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L’ex presidente di Harvard Claudine Gay ha raccontato le sue dimissioni sul New York Times
La presidente di Harvard Claudine Gay alla fine si è dimessa. Era al centro delle polemiche dal 9 ottobre, giorno in cui l’università aveva diffuso il primo comunicato stampa sulla strage perpetrata da Hamas in Israele due giorni prima. Di tutta la vicenda – a partire dalla lettera firmata dalle associazioni studentesche di Harvard in cui si attribuiva a Israele la colpa della sua stessa disgrazia, fino all’udienza parlamentare che ha di fatto segnato la fine della carriera da presidente di Gay – avevamo scritto qui. Ieri la vicenda si è (forse) chiusa definitivamente con un pezzo scritto da Gay per il New York Times, in cui l’ex presidente ripercorre quanto successo negli ultimi tre mesi, ammette le sue colpe, accusa i suoi detrattori e spiega che quello che è successo a lei non riguarda soltanto lei.
«Sì, ho commesso degli errori. Nel mio primo commento alla strage del 7 ottobre avrei dovuto ribadire con maggiore forza quello che tutte le persone per bene sanno: Hamas è un’organizzazione terroristica che vuole distruggere lo Stato d’Israele. Nell’udienza parlamentare dello scorso mese, sono caduta in un’elaborata trappola. Non sono riuscita a spiegare chiaramente che le incitazioni al genocidio degli ebrei sono ripugnanti e inaccettabili e che avrei usato ogni strumento a mia disposizione per proteggere gli studenti da queste forme di odio», scrive Gay nell’articolo. Che prosegue poi con una difesa dall’altra accusa che l’ha portata a dimettersi: quella di plagio, di aver copiato parti della sua tesi di dottorato e di diversi saggi accademici (come riporta il New York Times, queste accuse le ha mosse per primo il Washington Free Beacon, giornale online conservatore). «Non ho mai distorto i risultati delle mie ricerche né mi sono mai attribuita il merito delle ricerche altrui. Soprattutto, gli errori che ho commesso nelle citazioni non cancellano una verità fondamentale: rivendico orgogliosamente il mio lavoro e l’impatto che ha avuto nel mio campo di ricerca». Gay, dunque, respinge l’accusa di plagio e ammette di aver commesso degli errori “minori”: non aver citato correttamente e non inserito nella bibliografia al termine dei suoi lavori tutti i libri che aveva consultato in fase di ricerca.
Gay scrive che ritiene che una delle ragioni che hanno mosso i suoi accusatori è il desiderio di ostracizzare una persona che «vede la diversità come una fonte di vigore e dinamismo», una figlia di immigrati haitiani diventata presidente di una delle più antiche istituzioni culturali del Paese. Dice che tornerà a insegnare, adesso, e che tutta questa storia le ha impartito una lezione che vale non soltanto per lei né solo entro i confini del campus di Harvard: «Avendo visto come la verità è davvero la prima vittima in ogni conflitto, invito tutti a una maggiore cautela: nei momenti di tensione, ognuno di noi deve esercitare il massimo dello scetticismo nei confronti delle voci più estremiste, per quanto bene organizzate o bene accette esse siano. Troppo spesso queste voci perseguono obiettivi egoistici e dovrebbero essere trattate con dubbio, non con credulità».