L'economia dell'attenzione non lascia scampo: Demna da Gucci è la notizia della settimana, arrendetevi, è inutile che proviate a cercare altro nei vostri feed.
Un ragazzo americano ha risolto il cubo di Rubik in tre secondi
Oggi è un giorno speciale per il mondo dello speedcubing, che, per chi non lo sapesse, è il mondo dei praticanti e degli appassionati della risoluzione di cubi di Rubik nel minor tempo e con meno movimenti possibili. È un giorno, come racconta il Guardian, di lacrime di commozione e di gioia. È il giorno in cui il 21enne Max Park stabilisce il nuovo record mondiale per la più veloce risoluzione di un cubo di Rubik 3x3x3: 3.13 secondi, polverizzato il precedente record (3.47 secondi), risalente al 2018, del cinese Yusheng Du. «Il mondo dello speedcubing è in estasi», ha spiegato Schwan Park, padre di Max. «Erano tutti curiosi di sapere se quel record sarebbe mai stato infranto. Quando Max ce l’ha fatta, erano tutti entusiasti per lui».
Sempre al Guardian, Park padre ha spiegato che quello della risoluzione del cubo 3x3x3 è il più ambito tra i record di speedcubing. «La crème de la crème», ha detto, l’Olimpio cubistico. Non che suo figlio disprezzi i cubi “minori”, quelli da 4x4x4, 5x5x5, 6x6x6 e da 7x7x7. Anzi: gli piacciono così tanto che detiene i record di speedcubing anche per tutti questi. D’altronde, Park figlio risolve velocissimamente cubi di Rubik da quando aveva 15 anni, età alla quale divenne per la prima volta campione del mondo. Dopo quel primo titolo iridiato la sua ascesa non ha conosciuto soste, tanto che oggi è ambasciatore ufficiale del cubo di Rubik nel mondo.
Park era diventato piuttosto famoso, però, già nel 2020, quando la sua storia – e quella del collega, rivale e amico Feliks Zemdegs – fu raccontata nel documentario Netflix The Speed Cubers. «Tanti dei fan che Max si è fatto grazie al documentario Netflix gli hanno scritto per fargli le congratulazioni e dirgli quanto sono felici per lui. Alcuni hanno detto di aver persino pianto», ha detto il padre. Una commozione che, spiega Schwan, viene anche dalla conoscenza delle difficoltà che Max ha affrontato nella sua vita: a due anni gli fu diagnosticato l’autismo e il cubo di Rubik fu uno degli strumenti che i suoi genitori provarono a usare per aiutarlo a sviluppare le facoltà motorie. Quando videro che il bambino si era appassionato moltissimo, cominciarono a iscriverlo ai tornei, sperando che la cosa lo aiutasse a imparare i rapporti sociali. «È tutto un gigantesco playdate, per noi. Serve tutto ad accompagnare Max nello sviluppo della sua dimensione sociale», ha raccontato Schwan.