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Non c’è più sesso al cinema, a parte quello queer

Se proviamo a pensare a scene di sesso che hanno fatto scalpore negli ultimi tempi, al cinema e in tv, ci vengono in mente solo scene gay: i rapporti sessuali etero sono diventati noiosi?

di Lorenzo Peroni

Laddove il discorso sull’identità sessuale è diventato centrale, l’atto in sé sembra essere stato accantonato dalle rappresentazioni della narrativa mainstream: se ne parla molto, lo si mostra poco, le immagini sono diventate un campo minato. È di un mese fa la ricerca, commissionata dalla giornalista dell’Economist Rachel Lloyd, in cui si scopre che negli anni 2000 le scene di sesso nei film sarebbero diminuite addirittura del 40 per cento. I più giovani vogliono vedere amicizie e relazioni platoniche, ecco quindi il successo di Heartstopper e il cambio di registro di Sex Education, che da esplicita e brillante, genuinamente sopra le righe e mai paternalista, è stata epurata di tutto l’entusiasmo per il sesso e resa schiava delle borracce sostenibili. C’è la voglia di storie e personaggi aromantici e asessuali (vedi, appunto, Heartstopper). Il sospetto è che gli adolescenti che là fuori stanno facendo sesso proprio in questo momento (sempre meno pare, ma non ne sarei così convinto) non siano un target interessato da serialità e cinema.

Quello che nella cultura massmediale sembra guadagnare più spazio è il sesso queer (gay, lesbico e trans) per target non adolescenziali; prima si è fatto spazio in un torneo tutto suo, a latere, in film di nicchia, d’autore (quelli in cui possono essere mostrati cazzi e culi senza gridare troppo allo scandalo), poi con i cowboy di Ang Lee è entrato ufficialmente a far parte della serie A. Se provate a pensare a scene di sesso o di nudo che hanno fatto parlare negli ultimi tempi vi verranno in mente solo scene gay: le leccatine nella vasca di Barry Keoghan in Saltburn, le slinguazzate tra Josh O’Connor e Mike Faist in Challengers, le avventure tutte matte di Rotting in the Sun (distribuzione Mubi, ovvero film d’autore), i tradimenti tra le coperte in Passages di Ira Sachs con Franz Rogowski e Ben Whishaw, le fellatio tra Andrew Scott e Paul Mescal in All Of Us Strangers, le ciucciate di piedi tra Matt Bomer e Jonathan Bailey in Fellow Travelers, il rimming vacanziero di The White Lotus… Sentirete a breve parlare del sesso bodybuilder di Kristen Stewart in Love Lies Bleeding (esce al cinema il 12 settembre, pare). Perfino in romcom come Bros (di Billy Eichner) o Fire Island non mancano un po’ di movimento e di carne in bella vista, e anche in un film Netflix cippettone come Nuovo Olimpo di Ozpetek si vedono tranquillamente cosce aperte e membri in bella vista.

Il sesso gay quindi intrattiene di più? Quello etero è più noioso? Nei film con amori e avventure eterosessuali le star sembrano meno disposte di un tempo a mettersi in gioco, qualche close up, una mano dietro al collo, una bocca sull’orecchio, uno spicco di chiappa… Quello gay, lesbico e trans invece ancora oggi fa “scalpore”, non è dato per scontato. Al cinema e in tv il sesso etero oggi è percepito come exploitation, uno forma di svilimento, oggettificazione, un qualcosa di non necessario (di “grafico”, come si dice usando un calco dall’inglese “graphic”), perfino brutto. La maggior parte delle attrici hollywoodiane sono paralizzate dalla paura di potersi pentire per una un capezzolo scoperto, autori e registi da quella di essere denunciati (anche ad anni di distanza) o peggio ancora di essere cancellati. Al massimo, per i più coraggiosi, può essere didattico come in Povere Creature!.

Il sesso queer invece sembra essere percepito come una prova di coraggio, validato dalla dignità che prevede l’impegno in una performance attoriale, una sfida da vincere. Anche nelle performance che lambiscono territori pornografici (Paris 05:59: Théo & Hugo, su Mubi; Sauvage) troverà posto una lettura poetica, d’autore. Coltivato in anni di cinema militante, con filmografie nazionali germogliate e fiorite sotto spinte culturali e politiche eterogenee (quella italiana la più arretrata, non a caso), la messa in scena del sesso queer si muove in spazi dai confini dinamici, in direzioni che ci portano lontano dalla norma, con punti di vista eccentrici (lontani dal centro), inediti.

C’è sempre, in questo sesso, un senso di scoperta, di rivalsa, di conoscenza. Il sesso queer all’interno delle narrazioni massmediali è ancora necessario (non può essere quindi epurato) perché ha uno scopo preciso, un intento, quello di definire delle identità: «Un corpo queer», scrive António Fernando Cascais nel suo saggio Corpi queer, film queer in Portogallo (pubblicato nell’Atlante del cinema queer contemporaneo a cura di Andrea Inzerillo, edito da Meltemi), «si materializza come una presenza corporea, narrativa, organica, meccanica». Questo considerando anche il fatto che le nicchie del cinema queer sono state assorbite solo in parte, superficialmente, dal cinema mainstream. Le tendenze più interessanti e autoriali si muovono libere al di fuori delle grandi produzioni, lasciando a un pubblico particolarmente ricettivo e all’erta il compito di scoprirne i frutti (con registi come Christophe Honoré, João Pedro Rodrigues, Craig Boreham). Film impregnati di queerness come Challengers sono invece addomesticati, depotenziati, educati, destinati a un pubblico mainstream, di larghe intese… Un pubblico in buona parte femminile. Non è un fenomeno nuovo, le donne amano le storie gay.

In Giappone il principale evento per gli appassionati di manga è il Comiket, raduno fieristico di dedicato al mondo dei doujinshi, fumetti amatoriali autoprodotti che spesso reinventano gli universi narrativi degli autori professionisti; dall’anno della sua inaugurazione (1975) il settore trainante è quello dedicato a yaoi e shōnen’ai, manga a tematica omosessuale (i primi più spinti, i secondi più romantici, oggi più semplicemente BL, Boy’s Love) disegnati da donne e destinati a un pubblico femminile. In tempi precocissimi è stato quindi istituzionalizzato sia il fenomeno delle fanfiction sia quello che vede le donne come autrici di materiale narrativo frizzantino con protagonisti maschi che amano altri maschi.

Una dinamica editoriale che ha un suo parallelo anche da questa parte di mondo, seppur istituzionalizzato più recentemente, quello dei romance. Un segmento di mercato che ha trovato la sua fortuna grazie a nuovi canali (il web), nuovi supporti (gli ebook), nuove strategie di vendita (il self publishing) e un pubblico di donne bramoso di amori romantici e gioiosamente porcelloni. I primi a sbarcare al cinema sono stati però quelli con trame etero (ovviamente, la supremazia della norma): all’inizio c’è stato 50 sfumature di grigio, oggi The Idea of You (su Prime Video) che trasposto in immagini tralascia però tutte le sconcezze del libro. Con Rosso, bianco & sangue blu – prima un successo editoriale e poi in streaming con il suo adattamento per Prime Video – ecco realizzata in immagini la fantasia di una schiera di spettatrici in cerca di amori kawaii e sexy. Eppure, commedie come Tutti tranne te e Fidanzata in affitto (No Hard Feelings) dimostrano che anche il sesso eterosessuale, quando usato come parte del linguaggio visuale e narrativo (qui quindi come stupido, folle ed esagerato) funziona ancora. Viene quindi da chiedersi se il problema sia davvero il sesso etero o, invece, i registi etero.