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Katy Perry è andata nello spazio assieme alla moglie di Jeff Bezos Tutto per promuovere Blue Origin, l'azienda con la quale Bezos ha deciso di lanciarsi nel turismo aerospaziale.
Maggie Cheung, la protagonista di In the Mood for Love, ha concesso una rarissima intervista per i 25 anni del film Per il nuovo numero di Sight and Sound, l'attrice ha raccontato di sé, del film che l'ha resa famosa e del perché non le interessa Hollywood.
Le prime immagini di Jacob Elordi nella parte di Heathcliff in Cime tempestose Insieme a Margot Robbie, che interpreta Catherine Earnshaw nel film diretto da Emerald Fennel.
A 89 anni è morto Mario Vargas Llosa «Ha vissuto una vita lunga, avventurosa e ricca, e ci ha lasciato un'opera che vivrà per sempre», hanno detto i suoi figli.
Spike Lee ha dovuto annunciare da solo la sua partecipazione a Cannes perché a Cannes si sono dimenticati di lui Nella categoria Fuori Concorso con il suo film Highest 2 Lowest, remake di un film di Akira Kurosawa.
È stato introdotto un codice Ateco per la prostituzione e sta già facendo discutere E l'Istat è dovuta intervenire per chiarire che il codice 96.99.92 non significa che la prostituzione in Italia sia stata legalizzata.
I film selezionati al Festival di Cannes di cui parleremo tutti Oggi è stata annunciata la selezione ufficiale dell'edizione 2025 e la macchina dell'hype si è già messa in moto.
Nella nuova edizione Adelphi, Lamento di Portnoy di Philip Roth si chiamerà soltanto Portnoy Dal 20 maggio, Roth entra a far parte del catalogo Adelphi con un nuovo titolo e una nuova traduzione, curata da Matteo Codignola.

Con Challengers Luca Guadagnino mostra i muscoli

Il suo nuovo film parla di corpi scolpiti, desideri e frustrazioni (non solo sessuali). Ma è soprattutto la prova dello status raggiunto dal regista, anche a Hollywood: quello di un autore che ormai può fare tutto.

26 Aprile 2024

Pronto dal 2023, è uscito al cinema il 24 aprile Challengers, un dramma sportivo psicosessuale ambientato nel mondo del tennis. Nel cast Zendaya (anche produttrice, con Amy Pascal che l’aveva scelta per gli Spider-Man con Tom Holland) nel ruolo di un’allenatrice pronta a tutto per rimettere in pista il marito, giocatore un po’ appannato, Mike Faist (West Side Story) e Josh O’Connor (La terra di Dio, La Chimera), tennisti nemici/amici. 

Patrick e Art, cresciuti assieme giocando a tennis, sono inseparabili. Quando incontrano Tashi, atleta animata dal sacro fuoco della competizione, inizia tra loro una gara nuova, al di fuori del campo da gioco, quella per conquistarla. Lei lo capisce subito però (prima di loro), la vera coppia sono i due pollastri: «Non sono una sfasciafamiglie», dice prendendoli in giro, ma terribilmente seria, com’è sempre. Patrick e Art però cadono ai suoi piedi, qualcuno vince il “trofeo” poi se lo lascia scappare, con qualche tira e molla… Poi Tashi si infortuna, la sua carriera da professionista è finita. La sua natura sadica prende così il sopravvento, lei – al contrario dei suoi spasimanti – è una tennista vera, non una giocatrice, sceglie il contendente più masochista e vive di riflesso il suo sogno sportivo attraverso di lui, trasformandolo in un campione, o almeno provandoci, e lui, succube, cerca di fare di tutto per soddisfarla. «Ti amo», le dice Art. «Lo so», risponde lei, vuota. Anni dopo i due (ex) amici si ritrovano sul campo da tennis, in gioco ci sono le loro carriere, il loro futuro, l’amore per Tashi e tutto quello che rappresenta. Soggetto e sceneggiatura sono firmati da Justin Kuritzkes, drammaturgo e romanziere già al lavoro anche sul prossimo film di Guadagnino, l’adattamento per il grande schermo di Queer di William S. Burroughs. Curiosità: Kuritzkes è il marito di Celine Song, regista e sceneggiatrice di Past Lives

