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Per Elon Musk il mondo è un videogioco e lui è il protagonista

Con il sostegno a Donald Trump, la trasformazione di Musk si è compiuta: da genio che avrebbe dovuto salvare il mondo a villain che contribuirà a distruggerlo.

di Giulio Silvano

In un’intervista a Rivista Studio la scrittrice Naomi Alderman, discutendo del suo ultimo libro su tecnomiliardari che si preparano alla fine del mondo, parlava di Elon Musk. Diceva che varie persone che hanno lavorato a strettissimo contatto con lui hanno riportato che l’uomo più ricco del mondo pensa di vivere in una simulazione. Non solo, pensa di esserne il protagonista. Se diamo per assunto che questo sia vero – perché, dopotutto, dovrebbero inventarselo? – si spiega ogni azione recente di Musk e, soprattutto, la sua evoluzione in uomo politico.

«A essere generosi, la civilizzazione, se contiamo a partire dall’invenzione della scrittura, ha sette o ottomila anni», ha detto Musk quando è stato ospite del podcast di Joe Rogan. «Se consideriamo il tasso di miglioramento della civiltà, i videogiochi non sono distinguibili dalla realtà, oppure la civiltà finirà. Una delle due cose. Quindi probabilmente siamo in una simulazione». Musk non è ovviamente il primo a dirlo – ma è il primo ad agire su larga scala usando a suo vantaggio le regole del gioco – e a sentirsi, proprio perché pensa che nulla sia reale, invincibile. Può fare decine di figli – ne ha, almeno riconosciuti, dodici, da donne diverse – può costruire razzi per andare su Marte (che possiamo vedere come un’espansione di questo gioco, una nuova mappa da sbloccare), può chiamare uno dei suoi figli X Æ A-12, può fumare marijuana in diretta, può costruire e vendere lanciafiamme su internet, può impiantare chip nel cervello della gente, può decidere o meno di aiutare l’Ucraina con il suo sistema di satelliti, può commentare le sentenze della magistratura italiana, etc. Se per lui la vita è un videogame, appoggiare Donald J. Trump, e usarlo per arrivare a un potere mai raggiunto prima da un tech bro, è semplicemente il nuovo livello del gioco a cui sta giocando. Dopo varie sidequest, ha sbloccato un nuovo livello: quello di Washington DC.

Due giorni fa il Guardian ha annunciato che lascerà X. Prima del più importante quotidiano inglese erano stati vari gli addii, da Gigi Hadid a Jim Carrey. Ma la distruzione di un’azienda come Twitter – che Musk ha voluto rinominare X, dimostrando arroganza da divinità – può essere vista come un passo verso la vicinanza all’universo Maga. Musk ha trasformato la piattaforma da social dell’informazione, dove i giornalisti davano e prendevano breaking news, dove i politici informavano i loro cittadini sulle loro decisioni, in un luogo anarchico dove proliferano fake news e teorie cospirazioniste. Un favore a Trump e al suo ritorno allo Studio Ovale.

Supporter di Obama, vicino a posizioni progressiste, Musk ha iniziato a condividere istanze che possiamo chiamare di destra con la pandemia, attaccando l’establishment e le restrizioni per prevenire il Covid, fino a partecipare ai comizi di Trump con il cappellino Dark Maga, a regalare soldi ai suoi elettori e ad avere, si sta definendo in queste ore, un ruolo centrale nella prossima amministrazione repubblicana, probabilmente alla guida di un nuovo dipartimento che ha il nome di un meme, il Doge, dedicato a tagliare risorse alla macchina federale. Dopo aver dato a Trump oltre 200 milioni di dollari per la campagna elettorale, Musk non ha mai lasciato Mar-a-Lago dal 5 novembre, partecipando anche alla telefonata tra il Presidente eletto e Zelensky su quella che è la più delicata situazione geopolitica con cui dovrà avere a che fare la destra isolazionista al potere da gennaio. Se il mondo per Musk è Age of Empires, ora lui è vicinissimo alla total domination. Un mondo dove possono convivere un liberalismo vecchiotto à la Ayn Rand e un natalismo quasi eugenetico, i pannelli solari come unica fonte di energia e il taglio dell’organico federale dell’80 per cento, accelerazionismo e teorie complottiste, nativismo e spocchia da Iron Man.

È stato costoso comprarsi i favori di Trump e dei suoi alleati e conquistarsi un posto di rilievo nel governo americano, ma è sicuro che Tesla, Starlink e Space X ci guadagneranno parecchio. Questo se vediamo il cambio ideologico in un’ottica puramente commerciale. Ma c’è un altro modo per vederla, che non nega la prima. In una vecchia puntata dei Simpson ambientata nel futuro, l’occhialuto nerd Milhouse diventa sicuro di sé grazie alla palestra. È ancora bassino e occhialuto, ma con il fisico da forzuto. In un’altra puntata dei Simpson, l’ex compagno di scuola di Marge, l’invisibile Artie, diventato ricco cerca di comprarsi l’amore della moglie di Homer in una parodia di Proposta indecente. L’ex nerd Musk, diventato mega miliardario, che veniva bullizzato a scuola in Sud Africa, rientra perfettamente in quello che i Democratici in questo ciclo elettorale hanno provato a bollare come weird, come strano.

Ma la sua weirdness, a differenza di quella psicopatica trumpiana, contiene così tanti elementi psicologici del secchione vittima – perché brutto, perché visto come diverso dai suoi compagni, perché incapace con le ragazze – da sembrare il personaggio, più che di un videogame, di un film americano ambientato in una high school dei sobborghi. Non si spiegherebbe altrimenti l’evoluzione di un Musk malvestito, flaccido e stempiato ai tempi di PayPal che, diventato palestrato e rinfoltiti i capelli e aggiornato il guardaroba, sfida Mark Zuckerberg a una cage fight al Colosseo. E che adesso tiene per le palle il governo americano. Più che The Sims, La rivincita dei nerd.