Abbiamo parlato del 41bis e dell’ergastolo ostativo con Valeria Verdolini, sociologa che insegna Politiche della sicurezza urbana all'Università degli Studi di Milano Bicocca.
Su Facebook i post complottisti su Bucha vanno meglio delle notizie verificate
Secondo una ricerca dell’Institute for Strategic Dialogue (una non-profit indipendente che si occupa di difesa dei diritti umani), i post Facebook che dubitano o negano che a Bucha l’esercito russo abbia compiuto crimini di guerra ottengono un successo sensibilmente maggiore rispetto a quelli che invece si limitano a raccontare i fatti.
I ricercatori dell’Isd hanno cominciato lo studio partendo dai dieci post relativi alla strage di Bucha più condivisi su Facebook in 20 Paesi, e da lì hanno proseguito l’analisi, trovando 55 post che non ritenevano vere le prove delle violenze ai danni dei civili perpetrate dai russi durante l’occupazione del piccolo comune alle porte di Kiev. Questi post sono stati condivisi 208 mila volte nella settimana del 6 aprile. I post che invece parlavano di Bucha ma non mettevano in dubbio che gli ucraini fossero stati vittime di crimini di guerra, invece, sono stati condivisi 172 mila volte.
In un pezzo del Guardian dedicato alla questione, il giornalista Niamh McIntyre scrive che tra i Paesi dell’Unione Europea, post complottisti sono stati trovati in Italia, Austria e Repubblica Ceca. In media, tra tutti i post che menzionano Bucha, i post complottisti sono stati condivisi circa il triplo delle volte rispetto agli altri.
In Austria, il post Facebook riguardante Bucha più condiviso (il terzo più condiviso in Germania, anche) riportava stralci di testo copiati dall’Anti-Spiegel, un organo di stampa filorusso in lingua tedesca. Nel post viene riportata pedissequamente la versione dei fatti inventata dalla propaganda russa: i cittadini di Bucha sarebbero in realtà stati uccisi dai soldati ucraini, una strage perpetrata per vendetta contro la decisione di schierarsi dalla parte dell’esercito russo.
«Nonostante gli sforzi di giornalisti indipendenti presenti a Bucha per smentire tante delle menzogne diffuse da fonti collegate alla Russia, queste bugie sono riuscite comunque a raggiungere un pubblico molto grande», ha detto Francesca Visser, ricercatrice dell’Isd. Secondo Visser, la cosa preoccupante è che i post più popolari sono quelli che mettono in dubbio la veridicità delle immagini di Bucha, e che dalla ricerca emerge una tendenza a credere a certi racconti anche se provengono da fonti note per diffondere falsità. Una rappresentante di Facebook ha commentato la ricerca dicendo che il campione di post preso in considerazione è troppo piccolo e quindi non rappresentativo. «Abbiamo un sistema di fact checking tra i più efficienti e i professionisti che ci aiutano in questo compito hanno smentito moltissime falsità sul massacro di Bucha e lo hanno fatto in lingua inglese, russa e ucraina».