Cultura | Arte

Felice Casorati, un pittore profeta

Nella grande mostra a Palazzo Reale, a 100 anni dalla Biennale di Venezia che ne sancì la fama, troviamo tutto il fascino e le inquietudini degli anni '20 e '30 del secolo scorso, che si sentono ancora oggi. Ne abbiamo parlato con la curatrice Giorgina Bertolino.

di Davide Coppo

Quando mi trovo in giro per l’Italia e ho delle ore libere, cerco un quadro di Casorati. Prendo un biglietto alla galleria d’arte moderna locale, mi godo in fretta il percorso risorgimentale e romantico, attendo l’arrivo del Novecento e spero di trovarlo lì. Ho scoperto con meraviglia le “Donne in barca” alla Galleria Ricci Oddi di Piacenza; le dita apprensive di “Hena Rigotti” a Torino; i colori e la tensione degli “Scolari” a Palermo. Peccato, ho pensato, che quest’ultimo non sia a Milano, nella bella, emozionante personale che il Palazzo Reale di Milano gli ha dedicato 35 anni dopo l’ultima volta. Casorati non accende le passioni più selvagge legate agli orizzonti naturali di Carrà, suo quasi coetaneo a cui Palazzo Reale dedicò un’altra importante monografica nel 2019, ma porta con sé un’intrinseca malinconia che si produce in ogni opera, dagli anni Dieci del Novecento fino alla fine della Guerra, attraverso stili pittorici differenti eppure coerenti, tutti fatti di una compostezza silenziosa, elegante, piena di letteratura.

Il motivo principale per cui lo ritroviamo in questo inizio 2025 è, naturalmente, legato al secolo che è intercorso tra la Biennale veneziana del 1924 e oggi. Ma Casorati, nell’epoca dell’immagine e della fotografia e dell’intelligenza artificiale, mi sembra anche un pittore dei più contemporanei tra i suoi coetanei, per i suoi quadri costruiti e pacati, solitari ed eleganti. Vedo delle sue eco mentre cammino nei corridoi di Miart anno dopo anno, nell’enorme rassegna Pittura Italiana Oggi della Triennale del 2023, nel successo di Domenico Gnoli a Fondazione Prada che, a sua volta, dialoga felicemente con un tipo di immagine che appare costruita per un feed di Instagram di oggi. Quella fortunata stagione del primo Novecento era stata celebrata già nel 2022 con la bella mostra sul Realismo Magico, ancora qui a Palazzo Reale. «Sono passati cent’anni», mi dice Giorgina Bertolino, che insieme a Fernando Mazzocca e Francesco Poli ha curato la mostra, «ci sono dei cicli di attenzione che tornano». Bertolino conosce bene Casorati, è autrice del Catalogo generale delle opere, e mi è sembrata la persona giusta con cui parlare dell’opera e della contemporaneità di un pittore che ha dipinto i volti luminosi e ignari della borghesia negli anni che precedettero l’avvento della dittatura, gli angosciosi interni silenziosi e spogli, e poi i volti scuri e gli sguardi bassi degli anni Trenta, e i piccoli esili al mare o in campagna, più avanti ancora, di donne taciturne e fragili.

ⓢ Cent’anni dopo la situazione politica internazionale ha delle similitudini preoccupanti con quegli anni Venti del Novecento. Forse c’entra anche questo nel grande amore che rimane per Casorati: guardare la reazione di quell’arte e immaginare come sarebbe oggi.
È interessante, e fa una certa impressione. Noi studiamo nel presente, e non possiamo dimenticarci del nostro tempo mentre progettiamo una mostra, mentre la curiamo.

ⓢ Venendo alla pittura contemporanea, c’è qualcosa di Casorati che rivede in giovani artisti e artiste di oggi?
Le posso dire, per esempio, che in questo momento al Centro Pecci di Prato c’è una mostra che si intitola Le Signorine di Margherita Manzelli. Che fa un lavoro molto diverso da Casorati, però è interessante perché il titolo si confà all’immaginario. “Le signorine” è uno dei quadri più conosciuti del primo Casorati, dipinto nel 1912 ed è in mostra, in prestito dalla Galleria Internazionale di Ca’ Pesaro, a Venezia.

