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Un fine settimana con uno spacciatore del dark web

Un reportage dalle montagne del Marocco tra piantagioni, corrieri e molti computer, tratto da Gargoyle, raccolta appena pubblicata in Italia da Nero Editions.

di Jake Hanrahan

C’è stato un momento in cui Vice era una delle riviste di riferimento per parlare di politica internazionale. Chi c’era, se lo ricorderà: i suoi reportage “gonzo” (sorta di branca del New Journalism, che unisce i fatti a una visione molto personale e soggettiva della narrazione) avvicinarono moltissimi giovani a leggere di Iraq, Afghanistan, Brasile, e così via. Stava finendo il primo decennio degli anni Zero. Jake Hanrahan era uno dei migliori della sua generazione. Oggi, molti di quei viaggi sono raccolti in Gargoyle. Cronache di guerre, prigioni e rivolte, appena pubblicato da NERO nella nuova collana Iconografie. Iconografie punta a fare chiarezza sui grandi temi dell’attualità mondiale in una chiave pop e originale, con testi dal linguaggio innovativo e dallo sguardo curioso, fuori dai cliché della “letteratura per specialisti” e interessati ad approfondire aspetti a volte insoliti, a volte stravaganti, a volte drammatici dello scenario geopolitico contemporaneo. Pubblichiamo qui il primo reportage: “DALLE MONTAGNE A CASA TUA. Un fine settimana con uno spacciatore del dark web”, uscito nel 2017.

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In mezzo alle montagne del Marocco, un grande edificio in mattoni si ergeva nella conca di una valle. Era notte. Una luce fioca filtrava tra le fessure nei muri senza finestre. Ero in una macchina che scendeva verso l’edificio lungo un sentiero sterrato, in compagnia di un uomo che si faceva chiamare Patrón, «capo» in spagnolo. Ci avevamo messo cinque ore ad arrivare lì, guidando attraverso le montagne su strade a strapiombo disseminate di posti di blocco della gendarmeria. Ogni volta che ci fermavano, i poliziotti aprivano la portiera e stringevano la mano di Patrón. Sfoggiavano sempre grandi sorrisi. «Li pago tutti da qui fino alla costa» aveva detto ridendo Patrón.

Il tragitto in macchina verso la valle mi aveva fatto star male. Le strade asfaltate erano scomparse una decina di chilometri più indietro e l’autista aveva fatto una serie di improvvisi e inutili cambi di direzione «per mandare in tilt qualsiasi dispositivo di tracciamento». Alla fine ci siamo fermati di fronte all’edificio in mattoni e siamo scesi. L’autista ha suonato il clacson e dall’edificio è uscito un uomo in tuta. Ha abbracciato Patrón. Hanno parlato in francese per diversi minuti prima di guidarmi verso una porta di metallo sul davanti. All’interno del modesto edificio in mattoni c’erano sacchi di cannabis grandi come balle di fieno. Erano accatastati fino al soffitto. «Penso che sia circa una tonnellata di erba» ha detto Patrón. Mi sa che aveva più o meno ragione.

Una grande quantità di quell’erba gli apparteneva. Era roba sua. Ma non sarebbe stata venduta per strada – la droga sarebbe stata confezionata in piccoli pacchetti da spedire per posta. Patrón, come aveva affermato lui stesso, non era un gangster. O almeno, non nel senso in cui lo si intende comunemente. Patrón, infatti, è uno spacciatore di droga su larga scala operativo sul dark web. Il dark web è l’internet anonimo nascosto dentro internet a cui si può accedere solo tramite uno speciale software crittografato.
Patrón vende oppio e hashish di alta qualità online e sostiene di guadagnare «circa centomila euro al mese» in Bitcoin. Le sue droghe sono distribuite in tutto il mondo a partire da una cassetta della posta. I postini sono i suoi ignari corrieri. I mercati della droga sul dark web sono nati con il famoso sito Silk Road gestito da tale Dread Pirate Roberts (DPR). L’FBI ha chiuso Silk Road nel 2013 dopo aver arrestato l’uomo che si celava dietro il nickname, identificato nel trentaduenne Ross Ulbricht. All’ex signore della droga del dark web è toccata una sentenza severa: due ergastoli senza condizionale, oltre a venti e quindici anni di carcere aggiuntivi per altri capi d’imputazione, tra cui riciclaggio di denaro, frode informatica, narcotraffico a mezzo internet e associazione a delinquere. L’obiettivo dell’FBI era porre fine alla grande ascesa della vendita di stupefacenti online, ma in realtà non hanno fatto altro che creare un’Idra. Quando esisteva, Silk Road aveva un solo vero concorrente: Black Market Reloaded. Oggi invece ci sono oltre quindici mercati della droga nel dark web, molti dei quali hanno apparati di sicurezza ben più solidi di quello di Silk Road. Si potrebbe affermare che la scena dello spaccio nel dark web non ha mai offerto così tante possibilità.
Per Patrón, che vende i suoi prodotti tramite siti come Hansa Market e AlphaBay, il dark web è un luogo dove può «vendere droga in modo etico».

