori possibilità di sopravvivenza ce le ha lo zio simpatico) ha appreso istintivamente una lezione che faticano ad apprende anche i nativi internettiani e i professionisti della viralità: non c’è cosa più facile che far ridere su internet. Sono sicuro Scotti non frequenti Reddit, ma questa sua parabola infinitamente ascendente su internet mi ricorda un commento letto anni fa in un thread in cui un tizio chiedeva alla collettività: ma perché voi Millennial non siete capaci di farvi una risata? E un altro tizio gli rispondeva, più o meno: “Bello, la mia generazione passa tutto il suo tempo su internet a ridere coi meme, quindi che cazzo vuoi”.
Ripensavo a questa frase guardando la prima serata di Sanremo, quella in cui Gerry Scotti è stato co-conduttore e grande protagonista. Mi scappava da ridere qualsiasi cosa facesse, qualunque cosa dicesse, proprio come mi succede quando guardo certi meme che ormai hanno senso solo per i Geriatric Millennial come me. Era come vedere in tv una versione animata di Hide the Pain Harold, quel vecchietto diventato immortale grazie a una foto in cui sfoggia un sorriso forzatissimo mentre una mano tiene stretta una tazza e l’altra galleggia sopra la tastiera del pc. Guardavo Scotti a Sanremo, pensavo a Hide the Pain Harold e mi dicevo: questo è un uomo che ha capito i meme come pochissimi altri sono riusciti a capirli.
Scotti ha capito che il meme funziona in tutti i contesti perché è una forma di umorismo che prescinde dal contesto: è un’immagine sotto e una scritta sopra, l’immagine sempre la stessa e la scritta sempre diversa, e se fatto come va fatto fa sempre ridere. Scotti fa, e da adesso farà, sempre ridere perché ha trasformato la sua public persona in un’immagine bidimensionale, il meme di se stesso, e adesso sopra questa immagine può appiccicare qualsiasi scritta mantenendo sempre la certezza che farà ridere. Canticchia la canzone appena eseguita, facendo stizzire Conti perché la cosa costituisce violazione del regolamento del Festival? Fa ridere. Fa battute sul fatto di essere grasso o calvo o vecchio? Fa ridere. Sgomita per consegnare lui i fiori a Elodie, facendo stizzire ancora di più Conti? Fa ridere.
Niente di tutto questo fa ridere in sé, se ridiamo è solo e soltanto perché è Gerry Scotti a dirlo e farlo. Proprio come il meme di Hide the Pain Harold: a prescindere da cosa ci sarà scritto sopra la foto del vecchietto, si ride del vecchietto prima di tutto. Scotti ha capito che far ridere su internet è ridere innanzitutto di sé: è essere un venerato maestro della tv generalista, un professionista che viene pagato il suo peso in oro per ogni programma che fa, un ex deputato del Partito socialista e, nonostante tutto questo, stare su internet come noialtri coglioni qualsiasi. Fare le stesse foto brutte, gli stessi balletti scemi, le stesse gag senza senso. Tutto ciò che non farebbe ridere se solo non fosse Gerry Scotti a farlo, perché lui è Gerry Scotti e nonostante questo ha deciso di partecipare alla Corrida che è internet rispettandone – di più: comprendendone, sposandone – lo spirito. Questa memificazione è cominciata a sua insaputa e a suo discapito. Ma tant’è: adesso sul suo sito c’è un generatore di meme in cui le basi per questo sporco lavoro le fornisce lui, in grande quantità e qualità. Own the process, si dice in inglese.
