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Katy Perry è andata nello spazio assieme alla moglie di Jeff Bezos Tutto per promuovere Blue Origin, l'azienda con la quale Bezos ha deciso di lanciarsi nel turismo aerospaziale.
Maggie Cheung, la protagonista di In the Mood for Love, ha concesso una rarissima intervista per i 25 anni del film Per il nuovo numero di Sight and Sound, l'attrice ha raccontato di sé, del film che l'ha resa famosa e del perché non le interessa Hollywood.
Le prime immagini di Jacob Elordi nella parte di Heathcliff in Cime tempestose Insieme a Margot Robbie, che interpreta Catherine Earnshaw nel film diretto da Emerald Fennel.
A 89 anni è morto Mario Vargas Llosa «Ha vissuto una vita lunga, avventurosa e ricca, e ci ha lasciato un'opera che vivrà per sempre», hanno detto i suoi figli.
Spike Lee ha dovuto annunciare da solo la sua partecipazione a Cannes perché a Cannes si sono dimenticati di lui Nella categoria Fuori Concorso con il suo film Highest 2 Lowest, remake di un film di Akira Kurosawa.
È stato introdotto un codice Ateco per la prostituzione e sta già facendo discutere E l'Istat è dovuta intervenire per chiarire che il codice 96.99.92 non significa che la prostituzione in Italia sia stata legalizzata.
I film selezionati al Festival di Cannes di cui parleremo tutti Oggi è stata annunciata la selezione ufficiale dell'edizione 2025 e la macchina dell'hype si è già messa in moto.
Nella nuova edizione Adelphi, Lamento di Portnoy di Philip Roth si chiamerà soltanto Portnoy Dal 20 maggio, Roth entra a far parte del catalogo Adelphi con un nuovo titolo e una nuova traduzione, curata da Matteo Codignola.

Perché gli scrittori corrono

Molti romanzieri praticano e hanno praticato la corsa. Adesso alcune ricerche spiegano quest'insolita relazione.

27 Aprile 2016

Nel 1972 Joyce Carol Oates, che a quei tempi insegnava scrittura creativa all’università di Detroit, decise di prendersi un anno sabbatico e si trasferì a Londra. Fu in quel periodo che iniziò a «correre in modo compulsivo», un’abitudine che tuttora non ha abbandonato. Ventisette anni dopo, pubblicò sul New York Times un articolo sullo scrivere e il correre, una bella riflessione sulla coscienza e sull’idea stessa di creatività purtroppo intitolata con scarsa fantasia “Per rinvigorire la mente letteraria, comincia a muovere i piedi”.

«Senza le mie corse non avrei potuto continuare a scrivere romanzi», racconta Oates. Scrivere e correre sono «due attività gemelle», entrambe «intimamente legate allo storytelling», entrambe inoltre «hanno un rapporto indissolubile con la coscienza», sostiene l’autrice: «Il correre sembra permettermi, idealmente, di espandere la mia coscienza e visualizzare quello che sto scrivendo come un film o come un sogno. Quando sono davanti alla macchina per scrivere, raramente mi capita di inventare, piuttosto evoco un’esperienza». Per Oates dunque correre è un prerequisito dello scrivere, perché «non ho mai pensato alla scrittura come a una stesura di parole sulla pagina, ma piuttosto come a un tentativo di dare corpo a una visione».

Morning Fog in New York City

Da quando esiste la letteratura, esistono poeti e scrittori che corrono, oppure, in mancanza di fiato, camminano. Oates cita Shelley, Whitman e Dickens. In un’intervista alla Paris Review, nel 1993, Don DeLillo raccontava di correre quasi sempre prima di iniziare a scrivere: «Mi aiuta a scrollarmi di dosso un mondo ed entrare in un altro. Gli alberi, gli uccelli, la pioggia: è un bell’intermezzo». Persino Louisa Mary Alcott, l’autrice di Piccole Donne, amava correre, tanto che pensava di «essere stata un cervo, o forse un cavallo, in una vita passata». L’esempio più ovvio, forse, è Haruki Murakami, che ha dedicato un libro intero all’argomento, L’arte di correre, uscito in Italia nel 2007 per Einaudi nella traduzione di Antonietta Pastore. Sebbene avesse già pubblicato due romanzi prima di incontrare la corsa, in un’intervista allo Spiegel Murakami ha raccontato che «la mia vera esistenza come scrittore serio è iniziata il giorno in cui ho fatto jogging per la prima volta».