ⓢ C’è un Casorati “per antonomasia”?
Quello degli anni ’20, sì. Nella mostra questo ha un apice nella sala dedicata alla Biennale del 1924: abbiamo ricostruito quel momento che è molto importante per Casorati, perché lui fa questa personale alla Biennale introdotta da Lionello Venturi, e in c’erano 14 opere in mostra, nella retrospettiva di Palazzo Reale di quei quattordici ce ne sono sette, considerando tra l’altro che tre sono andati bruciati in questo rogo nel Glaspalast di Monaco di Baviera del 1931, dove lui perde questo dipinto che ha sempre considerato il suo capolavoro, “Lo studio”. Quindi, per tornare alla sua domanda, direi che il Casorati più riconoscibile, più noto è quello dei primi anni Venti fino alla metà degli anni Venti. Quella biennale gli diede una visibilità e un successo internazionale per cui è poi cominciato tutto un itinerario espositivo in Europa, negli Stati Uniti e poi più tardi, negli anni Trenta, anche in Sud America. Era un artista che all’epoca era molto conosciuto anche fuori dai confini.

Ritratto di Renato Gualino

ⓢ Dopo tutti questi anni passati a tenere una conversazione invisibile con Casorati, ci può dire che tipo era?
Era un uomo che si restituiva come un solitario ma che in realtà era molto socievole, molto ospitale, sempre circondato di persone. Questo lo si deduce dai racconti anche degli altri artisti, degli altri intellettuali… Era molto simpatico, io l’ho visto solo attraverso le trasmissioni della Rai del ’58. Era un narratore, che sapeva raccontare di sé della propria pittura, direi un uomo sorridente anche, però era anche un uomo potente, che ha partecipato alla vita pubblica dell’arte in Italia durante tutta la sua vita.

ⓢ Lo spirito politico della sua epoca ha influito sul modo di dipingere i soggetti? Le donne ritratte nei quadri degli anni Trenta hanno tutte questo sguardo basso, colpevole o sconfitto.
Esatto, Casorati da una parte aveva un… corredo antifascista, perché era molto amico di Gobetti nei primi anni Venti. Poi il suo antifascismo è diventato più una forma privata. Lui tra l’altro era sposato con un’artista inglese, quindi durante la guerra ovviamente si è anche un po’ ritirato.

ⓢ Una resistenza.
Io trovo che soprattutto negli anni Trenta, quindi appunto nell’ultima fase della mostra, lui abbia una forma di resistenza alla retorica del corpo, del corpo prestante, del corpo atletico. Una figura esemplare di quello che le sto dicendo è Narciso, questo piccolo bambino che si guarda in questo frammento di specchio ai suoi piedi, con la mano sul capo, e queste due ragazzine alle sue spalle, spaventate, stupite per qualcosa che è successo che non sappiamo. Ecco, in quella gracilità del corpo, nelle figure malinconiche, sono a mio parere una forma di resistenza attraverso la pittura a questa retorica del corpo forte, del corpo prestante, della gioia di vivere.

Ragazze a Nervi

ⓢ Margherita Sarfatti nel ’26 disse che una parola da associare alla pittura di Casorati è “letteratura”, e ho pensato che effettivamente dal suo studio uscì una grande scrittrice come Lalla Romano. In che modo la pittura di Casorati è letteraria?
È sempre difficile arrivare al punto con Casorati, e questa è anche la sua forza, questo essere sempre sfuggente. Lui detestava essere definito letterario, perché era proprio un giudizio che molto spesso si legava al concetto di cerebrale. Però sicuramente i suoi dipinti sono dei nuclei narrativi, molto ermetici, molto chiusi. E poi nella sua fase simbolista lui diceva: sono diventato un visionario, non vedo che le notti stellate, le anime e i sogni. Era chiaramente letterario. Poi, appunto, c’è il quadro “Conversazione platonica”, un titolo che è letteratura, ma c’è anche tanta ironia. Quell’accostamento del corpo vestito, dell’uomo col cappello, e questa donna bellissima distesa nuda in tranquillità, aveva suscitato scalpore e soprattutto aveva innescato una serie di articoli dove ci si interrogava sulla donna tipo 1926, sui nuovi costumi femminili, su una nuova femminilità,

ⓢ L’ultima domanda è per la mia prima passione: mi sembra che questa mostra, e Casorati in generale, sia anche una mostra di mani. Attraverso le mani si vedono tutte le emozioni che i volti a volte non esprimono.
Sì, si potrebbe guardare tutta la mostra solo nelle mani. E poi come cambiano, nel senso che le mani di Gualino, le mani di Cesarina Gualino, le mani di Silvana Cenni, le mani di Hena Rigotti, sono mani bellissime, con queste dita affusolate, veramente molto eleganti. Però se lei va a vedere i quadri degli anni ’30, per esempio le “Ragazze a Nervi”, ecco lì la pittura va verso una deformazione, i corpi si ingrandiscono, le mani che diventano anche sgraziate, quasi tozze, addirittura arrossate, però nel loro non essere più quelle mani così eleganti e con queste dita lunghe e affusolate, sono mani che portano delle emozioni molto fini.