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La locandina di Eddington, il nuovo film di Ari Aster, è un’opera d’arte, letteralmente Il regista presenterà il film in anteprima mondiale al prossimo Festival di Cannes, in programma dal 13 al 24 maggio.

Modellista non impegnato

Adelphi ripubblica Stella Distante di Bolaño. Riflessioni sulla scrittura quasi "amatoriale" del cileno e sull'ideologia nella letteratura.

05 Febbraio 2013

Stella distante, apparso per la prima volta in Italia nel 1999 da Sellerio, viene ora, e in tempi decisamente più propizi considerato il culto successivo alla morte che è stato tributato a Roberto Bolaño, ritradotto (da Barbara Bertoni) e ripubblicato da Adelphi, che nel corso di questi anni ne ha praticamente assorbito il catalogo. Lettura di mezza giornata, una magnifica lettura di mezza giornata, è un super-condensato (centocinquanta pagine) dei temi e delle immagini che definiscono l’aggettivo bolañesco: la stessa ambientazione anni Settanta dei Detective selvaggi con gli sgarrupati circoli letterari in un America Latina ancora utopica; la ricerca di un poeta/scrittore fantasma, il cui mito si è alimentato di ambiguità (il Benno Von Arcimboldi di 2666); una mostruosa borgesiana divertentissima bibliografia immaginaria; e: località di villeggiatura fuori stagione (Il Terzo Reich), war games (ancora Il Terzo Reich), pornografia (con una apparizione, mi pare di poter dire, di Moana Pozzi sotto falso nome).

In breve Stella distante è una biografia, dedotta e zeppa di digressioni, del poeta aereo (nel senso che scriveva le sue poesie nel cielo con il fumo di un aeroplano) Carlos Wieder conosciuto anche come Alberto Ruiz-Tagle, giovane letterato di belle promesse a vent’anni, divenuto, dopo il colpo di stato di Pinochet, uno spietato torturatore militare. Una biografia immaginaria massimamente ispirata dalle biografie immaginarie di Borges – Pierre Menard viene citato nel prologo come nume tutelare – ma che nella sua tendenziosità, nelle lacune, nelle incertezze della ricostruzione, operata dallo voce dello stesso Bolaño, che non fa il suo nome, ma si rende riconoscibile come autore della Letteratura nazista in America, fa pensare anche ai romanzi-biografia di Nabokov (Fuoco pallidoSebastian Knight).

Due considerazioni strane, tra le altre, che mi sono venute da fare a fine lettura.

1. La posizione politico-letteraria di Bolaño è una delle varie cose che trovo sorprendenti di questo scrittore. L’esilio dal Cile di Pinochet e la formazione marxista sono esperienze che avrebbero suggerito una visione della propria funzione di intellettuale all’insegna dell’impegno, della tensione morale, della lotta contro il male. E invece niente di tutto questo caratterizza la scrittura del cileno, la cui stella polare etica, e strumento di interpretazione del mondo, è sempre e comunque la letteratura, e a partire già dal suo precocissimo apprendistato messicano. Bolaño non usa per esempio la letteratura per parlare della dittatura cilena e metterla sulla graticola, ma usa la dittatura cilena per parlare della letteratura (e delle sue miserie). Questo culto della letteratura come universo parallelo lo rende uno scrittore metafisico, molto più che uno scrittore sociale, un escapista, più che un esiliato. Ed è anche vero che ogni suo libro è una disperata e infinita indagine sul male, ma è altrettanto vero che la ricerca si conclude sempre con una silenziosa accettazione, un nulla di fatto. D’altra parte se lo scrittore a cui si può più facilmente accomunare è Borges, non esattamente un intellettuale “impegnato”, e se lo stesso Nabokov sembrerebbe essere uno dei suoi zii alla lontana, è difficilmente sostenibile l’idea che sia uno scrittore di sinistra. E con scrittore di sinistra non s’intenda uno scrittore che vota a sinistra, ma uno scrittore che fa del suo essere di sinistra una ragione della propria missione letteraria. (Nota personale: ho sempre preferito gli scrittori di destra agli scrittori di sinistra, anche senza saperlo).

2. Bolaño è un tipo di scrittore il cui lavoro, a livello di storie, di stile, di immaginazione trova spiegazione in un contesto di scrittura amatoriale. C’è un tale senso di libertà, di gioco, di passione, di naturalezza e quindi di vera vocazione nei suoi romanzi che si fa fatica a immaginare che l’autore avrebbe prodotto gli stessi libri anche come professionista della letteratura (non solo ha esordito a quarant’anni, ma è diventato veramente riconosciuto a livello internazionale solo dopo la morte, a cinquant’anni). Questa libertà è una qualità molto difficile da trovare negli scrittori di fiction della nostra epoca ed è, secondo me, una delle cose che lo rende così singolare. C’è una immagine precisa e un po’ fastidiosa che visualizzo di frequente quando inizio a leggere un libro, anche a prescindere dalla bellezza del libro in questione, che si può descrivere come l’immagine dello scrittore che batte i tasti. È la percezione della natura innaturale dell’azione di mettersi a scrivere un romanzo, che per quanto occultabile con il mestiere finisce spesso per galleggiare tra le righe al punto da trasformare certi libri in romanzi adesso mi metto a scrivere un romanzo. Il senso di libertà che si trova nei libri di Bolaño fa quasi pensare, invece, a una dimensione privata della scrittura. Fa pensare a un modellista che costruisce navi in bottiglia. Al piacere assoluto di farlo. E a me personalmente fa pensare ad altri incompresi amateur novecenteschi. E innanzitutto a Philip Dick che, per queste e altre ragioni (per esempio la dimensione metafisica di cui sopra, o anche la coerenza interna dei rispettivi universi immaginativi) io vedo come una specie di fratello dello scrittore cileno. Probabilmente sto avallando una visione romantica della letteratura secondo cui si scrive meglio se si resta incompresi per un po’. In realtà m’interessa di più definire una categoria di scrittori, che hanno vissuto involontariamente l’isolamento o lo hanno scelto e, grazie a quest’assenza di comunicazione con l’esterno, hanno potuto sviluppare con estrema libertà la loro cosmogonia in vitro. Un altro autore che mi viene da accomunare a Dick e Bolaño è Thomas Pynchon. Non proprio un incompreso, considerata la fama e l’affascinante alone di mistero che lo ha avvolto sin quasi dagli esordi, ma sicuramente un altro costruttore di navi in bottiglia. Al punto che tra le tante teorie che seguono la sua celebrità letteraria, quella che mi è sempre sembrata più credibile è che si tratti di un professionista dell’editoria, un autore di romanzi normali con il suo vero nome, che nel tempo libero si dedica all’hobby di essere Thomas Pynchon.

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