Ci mancavano soltanto gli idioti della carne rossa

È una delle più recenti e inquietanti tendenze di internet: i meat influencer, maschi grandi e grossi che sostengono che tutti i problemi del mondo si possono risolvere mangiando solo carne. Al sangue.

20 Marzo 2025

Nel 2017, per Il Saggiatore, è uscito un saggetto intitolato Semi. Viaggio all’origine del mondo vegetale. Lo ha scritto il biologo americano Thor Hanson, a cui devo la scoperta della più interessante teoria sull’origine della civiltà umana. In breve: non siamo diventati quello che siamo diventati quando abbiamo scoperto il fuoco, inventato la scrittura, costruito la ruota o padroneggiato l’agricoltura. Secondo Hanson, la civiltà inizia con il primo uomo che ha preferito mangiare un cibo cotto invece di uno crudo. Questa scelta sarebbe stata l’inizio della reazione a catena che oggi chiamiamo Antropocene: mangiare cibo cotto ci ha permesso di spendere meno energie in mansioni triviali come la masticazione, la digestione e la defecazione; questo ci avrebbe permesso di impiegare le energie risparmiate per far crescere ulteriormente il nostro già abnorme – per gli standard del Regno animale – cervello. Il resto è storia, come si suol dire.

Hanson sostiene tra le altre cose che il padre fondatore della civiltà è un cuoco ignoto, il sapiens che per primo mise ad arrostire sul fuoco un pezzo di carne ponendo fine a infestazioni parassitarie e digestioni invalidanti. L’Antropocene inizia quando inizia la prima grigliata, insomma: la carne (cotta) diventa parte integrante della nostra dieta onnivora funzionale, proteine e grassi ci fanno diventare grandi e grossi, il nostro cervello si espande, i nostri orizzonti si allargano. A prendere per buona questa versione dei fatti sostenuta da Hanson, la civiltà umana finirà almeno con coerenza, con la circolarità delle belle sceneggiature. L’Antropocene è cominciato con una bistecca ben cotta consumata davanti al fuoco, l’Antropocene finirà con un tocco di carne cruda, umida, sanguinolenta masticata a favore di camera.

Beef, bacon, butter, eggs

Per orientarsi su internet è necessario conoscere segnaletica e acronimi. Grazie agli algoritmi capita sempre meno spesso, ma succede ancora di ritrovarsi in pezzi di internet che sono terra incognita. C’è un angolo della rete in cui è impossibile muoversi senza sapere per cosa sta l’acronimo Bbbe: beef, bacon, butter, eggs, cioè manzo, bacon, burro, uova (i deboli si concedono ogni tanto anche una manciata di noci e un goccio di miele, ma solo perché abbiamo certezza scientifica che lo facevano anche i cavernicoli, quelli veri). A ogni parola corrisponde un emoji, e tanto basta per sapere tutto quello che c’è da sapere sui cosiddetti meat influencer.

È l’ennesimo movimento reazionario che si è diffuso su internet in risposta a uno progressista (o che pensavamo progressista, almeno): un meat influencer esiste oggi perché ieri è esistita una Cucina Botanica, così come il culto della magrezza è tornato, rafforzato, dopo l’illusione della body positivity. Come tutte le reazioni, anche quella dei meat influencer è stupida, violenta, prepotente: Bbbe indica i quattro cibi ammessi nella dieta neo carnivora, solo e soltanto quelli, una radicalizzazione di religioni alimentari già note come la dieta paleolitica e quella chetogenica (questa follia dei meat influencer è iniziata proprio con un libro scritto da un tizio che voleva vendere una dieta ai fessi, una specie di Alberico Lemme d’America: The Carnivore Diet di Shawn Baker). Non c’è bisogno di riportare dati e ricerche scientifiche per dire che una vita passata a mangiare soltanto manzo, bacon, burro e uova è una vita che finisce presto. E male. Non solo per il carnivoro in questione ma anche per tutti gli altri, visto l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi e dell’industria della carne in generale.

Viviamo l’epoca in cui ogni sottocultura si perverte in community, in cui i trend si mostrificano in sette. Le premesse per i neo carnivori erano già pessime, lo svolgimento è stato addirittura peggiore. Grazie alla potenza dell’algoritmo, il più famoso degli esponenti della filosofia Bbbe ha sfondato i confini dell’underground ed è diventato mainstream: Brian Johnson ha quasi tre milioni di follower su Instagram, più di sei su TikTok, uno e rotti su YouTube, ha una barba da ZZ Top e un corpo da wrestler (facile, quando la carne rossa la si insaporisce con abbondanti dosi di steroidi, come ha ammesso lui stesso), si è autoproclamato l’ancestral Ceo di questo mondo, gli piace stare a petto nudo e costringere i popoli indigeni del pianeta a prendere parte ai suoi contenuti. Johnson ha fatto i milioni, di follower e quindi di dollari, sostenendo che il potere latente del maschio umano può essere risvegliato solo con il giusto apporto proteico. Il nome d’arte Liver King viene dalla convinzione che beef, bacon, butter, eggs vadano bene, sì, ma per i maschi beta: agli alfa spetta il primo quarto del banchetto neocarnivoro, cioè il fegato e i testicoli, va bene qualsiasi animale purché sia morto da poco, la carne va mangiata che ancora gronda di sangue ed emette i vapori della macellazione, la sporcizia deve raggrumarsi sul mento e sulle dita come fosse colore di guerra.