I muscoli che il regista mostra sono quelli dei suoi interpreti: i bicipiti e i pettorali eburnei di Mike Faist, gli addominali e i polpacci pelosi di Josh O’Connor, di Zendaya invece mostra le ossa, rotule, clavicole, scapole. Ma, oltre alla superficie delle immagini, Challengers è un film muscolare nella sua natura, nel suo stile, con un impianto narrativo costruito attraverso una fitta sequenza di flashback, di salti temporali: la storia scatta indietro, salta avanti, con un contrappunto musicale elettronico denso e sanguigno firmato dalla premiata coppia Trent Reznor e Atticus Ross, già Nine Inch Nails e due volte premio Oscar per la Miglior colonna sonora (2011 per The Social Network e 2021 per Soul). A dar forma a questa narrazione sudaticcia, provocante e non senza ironia, immagini di grande rigore e compostezza si alternano a soggettive vertiginose, il ritmo sincopato dei servizi e dei rovesci si alterna a quello immobile che regna nelle stanze e nei corridoi d’albergo, mentre il vento impazza, rivoltando i club sportivi, rimbalzano canzoni di Patty Pravo, di Blood Orange e di Lily Allen. 

La storia del cinema è piena di triangoli amorosi (romantici e/o libidinosi), quello di Challengers in particolare riprende e amplifica lo schema classico di quelli che celano al loro interno una lettura queer. La presenza femminile, una femme fatale fantasmatica, è un tramite per il desiderio represso dei due protagonisti maschili, che vivono il loro afflato di erotici e amorosi sensi attraverso la proiezione del desiderio, condiviso, verso il corpo femminile, che fa da ponte. È, va detto, una storia vecchia come il cucco, ma sempre attuale. Giocando con le stesse regole di Guadagnino facciamo un salto indietro, passando velocemente per Gilda (di Charles Vidor, con Rita Hayworth), e arriviamo a Lubitsch. Siamo nel 1932, esce al cinema Partita a quattro, l’adattamento di una commedia brillante firmata da Noël Coward. La storia inizia in treno, con l’incontro tra una coppia di inseparabili amici (Gary Cooper, Fredric March) e una ragazza effervescente e affascinante (Miriam Hopkins). Mentre i due sono addormentati, spalla a spalla, con le gambe stese sui sedili, lei si siede di fronte a loro e inizia a ritrarli, li osserva come Tashi osserva con sorriso soddisfatto e un po’ maligno Patrick e Art, seduta in mezzo ai suoi contendenti mentre le loro lingue si cercano con slurpate di gran gusto, ormai dimentichi della presenza della ragazza.

Il Lubitsch’s touch sta tutto nel non detto ovviamente, quello di Guadagnino invece sta tutto nella maniera in cui riesce a dire, a mostrare. I tre poi, in entrambi i casi, si rincorrono per tutto il film, i due maschi gareggiano per conquistare la ragazza dal piglio comandino, lei si innamora dell’uno, dell’altro, insieme stanno benissimo e poi malissimo…  Nel modernissimo finale di Lubitsch lei sceglie di stare con entrambi, con somma gioia di tutti e in barba alle regole matrimoniali. In quegli anni il Codice Haynes non è ancora entrato in vigore, le commedie possono essere ancora frizzanti, svitate e birichine. La morale della censura scende poi come una mannaia ad appianare qualsiasi espressione eversiva, non potrà soffocare però il desiderio, che si esprimerà con innumerevoli stratagemmi, tra un fotogramma e l’altro. Gli sportivi di Guadagnino, stremati da una partita giocata senza soluzione di continuità dentro e fuori gli spazi geometricamente ben delineati del campo da tennis, riprendono le dinamiche del loro amore (romantico, tossico, castrante, energizzante) da qui, e il regista si spinge peraltro verso un finale non dissimile, ma più ambiguo. 