È lo stesso principio alla base delle seconde giovinezze di altre vecchie glorie come Gianni Morandi, Nino Frassica, Nanni Moretti e Giovanni Storti. Se Morandi ha impersonificato (almeno per un periodo) tutto ciò che internet intendeva con la parole wholesome, Frassica ha svolto (e in parte ancora svolge) lo stesso ruolo per la pratica dello shitposting, Moretti per la post-ironia e Storti per l’ambientalismo social, si può dire che Scotti è un prodotto dell’epoca del cringe. E l’umorismo del cringe è uno che si fonda su un patto tra chi dovrebbe far ridere e chi dovrebbe ridere: è un’intesa, una comune consapevolezza, che rende tanto più divertenti gag e battute che senza non lo sarebbero altrettanto. Ridiamo sia di che con Gerry Scotti e lui ride sia con che di noi che gli veniamo dietro (è tutto propedeutico alla creazione di una fanbase, dunque, di spiriti affini che capiscono la stessa battuta). Fa ridere perché una persona come lui, messa su internet, dovrebbe fare imbarazzo. E allora lui quell’imbarazzo lo porta alle estreme conseguenze, ne fa l’identità di una nuova public persona pensata appositamente per chi appartiene alla generazione che «passa tutto il suo tempo su internet a ridere coi meme».
Questa operazione trasformativa a Scotti è riuscita così bene che da genero che tutti genitori vorrebbero avere è diventato lo zio con il quale tutti i nipoti vorrebbero cazzeggiare. Come sempre capita in queste storie di nuovo e diverso successo, sarebbe facile – oltre che stupido – ridurre tutto al miracolo del Dio di internet, pensare che Scotti benefici di una popolarità ormai accessibile a tutti, che la sua ascesa non sia poi così diversa da quella della Hawk Tuah Girl Haliey Welch. Ma c’è da star sicuri che Scotti non sarà mai così scemo da coniare la sua criptovaluta e a proporla nelle Storie ai più babbioni tra i suoi utenti. Si torna al discorso già fatto: Scotti capisce internet, sa che nessuno lo accuserà mai di essersi venduto né di vendere, a patto che l’obbligo mercantilistico non costringa lui a uscire dal personaggio e il suo pubblico a interrompere la sospensione dell’incredulità.
Dopo aver vinto il prestigioso premio di Personaggio più memato dell’anno ai Meme Awards del 2023, Scotti ha lanciato immediatamente un suo sito personale, nuovo di zecca. Ovviamente c’è uno store: si chiama Bottega Zio Gerry, se cercate un regalo per San Valentino ci trovate dei bellissimi cuscini a forma di cuore, ovviamente rossi, con sopra l’immagine di un ammiccante zio Gerry, in un gesto che quasi quasi fa venire in mente gli idol del K-Pop. Un meme nel meme, dunque, ma soprattutto un microverso nel multiverso: il Gerryverso, lo chiama il suo stesso demiurgo.
E, ancora una volta, per l’ennesima volta, quest’uomo dimostra di aver raggiunto un’intesa profondissima con quella sono certo i suoi consulenti gli hanno detto si chiama community, fanbase quando le cose vanno veramente bene. Non c’è cosa più facile che vendere su internet, a patto di non fare la figura dei venditori. Vendimi teli da mare con sopra ritratto quel momento di Striscia la notizia in cui precipitasti dentro la scrivania, calzini che mi chiedono se “L’accendiamo?”, grembiuli da cucina che citano “Piatto ricco mi ci ficco”. Vendimi tutto ma fammi ridere, entertain me, don’t stop the meme. Compro tutto, tu in cambio però indorami la pillola, fammi un altro Reel in cui mi dai dei consigli per conquistare la mia crush, pubblica un’altra playlist, quella natalizia (“Gerry Christmas“) ci era piaciuta tanto, faccene una per ferragosto.
A Sanremo, Gerry Scotti ha contribuito a dare un altro colpo all’oramai pericolantissimo muro che separa il mondo e internet. È come se avesse dato vita a un’altra delle infinite versioni di sé che esistono su thousandgerry, la pagina Instagram che ogni giorno genera tramite AI una versione diversa dello zio (ovviamente, lo zio ha subito assorbito questa pagina nel sua rete di collaborazioni, dimostrando anche una perfetta comprensione del concetto di collabo). Certo, ora Scotti si trova davanti alla sfida impossibile, quella che nessuno è riuscito a vincere: mantenere il suo universo in perenne e costante espansione. Chissà, dopo averlo presentato, l’anno prossimo a Sanremo potrebbe tornarci per cantare.