Perché correre aiuta a scrivere? Da dove origina il legame, osservato da molti, tra moto e creatività? Deve esserci «qualche legge della neurofisiologia ancora da chiarire», notava Oates, che spiega come la corsa riesca a trasformarsi in strumento di sanità mentale, in un’illusione di avere il controllo sulla scrittura e sulle parole.

Correre è forse l’unica cosa che crea nuove cellule nel nostro cervello in età adulta

Oggi in realtà i neurologi qualche idea se la sono fatta. Fino a poco tempo fa la comunità scientifica era convinta che i neuroni potessero generarsi soltanto nell’età della crescita. Poi s’è scoperto che in alcuni casi la neurogenesi è possibile anche in età adulta, anche se non è del tutto chiaro come e perché questo processo avvenga. «Una delle poche cose certe», ha spiegato la presidente dell’Accademia americana della neuropsicologia clinica Karen Postal in una recente intervista col magazine New York, «è che la corsa è in grado di innescarlo». Correre dunque è una delle poche cose, se non l’unica, che crea nuove cellule nel nostro cervello. Dato interessante, ha aggiunto la scienziata, queste nuove cellule tendono a svilupparsi nell’ippocampo, l’area del cervello associata alla memoria, cosa che aiuta a capire, tra l’altro, come mai la corsa risulti particolarmente proficua per una scrittrice che, come Oates, associa lo scrivere al ricordo.

Nello stesso articolo del New York si spiega inoltre che un frequente esercizio aerobico (ovvero tutte le attività che potenzialmente danno “il fiatone”, come la corsa appunto) è associato a un aumento dell’attività nella corteccia frontale, ovvero l’area del cervello responsabile della chiarezza del pensiero. Naturalmente, non c’è bisogno di essere un neuroscienziato per sapere che correre aiuta a schiarirsi le idee (e, similmente, che spesso e volentieri lo schiarirsi le idee è un prerequisito utile per scrivere meglio).

2013 City To Surf

«Correre è libertà, è solitudine, permette di prendere le distanze. C’è una cadenza meditativa nell’uniformità dei respiri e delle falcate. Chi scrive, così come chi corre, opera su un piano lineare e spesso capita di accorgersi che le due attività possono beneficiare l’una dall’altra», scriveva qualche mese fa Nick Ripatrazone sull’Atlantic.  Proprio sull’idea del prendere le distanze hanno recentemente effettuato un esperimento interessante due ricercatori di Harvard. Dopo avere assemblato un campione di circa ottanta volontari, l’hanno suddiviso in due gruppi: una metà s’è fatta una bella corsetta, l’altra no. Dopodiché, a tutti i partecipanti è stata mostrata una scena di un film particolarmente strappalacrime (il finale de Il campione di Zeffirelli, definita da alcuni un vero e proprio “pugno nello stomaco”): i ricercatori hanno notato che i volontari che avevano fatto esercizio fisico riuscivano a riprendersi dallo choc emotivo molto più rapidamente, giungendo alla conclusione che l’attività aerobica aiuta a tenere a bada i fattori ansiogeni, come per esempio Zeffirelli.

L’assenza di ansia unita alla chiarezza di pensiero risulta in uno stato noto come “mindfullness”, cioè l’essere qui e ora, il non vagare con la mente e senza sforzo, uno stato d’animo ideale per la creatività intellettuale e paragonato ad alcuni a quello che si ottiene con la meditazione. In un bel racconto breve degli anni Ottanta, che parlava di corsa e di cosce, di uomini e donne, e che per molti versi anticipò il dibattito di oggi sulla “body image”, Andre Dubus confessava: «Corro per la gioia e la catarsi». Più direttamente, forse, Murakami scriveva: «Corro. Semplicemente corro nel vuoto. O viceversa, è anche possibile che io corra per raggiungere il vuoto».

Foto, nell’ordine, di Charlie Crowhurst, Mario Tama, Brendon Thorne (Getty Images).
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