Se Patrick e Art avessero fatto all’amore fin da subito ci saremmo risparmiati tutta questa storia di tensioni psicosessuali punteggiate da racchettate distrutte (nella migliore tradizione Borg/Bertè), abbigliamenti sportivi in acetato filtrati da uno sguardo queer feticista, spogliatoi e saune impregnati dall’afrore di genitali, recriminazioni da romanticismi post puberali… Ma avremmo goduto di meno. Guadagnino gioca ormai un torneo tutto suo, con un cinema di tecnica squisita e solidissima, in grado di non cedere a meri virtuosismi o a svenevolezze da esteta.

Per avere un’idea di quanta altra arte c’è in Challengers, e quindi dell’abilità quasi scientifica con la quale Guadagnino ormai “sintetizza” il suo cinema: Lui e lei, un Cukor minore con la migliore coppia mai vista sul grande schermo, Katharine Hepburn e Spencer Tracy; Jenny la tennista, anime tratto dal manga di Sumika Yamamoto in cui il tennis diventa motore per un melodramma romantico di brucianti passioni sullo sfondo di allenamenti estenuanti; Match Point, l’omicidio come una partita da giocarsi fino all’ultimo punto, un Woody Allen in grande forma; La battaglia dei sessi, con Emma Stone nei panni della tennista Billie Jean King che nel 1973 sfida il maschilismo del sistema sportivo; Partita a quattro, classico di Lubitsch pre-code che benedice la “troppia” come elemento di armonia; Jules e Jim, il classico dei classici di Truffaut, anche in questo caso evitabile il finale se i due protagonisti maschili avessero zompato tra loro; Dramma della gelosia, Ettore Scola con Age & Scarpelli al loro meglio, Marcello Mastroianni, Monica Vitti e Giancarlo Giannini sul letto sono tali e quali ai tre tennisti di Guadagnino seduti assieme nella camera d’hotel; Prendi il mondo e vai, anime tratto dal manga di Mitsuru Adachi, due gemelli, il baseball, un giovane amore e la morte che rimette in gioco tutto; The Dreamers, il 1968 privato di Bertolucci, mentre fuori impazza la rivoluzione dentro palpitano pulsioni vitali, morbose e decadenti; Les Chansons d’amour, omaggio di Christophe Honoré al cinema musicale francese (Jacques Demy) che salva Louis Garrel del meccanismo mortale del triangolo lanciandolo tra le braccia di un giovane puledrino dalle idee chiarissime. Etc. etc.

Challengers però, riprendendo la poetica dei desideri repressi di Guadagnino, sembra giocare su un campo meno sghembo del solito per il regista, quasi rassicurante nella classicità dei suoi personaggi nevrotici e prevedibili: da una parte i corpi maschili sessualmente repressi e dall’altra il fantasma del desiderio incarnato da una figura femminile frigida e nervosa. Se il regista prima si era divertito a spingersi oltre i confini del consueto, per solleticare l’ambiguo fascino dello sgradevole, dopo il grande amore cannibale di Bones and All, gioca astutamente “al ribasso”, con un film impeccabile che si concentra sulla confezione di pregio, ma che nonostante qualche svirgolata pruriginosa («Da lei mi farei scopare con la racchetta») si tiene lontano (per ora) del rischio exploitation. Insomma, ancora una volta Luca Guadagnino si dimostra il più intelligente tra gli autori contemporanei, in grado di flirtare con il pop, facendogli solo l’occhiolino, lusingando, in grado di nobilitare la noia dello sport e il fastidio del sudore con sequenze di grande cinema, dove la sua maestria tecnica (fatta di scelta, di riflessione sui linguaggi, di idee: oggi merci rare) emoziona più dei sentimenti. 

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