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Tutte le vite immaginate da Catherine Lacey

L'autrice di Biografia di X parla dell'atto di inventare personaggi e Paesi, di tecnologia nei romanzi e di collezionare cimeli di scrittrici morte.

di Giulio Silvano

Nata nel Mississippi nel 1985, Catherine Lacey ha appena pubblicato in Italia il suo quarto romanzo, Biografia di X (Sur, traduzione di Teresa Ciuffoletti), molto apprezzato dalla critica. È una biografia ben documentata di X, un’importante artista contemporanea. X ha avuto una retrospettiva al Moma nel ’94, ha prodotto dischi di Tom Waits e David Bowie, per cui ha scritto “Heroes”, ha scritto una sceneggiatura per Wim Wenders, è stata fotografata da Annie Leibovitz. La narratrice è la vedova di X, la giornalista CM Lucca, che decide di scrivere la sua versione dopo che esce un libro su X, un libro che reputa pieno di menzogne e storture. Così inizia una ricerca che le farà scoprire molti segreti e pensare alla propria relazione. Ovviamente X non esiste, questa è una finta biografia, un romanzo meta, ma ogni tanto leggendolo uno può dimenticarsene. Ne abbiamo parlato con Lacey, di passaggio a Milano con la sua editrice Martina Testa.

ⓢ C’è gente che pensa che l’artista X sia esistita davvero?

Sì. Se cerchi il libro su Google la prima cosa che viene fuori è: “Biografia di X è una storia vera?”. Lo trovo disturbante. È una dimostrazione di com’è messo il sistema scolastico americano, di come sia stato progressivamente definanziato. Basta leggere qualche pagina per capire che è fiction.

ⓢ Questo perché c’è un setting distopico, che resta nello sfondo, di un’America divisa in stati teocratici e iperprogressisiti. Perché questa scelta sci-fi?

Non mi piacciono troppo i libri ambientati in una storia alternativa. L’unico motivo per cui l’ho fatto è che volevo che questo libro fosse una biografia. E volevo che fosse una vedova che scrive della moglie morta. Non un uomo che scrive della moglie, insomma non volevo che si trattasse di una relazione eterosessuale. Se è una donna che scrive di un grande uomo c’è subito qualcosa di fastidioso in sottofondo. E anche nel caso opposto, non mi piaceva l’idea di un uomo che mette l’ultima parola sulla vita di una grande donna. Quindi dovevano essere due donne. Ma volevo che fosse nel Ventesimo secolo, e che fosse stata una coppia lesbica nel Ventesimo secolo. E quindi ho pensato: cosa devo cambiare in America per fare in modo che una donna che lavora nell’arte dagli anni ’70 agli anni ’90 si possa permettere lo stesso atteggiamento di un uomo?

ⓢ Un Sud dove comanda la Bibbia e i peccatori vengono lapidati, Bernie Sanders presidente nell’Est… Hai creato un’America alternativa per avere libertà narrativa su patriarcato e relazioni di coppia.

Esatto. Ma per cambiare così tanto doveva esser successo qualcosa, molto tempo prima, ed esser stato digerito culturalmente. Allora ho studiato un pochino di storia americana che non conoscevo, mentre scrivevo il libro. E se la rivolta di Haymarket a Chicago fosse stata risolta pacificamente? Se le idee socialiste avessero preso piede in America invece di esser schiacciate dalla violenza della polizia? Se Emma Goldman avesse accomodato un gruppo maggiore di persone portando nel mainstream le idee anarchiche? C’è stato un momento a fine ‘800 in cui c’era ancora qualcosa di molto radicale in America, un momento in cui sarebbe potuta diventare una nazione comunista, o sicuramente socialista. E la destra religiosa avrebbe sicuramente reagito demonizzando tutto. Nel libro ho messo solo le cose necessarie perché la storia di X avesse senso. Ma si dà per scontato che il lettore sappia già cos’è successo nel Paese. In breve, ho dovuto riscrivere la storia in modo che ci potesse essere una lesbica potente in America.

ⓢ Perché hai preferito scrivere degli anni ’70, ’80 e ’90? Oggi magari un’artista lesbica potrebbe essere potente, senza cambiare i libri di storia.

Preferisco evitare internet e i cellulari nei libri. Penso che siano strumenti estremamente profondi ma non li conosciamo, sono ancora troppo nuovi per comprenderli davvero. E anche se rispetto chi scrive libri di tecnologia, quando provo ad ambientare qualcosa nel presente mi sento di dover digerire e parlare di internet e dei cellulari, dire almeno qualcosa. Ma non mi interessa abbastanza per scriverne.

ⓢ I cellulari uccidono la trama? Bret Easton Ellis racconta quanto è rilassante scrivere di un tempo pre-smartphone.

