Esteri – Punto e Crosetto
Può sembrare paradossale dirlo, ma anche la guerra ha delle regole. Non si buttano bombe sui civili, non si spara sulle missioni di peacekeeping, per dirne due facili facili. L’esercito di Israele non le rispetta e non sembra interessato a rispettarle. Giovedì ha colpito ripetutamente delle basi della missione nel Libano sud-ovest. Diversi militari sono stati feriti, alcuni in modo grave. Israele ha attaccato le strutture di osservazione e comunicazione, probabilmente per impedire il controllo dei movimenti del suo esercito. L’Ansa ha riportato fonti anonime della sicurezza italiana secondo cui Israele non vuole «testimoni scomodi». Un fatto gravissimo: il ministro Crosetto ha vestito i panni del Craxi di Sigonella, ha convocato l’ambasciatore israeliano e ha tuonato: «Siamo in Libano e ci rimaniamo. Non saremo mai noi che ci spostiamo perché qualcuno ci dice, con la forza, di spostarci». Prima del mic drop, questo più in stile patriottico: «L’Italia non prende ordini da nessuno».
Letteratura – Festival di Kang
L’Accademia di Svezia ha assegnato il Nobel per la letteratura a Han Kang, la scrittrice sudcoreana 53enne, per «la sua intensa prosa poetica che affronta traumi storici e porta alla luce la fragilità della vita». Lei è pubblicata in Italia da Adelphi: soprattutto La vegetariana, nel 2016, fu un caso letterario anche da noi. L’anno dopo uscì Atti umani, nel 2019 Convalescenza, e giusto l’anno scorso L’ora di greco. Il 5 novembre uscirà invece il suo nuovo titolo. Come si legge nella motivazione, sono libri che affrontano diversi traumi: che siano storici, della Corea del Sud, oppure personali, come nel caso dell’ultima uscita, in cui una donna a Seoul perde la voce. Era inattesa, la scelta di Kang, ma non inattesissima: il suo nome era comunque quotato dalle agenzie di scommesse, anche se con quote molto alte. Quello che era invece atteso come inevitabile, e di conseguenza pagato pochissimo, era l’eterno ritorno delle stanche battute su Philip Roth.
Stati Uniti – Here comes the story of the hurricane
Viviamo in un’epoca di prime volte, quindi si capisce la sensazione diffusa di aver smesso di capire il mondo. Nel mondo prima di internet, prima dei social, all’avvicinarsi di un uragano – e che uragano – la reazione era di scappare per chi poteva scappare e di mettersi al riparo per chi aveva un riparo in cui mettersi. Nell’epoca delle prime volte, invece, assistiamo a vani inviti all’evacuazione, allarmi ignorati a beneficio della vera priorità dell’umanità contemporanea: la creazione di contenuti. Da un certo punto di vista, è la conferma di quello che i creator sostengono da sempre: il nostro è un mestiere vero e proprio, più mestiere degli altri perché non possiamo mai smettere di creare contenuti. Neanche di fronte all’uragano Milton.
Polemiche – Parole parole parole
Il primo podcast di Rivista Studio si intitola Stilnovo ed è dedicato a parole nuove e strane che ci raccontano i tempi che stiamo vivendo. Ecco, “apocalittismo difensivo” calzerebbe alla perfezione in un episodio di questo podcast: cosa vuol dire? Che fenomeno identifica? Chi sono gli apocalittici difensivisti? A scelta, si può essere più apocalittici oppure più difensivisti? O le due cose vanno sempre e comunque di pari passo? Il massimo sarebbe realizzare questa puntata in collaborazione con il ministero della Cultura e avere come ospite il ministro Giuli, che questa definizione l’ha inventata e che è già passato alla storia come l’interprete – perché di vera e propria performance si può parlare – della più virale conferenza stampa della storia della politica italiana.
Altre polemiche – The Office
Tra lunedì 7 e martedì 8 ottobre su Instagram e X soprattutto si è acceso il dibattito intorno a una column firmata da Massimo Giannini sull’ultimo numero di D la Repubblica. La rubrica, intitolata “L’inganno dello smartworking”, era una critica al lavoro da remoto: Giannini non parla, però, di dati di produttività, ma di una dimensione sociale e in qualche modo romanticizzata del frequentare l’ufficio. Comprensibilmente, in molti l’hanno trovata una posizione giurassica e poco ancorata nella realtà: i motivi sono tanti (su Rivista Studio li abbiamo elencati qui), ma sarebbe ora che dibattiti del genere partissero da posizioni un tantino meno superficiali.
Ancora polemiche – Di Emily in peggio
La quarta stagione di Emily in Paris si conclude a Roma e, tra un product placement e un altro, ci fa capire che forse la pubblicitaria più restia a imparare il francese che esista possa, nella prossima stagione, intentare una nuova avventura tutta italiana. Emmanuel Macron ha detto, in un’intervista a Variety, che no, Emily deve rimanere a Paris, ma Roberto Gualtieri, sindaco di Roma ed evidentemente molto fan della serie Netflix, non l’ha presa benissimo e ci ha tenuto a ribadire che «al cuore non si comanda» e che deve scegliere lei, Emily, se stare a Paris o stare a Roma. Campanilismo a parte, un po’ è vero che noi Emily sulla Metro C la vorremmo vedere o magari allo snodo di Termini, all’ora di punta, non ha imparato il francese in quattro stagioni ma se risolve quel dilemma lì è pronta a tutto.
Sempre polemiche – Pesce d’ottobre
Tutto di questa storia invita alla battuta greve, ma se ne trovano già troppe sui social e quindi ci asterremo sia dall’inventarcene di nuove che dal riportare quelle altrui. Tolta dunque quell’orrenda forma di umorismo ribattezzata “ironia dei social”, cosa si può dire? Forse che ci aveva visto lungo il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che sornione aveva detto che l’opera “Tu si ‘na cosa grande” avrebbe funzionato perché «l’arte deve far discutere». Certo, uno si immagina che le discussioni sull’arte puntino a vette più alte di quelle che stanno all’altezza della punta di un fallo, anche se in questo caso si parla pur sempre di un fallo lungo 12 metri realizzato da Gaetano Pesce.