Come la maggior parte delle persone che fanno parte del giro, non si considera un criminale. «Ci sono criminali e criminali» mi ha detto mentre attraversavamo l’edificio in mattoni diretti verso una stanza sul retro. «Sei un criminale se bevi e poi ti metti alla guida. Sei un criminale se corri in macchina. Sei un criminale se hai il cancro e decidi di procurarti della cannabis per alleviare il dolore… Penso che invece di lasciare decidere al governo cosa è giusto e cosa sbagliato, ciascuno di noi dovrebbe deciderlo da sé». Si era fermato per accendersi una sigaretta, cosa che faceva a intervalli di pochi minuti. Quando non fumava, stava svapando da una sigaretta elettronica. «Tramite il dark web aiutiamo le persone a ottenere ciò che vogliono in modo sicuro e protetto. Così non sono costretti ad andare da uno spacciatore di eroina in qualche vicolo per strada – gli permettiamo di starsene sul divano e farsi consegnare la droga».

Anche se a prima vista Patrón non sembra il tipo di persona a cui piace farsi chiamare «boss», questo per lui era un vantaggio. Vederlo interagire con i suoi soci in affari lì in mezzo alle montagne era educativo. Un attimo prima era la persona più carismatica nella stanza, quello dopo era serio e distaccato, persino freddo. Cambiava modo di fare molto rapidamente. E però, più parlavamo, più sembrava, in fondo, un po’ un nerd. Un nerd duro, certo: ma comunque un nerd. Era sinceramente affascinato dalla sicurezza informatica, dai computer, dalla tecnologia, dall’hardware. All’inizio della giornata, per esempio, mentre camminavamo lungo i moli di una città sulla costa del Marocco, Patrón mi aveva indicato i motoscafi della guardia costiera. Ne conosceva tutti i nomi, i modelli, i motori che montavano, quanto potevano andare veloce e che tipo di agenti li usavano. Patrón non era uno spacciatore che era finito per caso nel mondo del dark web, ma un tizio del dark web che era finito nel mondo dello spaccio. È forse questo che gli permette di rimanere un passo avanti rispetto alle autorità.

Nel retro dell’edificio, Patrón ha preso un sacco da cui ha tirato fuori diversi chili di hashish pressato e tre sacchetti di shake. Lo shake è cannabis macinata per ottenere una polvere molto sottile. È costoso. «Eccoci» ha detto. «Questa è la mia prossima spedizione. Tra poco arriva con il resto della squadra». La sua squadra è un gruppo che lui chiama Cartel Norte Africa (CNA) o Cartello del Nord Africa. Il CNA è un piccolo gruppo di spagnoli e berberi guidato da Patrón. Lavorano sia in Marocco che in Spagna. Con l’aiuto del CNA, Patrón riesce a far contrabbandare il suo prodotto dal Nord Africa in Europa, da dove viene poi distribuito in tutto il mondo a partire dagli ordini che il gruppo riceve sul dark web.