Senza cellulari il plot è sicuramente più divertente. E poi credo di avere nostalgia per una tecnologia più analogica. Crescendo avevo una macchina per la segreteria telefonica. E me ne sono comprata una quando sono andata a vivere da sola, e un anno dopo era già completamente obsoleta. Ma è forse un po’ pigro da parte mia, ci sono sicuramente romanzieri che sanno ambientare i libri oggi e lo fanno bene, ma io non ho ancora trovato il modo. Un paio di anni fa ho lasciato per sbaglio il telefono su un taxi a Città del Messico. Me l’hanno immediatamente rubato e hanno provato a contattarmi per rivendermelo. Ma ha reso la mia vita estremamente interessante per qualche giorno (ride, nda). Dei giorni ricchi di trama. E ho imparato a girare per la città senza Google Maps.

ⓢ La ricerca del passato di X avviene tramite l’incontro di fonti primarie, niente social. Hai fatto molto lavoro di archivio?

Ora scrivere una biografia di un’artista, se ha i social, può essere meno misterioso. Puoi scrollare fino in fondo al loro profilo Instagram. Fare lurking. Io lo faccio sempre. Tornare il più possibile indietro in un profilo è molto divertente. È per quello che io cancello a un certo punto le cose vecchie. Ma è troppo facile così. Per il libro ho fatto ricerche di archivio, dove si scoprono davvero dei segreti, cose collegate tra loro di cui non sapevi. Ho letto i diari di Richard Hell alla NYU e ho scoperto che ha aveva avuto una storia con Susan Sontag. Lui molto più giovane di lei. C’è qualcosa di interessante nel rubare dai personaggi attraverso archivi e diari, e X nasce da varie di queste persone.

ⓢ Nel libro ci sono molti personaggi realmente esistiti. Uno è Renata Adler: perché lei?

Ne sono molto affascinata. Penso che sia la scrittrice di metà secolo più sottovalutata. L’ho intervistata anni fa. Penso che il suo giornalismo sia molto interessante. Cioè, Joan Didion è fantastica, ma è diventata nella nostra generazione una sorta di figura culto. Ho visto la faccia di Joan Didion sulle borse, dappertutto. Didion è brava, ma mi stanco quando alcune persone vengono trasformate in icone e ci sono scrittori in giro che sono allo stesso livello o anche più bravi e più interessanti. Come Adler.

ⓢ Di recente a un’asta di cose di Joan Didion son stati raggiunti prezzi assurdi. Anche i suoi Moleskine incellophanati li hanno venduti per migliaia di dollari, mai usati, vuoti.

Cosa te ne fai? Lo usi? Quando Philip Roth è morto – non mi piace nemmeno troppo la sua scrittura, ma son affascinata da lui – c’era un’asta delle sue cose e stavo guardando per mera curiosità. Ho fatto un’offerta per un trolley messo malissimo, e poi per un pupazzo di una giraffa, altissimo, fatto tipo di vimini. Così la gente che entrava a casa mia avrebbe detto: cos’è questa giraffa gigante? E io: era di Philip Roth! Ma la mia offerta è stata subito superata. Se dovessi comprare una cosa del genere deve essere per forza qualcosa di molto divertente. Non un Moleskine incellophanato, troppo noioso. Ma la giraffa di Philip Roth?

ⓢ Un altro personaggio che appare è Carla Lonzi, che qui sta vivendo un momento di rinascimento.

Vivevo a Berlino ho incontrato una donna che era appena tornata dall’Italia, un’accademica, e a Milano aveva scoperto Carla Lonzi che io non conoscevo e mi ha detto: «Devi vedere una foto di questa donna, incredibile», e mi ha fatto vedere questa foto di Pietro Consagra. È una foto di Carla Lonzi con dei pantaloni di pelle e la camicia bianca ed è pura seduzione. L’immagine di questa donna mi sembrava così potente, e mi sono incuriosita e ho cercato tutto quello che potevo su di lei a Berlino. Volevo leggere Vai Pure ma non l’avevano tradotto. In questo modo Lonzi è entrata nel libro. Non sono un’esperta di Carla Lonzi e spero che a nessuno dispiaccia se la uso come personaggio. Io non voglio essere storicamente accurata, non per forza. Il libro ha fatto infuriare qualche persona. Alcuni puristi su Emma Goldman ad esempio si sono scocciati, non gli piace se infili il loro eroe in un romanzo e lo deformi.

ⓢ Come scrivi?

Per dieci anni, compreso questo libro, ho sempre scritto nello stesso modo. Le prime ore del giorno. E avevo sempre un romanzo su cui stavo lavorando, e un documento sul computer, sempre aperto, dove aggiungevo cose, collezionavo idee e frasi come un uccello nervoso che fa il nido. Ora non lo faccio più, non scrivo più tutti i giorni. Ho appena scritto un nuovo libro e l’ho fatto in modo diverso. Ora vivo e ogni tanto scrivo. Ero sorpresa, dopo aver cambiato le mie abitudini in un anno e mezzo ero riuscita comunque a scrivere un nuovo libro. Prima avevo come questa superstizione, che per me funzionava, e dove ho imparato a tradurre i pensieri in linguaggio. Dovevo avere questo lungo periodo molto religioso di lavoro. La pratica era molto rigida e scrivevo ogni mattina. Fino a irritare le persone con cui vivevo. Ma non me ne fregava un cazzo (ride, nda).

Foto di Catherine Lacey ©Willy Somma