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Claudia Sheinbaum è una storia politica che ci dà speranza

La prima scienziata Ipcc a diventare Presidente di un Paese, la prima donna a governare il Messico, un'ottimista e un'attivista: è la politica del momento ed è convinta che il mondo si possa ancora salvare.

di Ferdinando Cotugno

Con un apodo classicamente latino americano, Claudia Sheinbaum viene chiamata «la doctora». Con la sua elezione a presidente del Messico, Sheinbaum ha sfondato due soffitti di cristallo in un colpo solo. Sheinbaum è la prima presidente donna del suo patriarcale Paese, dopo essere stata anche la prima governatrice di Città del Messico, nella cui area metropolitana c’è una media di dieci femminicidi al giorno. Ed è anche la prima scienziata autrice di report dell’Ipcc a diventare un capo di un governo. Il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici fondato dall’Onu nel 1988 è l’internazionale degli scienziati del clima, regola il prezioso sistema circolatorio della conoscenza prodotta ogni anno sul riscaldamento globale da accademie e centri di ricerca. Gli studi più validi, utili e importanti vengono convogliati in report ciclici da migliaia di pagine che pochi leggono ma tanti citano (spesso a sproposito, in questo decennio l’Ipcc sta diventando quello che Bilderberg e la Trilaterale erano per i complottisti di una generazione fa). Quando nel mondo accademico si dice di qualcuno: «è Ipcc», si suggerisce qualcosa che ormai va oltre l’autorevolezza. Sono i più bravi, più ascoltati, più importanti. L’anello di congiunzione tra una scienza che mette sempre meglio a fuoco il collasso e una politica che fa sempre più fatica ad ascoltare.

Prima di entrare in politica, Scheinbaum si era occupata di emissioni nei sistemi energetici, è stata co-autrice dei report del 2007 (quello che le permette di fregiarsi anche del titolo di co-vincitrice del premio Nobel per la pace) e del 2014. Non era mai successo che una scienziata Ipcc decidesse di darsi all’amministrazione e alla politica con tanto successo da diventare presidente di un Paese da 127 milioni di abitanti. Finora l’Ipcc aveva espresso al massimo ministri. Due, per la precisione. Significativamente, altre due donne, e significativamente: nessuna in Europa o nel «nord globale». Yasmine Fouad, ministra dell’ambiente dell’Egitto, e Maisa Rojas, ministra dell’ambiente del Cile. In un suo profilo, la Bbc descrive così Claudia Scheinbaum: «Tecnocrate urbana». È un dettaglio importante, perché la doctora prende il posto di Andrés Manuel López Obrador, uno di quei politici così carismatici da finire con l’essere indicati a contemporanei e posteri col solo acronimo, AMLO come JFK. L’opposto di un tecnocrate: affabulatore, populista, icona delle sinistre occidentali in cerca di buone storie più che di buone pratiche, bravo con le parole ma anche con le politiche sociali. Non si è solo accontentato di aver portato milioni di messicani fuori dalla povertà, López Obrador ha avuto l’ambizione di avviare un’intera epoca nuova per il suo Paese, la «4T», la quarta trasformazione, dopo l’indipendenza, la guerra delle riforme e la rivoluzione messicana.

Passa il potere a una donna che non potrebbe essere più diversa da lui che, cresciuto nella posadita dei genitori, aveva la naturale capacità di parlare al popolo con la lingua del popolo. Sheinbaum è più sobria, misurata, cosmopolita, figlia di scienziati, famiglia scappata dalla persecuzione degli ebrei in Europa, ha studiato fisica e conseguito un dottorato in ingegneria energetica a Berkeley, dove ha preso il suo inglese impeccabile. La carriera di Sheinbaum percorre quella strada difficilissima per cui si accede alla politica per la conoscenza dei temi e non la capacità di creare consenso, quindi è una figura facile da idealizzare, vista da queste nostre latitudini. La sua tesi di dottorato a Berkeley era sui trasporti e i problemi ambientali di Città del Messico, gli stessi che si sarebbe trovata poi a dover affrontare da governatrice. Ha una lista di pubblicazioni accademiche lunga quanto quella dei tweet di Borghi.

