Stili di vita | Società
Il bello del treno, nonostante tutto
La rete ferroviaria è piena di problemi, ma l'Italia è un Paese di viaggiatori in treno. Lo dicono i numeri, i libri, le canzoni.

Se ho il telefono pieno di screenshot di posti sperduti nel verde piatto di Google Maps è perché quando sono in treno e vedo una bella campagna fuori dal finestrino apro di scatto Maps, screenshotto la posizione in cui mi trovo, e mi dico che cercherò una casa in quei dintorni. Il famoso e diffuso sogno della casa in campagna dei quasi quarantenni, ma declinato dall’osservatorio della rete ferroviaria italiana. Poi non cerco mai davvero case in quelle zone, perché mi succede quello che succede con il 99 per cento delle foto fatte per ricordarsi: me le dimentico.
Ma, a furia di fare screenshot, certe zone me le ricordo ormai bene. Con il Frecciarossa che va da Milano a Roma, incontro per prima una certa zona di campagna fuori Reggio Emilia, dove tutto è piatto, verde, con le cascine che sembrano rimaste quelle di Bertolucci in Novecento, e mi immagino di comprare quattro bracchetti e andare, d’autunno, a tartufi per faggeti. Poi c’è un momento, tra Firenze e Roma, in cui l’Arno ricompare inaspettato tra colline e boschetti. Ma anche: quando il Frecciabianca per la Maremma passa da Livorno e Castiglioncello, a picco sulla scogliera; il Regionale Veloce tra Messina e Catania, quando passa da Taormina proprio davanti Isola Bella (qui forse non mi potrei permettere niente).
Ho un’amica, italiana, che ha vissuto per anni in America, e da quando è tornata in Italia si meraviglia ancora, e sempre con una gioia cristallina, della straordinaria eterogeneità del territorio italiano, e della sua prossimità ferroviaria: da Milano a Napoli ci passano appena 4 ore di treno, e almeno 3 mondi diversi. Una meraviglia da Linea Verde, ma anche vera. Viaggiare sulla rete Alta velocità da Torino a Napoli è come guardare un documentario, un film di Terrence Malick ambientato sulle rotaie (esagerato? Forse). Il passaggio sul Po, la pianura in Emilia, il climax del tunnel tra Bologna e Firenze che, quando finisce, ecco che il panorama si è arricchito di nuove dimensioni: le colline, la tridimensionalità, finalmente, del paesaggio. Poi Montevarchi, i calanchi rocciosi, e Montepulciano, distese di ruderi di campagna e in primavera prati fioriti che farebbero impazzire Instagram. Anche qui penso: sarebbe bello comprare un rudere, sistemarlo, però ci passerebbe il treno davanti.
Veniamo, dopo tutte queste perdite di tempo, anche ai problemi, all’elemento di cronaca: il 2024 è stato l’anno orribile per le ferrovie italiane, in termini di guasti e ritardi. A inizio 2025, soprattutto, dei guasti alla rete alta velocità a Milano hanno bloccato mezzo Paese per quasi due giorni. Le opposizioni hanno chiesto le dimissioni del Ministro per le infrastrutture Matteo Salvini. Negli stessi giorni, paradossalmente, uno studio di Transport & Environment, un’associazione che unisce le Ong europee che operano nel settore dei trasporti sostenibili, ha premiato Trenitalia come la migliore compagnia ferroviaria d’Europa. Il rapporto è stato celebrato da Fs, ma conclude con una constatazione amara: tutti i servizi ferroviari europei sono inefficienti, e i biglietti sempre più cari non si traducono in servizio di qualità superiore.
L’Italia è un Paese che viaggia sempre di più in treno, com’è normale che sia per un posto così piccolo e con così tante città di dimensione media nel giro di pochi chilometri. Nel 2023 siamo stati la terza nazione europea a movimentare più passeggeri, che hanno percorso in un anno 800 milioni di chilometri (la Germania è nettamente prima, ma il rapporto considera anche i viaggi ferroviari per uscire dal Paese e andare all’estero: ed essere una penisola, in questo calcolo, ha le sue controindicazioni). Altri dati: l’Italia ha una delle rete ferroviarie più elettrificate d’Europa, con una percentuale del 72,4 per cento (terzi, dopo Belgio e Svezia, che hanno un numero di chilometri, però, nettamente inferiore). Il problema è che, fuori dalle linee ad alta velocità, «l’infrastruttura ferroviaria è rimasta più o meno la stessa degli anni Settanta», scrive Isaia Invernizzi sul Post. Tra il 1990 e il 2022, in Italia abbiamo aggiunto 2 mila chilometri di linee ferroviarie a binario doppio o parallelo, ma ne servono molti di più. Perché il traffico passeggeri aumenta di anno in anno, i treni in circolazione sono sempre di più, ma i binari sono sempre gli stessi: e sono troppo trafficati, vecchi e fragili.
È in queste tratte che cresce meglio il folklore e la letteratura ferroviaria, lontano dai Frecciarossa, sulle tratte più trascurate dai governi e dagli investimenti, tra Regionali e Intercity. I Lanzichenecchi senza orologio e «con tatuaggi piuttosto grandi» descritti nel 2023 da Alain Elkann in un’Odissea da Roma a Foggia, via Caserta e Benevento, sono un episodio già storico di giornalismo, nella sua tenerezza senile. Il treno era un Italo, precisa Elkann, che percorreva però una tratta a velocità ridotta (come lo sono rimaste tutte, sotto Napoli). Lucio Corsi, fresco di debutto a Sanremo nel 2025, ai Frecciabianca ha dedicato una canzone nel disco Cosa faremo da grandi? del 2020, in cui parla del treno che da Milano lo porta nella sua Grosseto e viceversa, «che entra dentro le bocche spalancate / delle montagne in Liguria», passando quindi per La Spezia, Chiavari e Genova prima di raddrizzarsi verso la pianura o scendere verso Massa. Il verso più bello con una ferrovia in mezzo rimane forse quello di “Incontro” di Guccini, con l’addio triste all’amica nella stazione di Modena, l’anno il 1972, treno quindi a velocità decisamente ridotta che ci regala l’immagine di «le luci nel buio di case intraviste da un treno». In letteratura ce ne sarebbero parecchi, di passi ferroviari, dal viaggio di Silvestro Ferrauto che da Bologna ridiscende in Sicilia in treno, traghetto compreso, per Conversazione in Sicilia di Vittorini, al Francis Mirkovic protagonista di Zona di Mathias Énard, che porta la sua valigetta piena di segreti di guerre lungo le settecento pagine del tragitto di un Pendolino da Roma a Milano. Forse il più rappresentativo dello stato attuale della Rete ferroviaria è però l’inizio de Lo stadio di Wimbledon, il folgorante esordio di Daniele Del Giudice, quando alla riga dieci il protagonista si sveglia e il suo vicino di posto gli annuncia, ancora lontani dalla destinazione Trieste: «Si è rotto il treno. È meglio andarci a piedi».
Nell’immagine di copertina: una foto di Stefano Guidi, via Getty Images