«Al momento faccio spedizioni da un quarto di tonnellata – duecentocinquanta chili ciascuna» spiega Patrón. «Dipende da quello che vogliono i clienti, ma facciamo circa due spedizioni al mese». Patrón mi spiega che, anche se guadagna un bel po’ di soldi da tutto questo, non è affatto un uomo ricco. «Vivo bene, ma devo pagare tutta la squadra. Devo pagare il mio personale di sicurezza, i contadini, i contrabbandieri – tutti. Voglio che tutti abbiano la loro parte. Ma è per questo che lavoro con questi ragazzi qui: per ottenere un prodotto di qualità a un prezzo equo. Queste fattorie lavorano da generazioni».

Patrón apre un sacchetto di shake. L’odore invade l’intera stanza. «Una volta che le piante sono adulte, vengono tagliate, essiccate e viene preparato lo shake e l’hashish. Poi lo trasportiamo usando una flotta di veicoli». Una volta che i panetti di hashish sono stati pressati nell’edificio di mattoni nella valle, Patrón li carica su un camion. Vengono trasportati in una regione costiera del Marocco, dove sono caricati su gommoni rigidi. «I gommoni hanno cinque motori da trecento cavalli circa» mi spiega. «Sono molto veloci. È un casino quando ci sei sopra. È spaventoso. Poi ci dirigiamo verso la Spagna e scarichiamo tutto sulla costa quando arriva». Da lì la droga viene portata in case sicure. Era quella la nostra prossima destinazione. Quella notte abbiamo dormito in un edificio non finito senza riscaldamento – si congelava, ma a quanto pare era «l’unico posto nei dintorni» secondo Patrón.
Ci siamo svegliati presto e abbiamo bevuto caffè. Patrón ha fumato una sfilza di sigarette mentre cercava campo con il telefono. Io mi sono fatto un giro. La nebbia era così fitta che sembrava di stare tra le nuvole. Ho trovato il paraurti di una vecchia automobile in un dirupo in mezzo a bottiglie di birra e cartacce. La targa era polacca. Il resto della macchina era probabilmente a valle, oltre l’orlo del dirupo. Non potevo vederlo per via della nebbia. Non volevo nemmeno rischiare di avvicinarmi troppo al ciglio. Su queste montagne tutto rischia di scomparire. Non c’era nessuno che potesse prestare soccorso nel giro di chilometri. Era il luogo perfetto per il lavoro di Patrón.

Dopo alcune ore, Patrón ha fatto una telefonata e ha deciso che era il momento di lasciare il Marocco. Mi avrebbe mostrato l’altra metà del suo lavoro. Siamo partiti per la Spagna. Ogni volta che arrivavamo in un posto nuovo, Patrón cambiava metodicamente le carte SIM di entrambi i suoi telefoni e le metteva in contenitori speciali capaci di interrompere il segnale. Nascondeva anche uno dei suoi due passaporti (o almeno dei due con cui l’ho visto) in qualunque auto venisse a prenderci. In Spagna, durante un viaggio di tre ore dalla costa a una casa sicura, abbiamo cambiato macchina due volte, la seconda volta sul ciglio di una strada senza lampioni né guardrail. Patrón era paranoico, e a buon diritto. Se lo catturano rischia fino a quindici anni di carcere. «Ok» ha detto a un certo punto, tirando fuori una sigaretta mentre guardava nello specchietto. «Stiamo arrivando al covo». Abbiamo percorso un’oscura strada sterrata in mezzo al nulla, e alla fine ci siamo fermati in un piccolo cortile con alcune case. Due giovani si sono avvicinati e hanno abbracciato Patrón. I tre hanno parlato tra loro in spagnolo. Dopo qualche minuto io e Patrón siamo entrati nella casa, mentre i due uomini si allontanavano da qualche parte nel cortile.

L’interno del covo aveva l’aspetto di un nascondiglio cyberpunk. C’erano diversi computer portatili, cavi sparsi, un enorme televisore a schermo piatto e lettori USB ovunque. C’erano un divano, un tavolo e alcuni avanzi di cibo. Appeso alla parete c’era un fucile da caccia a lunga gittata con un mirino. Ho chiesto a Patrón se gli piacesse andare a caccia. «Sì, mi piace» ha risposto. Una pausa. «Ti dico una cosa, però… se spari a qualcuno con quello gli fai molto male».

