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Benvenuti al casting della deportazione
Lo show del governo Meloni sui nuovi centri migranti in Albania è uno spettacolo tremendo.

È davvero, davvero difficile scegliere il dettaglio più disturbante delle prime deportazioni di migranti verso l’Albania organizzate dal governo italiano. Va detto che, in generale, i dettagli sono proprio tanti: dietro questa operazione c’è la potenza comunicativa degna di un’autocrazia, perché solo le autocrazie convocano tutti i media del Paese per mostrare con quanta spietata fermezza trattiamo sedici persone a caso che tre giorni fa rischiavano di annegare e che ora si ritrovano in viaggio verso un Paese di cui non sanno niente, prigionieri senza un motivo che non fosse la pulsione narcisista di una classe dirigente che per mesi è stata portata a spasso da chiunque, influencer compresi, e ora si vendica su chi proprio non può reagire.
Se uno si volesse affidare al senso pratico, come dettaglio più disturbante potremmo partire dai costi: secondo Repubblica il trasferimento sulla nave della Marina militare Libra costerà tra 250 e 290mila euro, cioè 18mila euro a passeggero. Quello italiano è un governo che non finanzia più nemmeno per sbaglio la cultura, poi però ha trovato quasi 300mila euro per fare questa costosa operazione di teatro marittimo sulla pelle di sedici persone provenienti da Egitto e Bangladesh che la notte tra il 13 e il 14 ottobre sono state soccorse e il 16 ottobre si troveranno attori non protagonisti di questa co-produzione italo-albanese. Il costo complessivo di questa operazione è di 700 milioni di euro. Praticamente un film Marvel, Avengers Endgame è costato 400 milioni di dollari, e gli attori loro li pagavano.
Non è solo una questione di costi, però. La cronaca del Corriere della Sera comincia così: «Sono stati selezionati uomini maggiorenni, senza famiglia, apparentemente in buona salute e provenienti da un Paese sicuro». Come ricompensa per aver vinto questo casting della deportazione organizzato dalla Marina per conto del governo italiano, nel centro di trattenimento a Gjader verranno premiati (è tutto vero) con «pavimenti verde speranza, anche fuori, all’aperto, quasi ci fossero dei prati tutto intorno. Il colore è stato scelto perché rilassante». E viene davvero da pensare a quanto si potranno rilassare questi uomini che sono stati puniti perché «maggiorenni, senza famiglia e in buona salute», e per questo sono stati spediti in una specie di lager extraeuropeo a trovare la speranza che cercavano in Europa in un pavimento di plastica verde che dovrebbe ricordare loro un prato.
Colpisce, come dettagli bonus, che la nave in viaggio verso l’Albania per questo triste spettacolo fosse proprio la Libra, la stessa che nell’ottobre 2013 fu coinvolta nel «naufragio dei bambini» al largo di Lampedusa. Il reato di omicidio colposo è andato prescritto nel 2022, la morte purtroppo non si prescrive. Colpisce anche come abbiamo trovato il modo di coinvolgere l’Albania in questa operazione. Sicuramente aveva senso per fini geografici, e politici, ma l’accoglienza degli albanesi negli anni ’90 fu anche una delle non tante volte che l’Italia provò il piacere della generosità e dell’altruismo su vasta scala. In mezzo c’è stato un salto quantico di civiltà: nel 1991 in un solo giorno arrivarono 20mila persone dall’Albania e trovammo posto praticamente a tutti, oggi lo spettacolo organizzato per i telegiornali è l’arrivo di sedici egiziani e bangladesi in Albania. Sedici.
Annalisa Camilli su Internazionale ha messo in fila le possibili violazioni del diritto italiano, europeo, albanese, internazionale. Fanno impressione, non è facile violare così tante leggi e convenzioni tutte insieme. L’ultimo dettaglio che colpisce, in queste cronache dalla deportazione, è che nel centro di trattenimento c’è anche un piccolo carcere. Il reality show organizzato da Piantedosi e Meloni funziona così: «Nel carcere ci andranno se, per esempio, reagiranno con rabbia al verdetto della commissione che dirà di no, che non potranno godere della protezione internazionale. Se invece accetteranno rassegnati il loro destino di respinti, dovranno aspettare in altre celle, uguali a quelle penitenziarie». In pratica se si arrabbiano dopo essere stati respinti, vanno in celle che si chiamano celle. Se non si arrabbiano dopo essere stati respinti, vanno in celle identiche, che però si chiamano stanze. Uno vorrebbe non citare Orwell, ma diciamo che non è che viene aiutato.