Servirà ancora più pratica che teoria per governare il Messico. AMLO è stato un presidente amato, la sua «quarta trasformazione» è stata sia forma che sostanza, ma il Paese continua a essere violentissimo, una nazione da 30mila omicidi l’anno (e sono i dati ufficiali, da tanti considerati stime per difetto), il 95 per cento dei crimini che non troverà mai una soluzione. La stessa campagna elettorale è stata un massacro, con decine di omicidi politici. Sheinbaum ha governato bene Città del Messico, l’ha resa più sicura, ha investito in bus elettrici, ha coperto di pannelli fotovoltaici il mercato Central de Abasto, ha portato avanti piani sul risparmio idrico e il verde urbano. La sua vittoria è una ragione di ottimismo, per chi vede cupo il cielo della lotta ai cambiamenti climatici, ma il Messico è un Paese difficile da riformare. È la quattordicesima economia al mondo, ha un’azienda oil and gas di stato, Pemex, in cui il governo di sinistra ha continuato a investire, spesso per puro nazionalismo. L’industria petrolifera di stato messicana ha radici in un esproprio alle aziende straniere fatto negli anni ’30, lo spirito del Paese è fatto anche di autarchico orgoglio petrolifero. Lo stesso AMLO da giovane contestava Pemex e da presidente ha fatto di tutto per garantirle un rilancio (era piena di debiti) e rafforzarla nel business del gas liquefatto, da affiancare al petrolio. Il Messico è uno dei due soli Paesi G20 senza nemmeno un piano per la neutralità climatica. Non è la terra promessa di Ultima generazione, e ci metterà se non altro qualche anno prima di diventarlo.

Una delle domande chiave sul futuro di Sheinbaum da presidente è proprio questa: saprà affrancarsi da AMLO, uomo di sinistra, ma della sinistra di un altro secolo, che applicava ricette di un altro secolo, a partire dal campo che Sheinbaum conosce meglio, cioè quello dell’energia? Una traccia ce la offre il Covid, Obrador si è contagiato tre volte, era insofferente alle mascherine, aveva criticato le misure eccessive di molti Paesi europei. Lei, da governatrice ed erede in via di designazione, ha saputo smarcarsi, applicando politiche più rigorose, che hanno probabilmente salvato migliaia di vite. La speranza è che faccia lo stesso col clima.

Per le circostanze con cui a volte si svolgono le vicende umane, Sheinbaum ha vinto queste elezioni storiche nel mezzo di un’ondata di calore senza precedenti per il Messico. Teoria e pratica, per la doctora. La sua elezione ha generato in occidente molto più interesse di quello che di solito dedichiamo alle questioni interne del Messico. Paesi altrettanto importanti (l’Indonesia) o molto più importanti (l’India) sono andati al voto senza avere questa eco. C’è un meccanismo di proiezione, l’America Latina sembra avere una libertà di polarizzazione che a noi non è più concessa, in un senso o nell’altro. L’argentino Javier Milei sembra uscito dall’inconscio represso di un turboliberale italiano. Il percorso di Gabriel Boric, da capo della contestazione studentesca a presidente del Cile nello stesso ciclo di vita, era stata una botta di adrenalina che aveva fatto sognare l’impensabile anche in Italia, dove anche i più bravi ed esperti tra gli attivisti ormai over 30 fanno fatica in liste infarcite di ultrasessantenni con i pacchetti di voti custoditi come i tassisti con le licenze.

Nel nostro ciclo di idealizzazione pop, Claudia Sheinbaum ci deluderà, e presto. Già le viene rimproverato il supporto al tren Maya, la ferrovia dei turisti che collegherà le principali attrazioni del Paese e che, come ogni grande infrastruttura per i turisti, ha qualcosa di predatorio e anti-ecologico. Amministrare è provarci e deludere, sarebbe rimasta un’icona pop solo se avesse perso. E invece è una fortuna che abbia vinto queste elezioni. La chiamiamo per semplicità «scienziata del clima», ma in realtà Scheinbaum è un’ingegnera, la categoria umana in grado di emanare la qualità politica più rara di questi tempi: l’ottimismo informato. Gli scienziati del clima in senso fisico, quelli che studiano oceani, ghiacciai, foreste, sono presi in una spirale di cupezza senza uscita. Gli scienziati della transizione, invece, continuano a pensare che c’è ancora tanto margine per costruire, fare, progettare. È un lavoro faticoso e non sexy, incrementale e non rivoluzionario. Claudia Sheinbaum non è una rivoluzionaria, ma è un’ottimista molto ben informata. Ed è una cosa eccellente, che fa giustamente invidia.