Il re del fegato

Regressione più che reazione, il meat influencer la sua sfida alla civiltà la lancia in maniera tanto esplicita da diventare sguaiata. Magari certe cose non se le è inventate il Liver King, ma certamente le ha istituzionalizzate e diffuse lui: mangiare a petto nudo (il cappellino in testa però resta, perché non c’è niente di meno maschio alfa delle calvizie), mangiare con le mani, grugnire come il maiale che si sta divorando faceva in vita, parlare a bocca piena, pulirsi usando la prima superficie buona allo scopo. Il meat influencer è il contrario del foodie: il suo è food horror, non food porn.

Da un punto di vista simbolico, il meat influencer fa di tutto per far passare il messaggio che a lui la civiltà proprio non piace, con tutte quelle norme igienico-sanitarie ed etichette comportamentali che impediscono l’esplosione del potenziale latente. Un uomo non può realizzarsi se deve tenere le mani occupate con le posate, e infatti l’unico utensile che i neo carnivori accettano è il tagliere: una superficie su cui posare la carne bisogna usarla (anche perché i veri uomini non fanno mica le pulizie, quindi tutte le altre superfici disponibili nella casa del meat influencer sono zozze), certo è meglio se l’albero lo si abbatte da soli (a pugni, si capisce) e il ciocco di legno lo si lavora di persona (con le unghie e con i denti, ovviamente).

Come tutte le cose di oggi viene da chiedersi perché, perché tutto questo. È facile pensare che i neo carnivori siano un ennesimo segno della crisi del maschio. Ed è vero e chi può negarlo, ma i maschi sono in confusione molto più che in crisi: tanti vorrebbero essere come il Liver King ma tanti idolatrano pure Trump, che è uno che si vanta di mangiare la bistecca solo se stracotta e solo se ricoperta di ketchup. Che poi i meat influencer siano ormai una parte integrante e fondamentale della famigerata manosphere, anche questo chi può negarlo. Ma come spesso accade, realtà e percezione della realtà non coincidono in tutti i punti. Bella Ma, nome di battesimo di @steakandbuttergal, 170 mila follower su TikTok, ha 28 anni, è un ex vegana, ora si riprende mentre addenta bistecche sui rooftop di New York (niente piatti né posate, mano ben stretta attorno all’osso), dice che da quando si è convertita alla carnivore diet la sua pelle è più liscia e le sue tette più grosse. Soprattutto, dice che il 60 per cento dei suoi follower sono donne, interessatissime, curiosissime.

I soliti maschi

Certamente la “filosofia Bbbe” è un sintomo della disperazione – del patetismo, anche – del maschio contemporaneo, ridottosi a credere che divorando cuori di cavallo diventerà veloce come il vento e ingollando palle di toro diverrà virile come Islero che uccise Manolete. Certo viene da ridere, a pensare che oggi ci sia chi prende per buone credenze che ieri venivano usate come espedienti narrativi nei romanzi pulp o nei film di serie B.

Ma tant’è, così è, d’altronde questa è l’epoca in cui si prendono per presidi medici consigliati i podcast di Joe Rogan, che ovviamente ha detto di «non essersi mai sentito così bene come quando ho mangiato solo carne». Questa è l’epoca in cui si chiedono precetti filosofici a Jordan Peterson, che dice di essere guarito da ogni male quando ha capito che la “dieta ancestrale” degli esseri umani non prevedeva né carboidrati né fibre: i primi vogliono rallentarci, le piante addirittura «vogliono ucciderci». A completare la santissima trinità dei maschi di merda di internet, Lex Fridman: pure lui ha detto che la dieta carnivora lo ha aiutato a diventare uno dei podcaster più ascoltati del mondo, nonostante quella faccia da uno che va a fare la spesa a NaturaSì tre volte alla settimana. D’altronde, bisogna essere dei maschi alfissimi per lasciar parlare per tre ora Javier Milei di macelleria (appunto) sociale senza mai azzardare una domanda.

Il meat influencer è sostanzialmente uno degli infiniti miracolati di internet, che è il luogo in cui tutti ormai andiamo a cercare i miracoli. Che questi miracoli poi avvengano mangiando interi panetti di burro a merenda o facendo l’aperitivo con il grasso colato giù dal bacon in frittura, sono dubbi che dovremmo esserci stancati di porre: davvero l’ivermectina curava il Covid? Certo che no. Davvero le deliranti nightime skincare routine composte da 12 passi aiutano a restare giovani? Certo che no. Ma questo ha impedito a Robert F. Kennedy Jr. di diventare il ministro della Salute americano? Certo che no. Ha impedito all’industria del beauty di produrre mostri come i Sephora Kids? Certo che no. E quindi perché negare ai meat influencer il loro posto in prima fila nello spettacolo del tramonto della ragione? Il Liver King non sarebbe affatto male come ministro dello Sport, tra l’altro.

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