Patrón era scomparso in un’altra stanza prima di tornare con un computer portatile e un altro sacchetto. Aveva svuotato il sacchetto sul tavolo: un chilo di hashish Amnez e un grosso panetto di oppio a forma di disco. Ha inserito una chiavetta USB nel computer. Si è acceso. «Uso Tails, vedi». Ha indicato la chiavetta USB. Tails è un sistema operativo che si usa per mante- nere la privacy online. Blocca tutte le connessioni non anonime e obbliga tutte le connessioni in uscita a passare da Tor, un browser pensato per mantenere anonimo l’utente. Chiunque venda droga online senza Tails ha molte più probabilità di farsi beccare.
Dopo aver eseguito l’accesso sui mercati della droga del dark web, Patrón ha controllato gli ordini. Ce n’erano un po’ di nuovi. Gli affari andavano bene. «Ecco qua» ha detto. «Questa tizia vuole dell’hashish. Ti faccio vedere come lavoriamo».

Ha cliccato qua e là e si è acceso un’altra sigaretta. Guardarlo al lavoro nel covo, intento a smaltire gli ordini con il suo computer, era come guardare un bravo meccanico riparare una macchina – era assolutamente nel suo elemento e sapeva quasi istintivamente cosa doveva fare. All’improvviso si è sentito un suono metallico. Era una stampante nell’angolo. Ne era uscita una falsa fattura per un’iscrizione in palestra. Senza dire una parola, Patrón si è messo un paio di guanti da chirurgo, ha preso un coltello dalla tasca della sua giacca e si è diretto a una scrivania in un angolo della stanza. Ha preso la fattura e un panetto di hashish. C’era uno scaldino portatile ai suoi piedi. L’ha acceso e ha infilato il coltello nella griglia di metallo. Ha messo l’hashish su un tagliere e si è acceso un’altra sigaretta, lasciando la precedente ancora non finita nel posacenere. «Guarda» ha detto, facendo una pausa per inalare. «Ok, sì. Sto facendo una cosa che il governo classifica come illegale, ma da un punto di vista morale penso sia perfettamente ragionevole».

Patrón è partito per la tangente mentre aspettava che il coltello si scaldasse. Mi ha raccontato che il suo sogno, alla fine, era di aprire una clinica di qualche tipo – un posto dove fare legalmente trattamenti sperimentali con il CBD (il principio attivo non psicoattivo della cannabis). A quel punto il coltello era caldo. Patrón ha spento la sigaretta mezza fumata e si è messo al lavoro, tagliando a occhio circa un grammo di hashish dal panetto. Poi l’ha avvolto nella pellicola trasparente e l’ha incollato sul retro della fattura, che ha piegato e infilato in una busta da lettere. La droga non si vedeva. «Ecco qui» ha detto ridendo. «Ti arriva nella posta, la apri ed è solo una fattura della palestra».

Forse Patrón è tanto un figlio di internet quanto della guerra alla droga. Seduto nel suo covo, circondato da computer, sigarette e stupefacenti sembrava più a casa che non nelle montagne dove svolgeva la parte più pericolosa del lavoro. Per lui i soldi e lo stile di vita non valgono niente senza la comunità e il cameratismo del dark web. Come mi ha detto lui stesso: «Mi piace quello in cui credeva DPR. Ha creato una nuova cultura». Prima di salutarlo, gli ho chiesto cosa gli piacesse così tanto dei mercati della droga nel dark web dove operava. «In genere, nel dark web, la gente cerca di andare d’accordo» mi ha risposto. «Le dispute si risolvono attraverso gli admin dei siti ed è tutto molto civile. Poi c’è il lavoro di trasporto della droga – la parte che avviene fuori da internet. Pensaci: va avanti dai tempi della vera Via della Seta, ed è ironico che sia cominciato tutto con la violenza – con le guerre dell’Oppio e via dicendo – e che oggi, senza il dark web e Silk Road, finisca tutto con la violenza».