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Il 25 aprile Lucky Red riporta al cinema Porco rosso di Hayao Miyazaki Con delle proiezioni speciali per celebrare la Festa della Liberazione.
Google sta sviluppando un’intelligenza artificiale per parlare con i delfini Se tutto andrà secondo i piani, DolphinGemma ci aiuterà finalmente a capire cosa dicono e a comunicare con loro.
La Royal Philarmonic Concert Orchestra farà due concerti in cui suonerà la colonna sonora di Metal Gear Nella più prestigiosa delle cornici, anche: la Royal Albert Hall.
È uscito un libro con tutte le fotografie scattate da Corinne Day sul set del Giardino delle vergini suicide Pubblicato da Mack, è un'aggiunta indispensabile al kit di sopravvivenza di tutte le sad girl del mondo.
Un gruppo di giovanissimi miliardari sta organizzando delle gare di spermatozoi Il pubblico potrà seguire tutto in diretta streaming e anche scommettere sullo spermatozoo vincitore.
Jonathan Anderson è il nuovo Direttore creativo di Dior Men Debutterà a giugno, a Parigi, durante la settimana di moda maschile.
«Non siamo mai stati così vicini alla scoperta della vita su un altro pianeta» Lo ha detto il professor Nikku Madhusudhan, responsabile della ricerca dell'Università di Cambridge che ha trovato molecole compatibili con la vita sull'esopianeta K2-18b.
La locandina di Eddington, il nuovo film di Ari Aster, è un’opera d’arte, letteralmente Il regista presenterà il film in anteprima mondiale al prossimo Festival di Cannes, in programma dal 13 al 24 maggio.

“Bisi” e la Repubblica della trasparenza

26 Giugno 2011

Con la faccenda P4 si ha, per l’ennesima volta, l’impressione che alla fine questioni di interesse pubblico vengano gestite e discusse dai soliti (ig)noti. Individui peraltro piuttosto sboccati, volgari e – peggio di tutto – non valutati secondo metodi democratici seduti a qualche tavolata romana imbandita a portate di cacio e pepe, pajata e vino dei colli. Personaggi di un’antropologia discutibile che agiscono in un clima da Duca Valentino più che da democrazia inserita nel G8 e coeva di un presidente americano che si firma BO su Twitter.

Che il fascicolo Bisignani contenga o meno elementi di vera rilevanza penale, non può piacere a nessuno scoprire che il “faccendismo” come tratto tipico della pancia politica italiana è ancora tutto lì, consustanziale alla gestione del potere oggi come 20, 30 o 40 anni fa. È comprensibile quindi che – specie in un momento così critico, così pieno di “cose serie” di cui una “classe dirigente” dovrebbe occuparsi – l’opinione pubblica accolga con preoccupazione un’indagine che apre squarci su un clima del genere. Legittimamente ne consegue una richiesta di maggiore trasparenza e moralità, anche se è evidente che la strada per ottenere questa trasparenza è tortuosa e piena di vicoli ciechi, dal momento che dovrebbe essere percorsa da una classe politica che non sembra finora in grado di rigenerarsi e ripulirsi dall’interno né di darsi regole nuove, certe e visibili che garantiscano in tempi brevi una diminuzione di opacità. E si sa, più impervia è una strada e più è probabile che qualcuno ceda alla tentazione di prendere qualche scorciatoia. Di ergersi a paladino di “quello che non c’è” (la morale), citando un gruppo che non mi piace.

Lasciando da parte la questione dei magistrati che, come si scriveva ieri su Il Post: «hanno il dovere di fare le indagini e non di diventare semplici sbobinatori»; in tema di paladini donchichiotteschi è emblematico il caso de la Repubblica, ormai in una “missione civilizzatrice” tanto permanente che non dovrebbe stupire più nessuno coi suoi “eccessi”. Ed eppure ci riesce ugualmente. Prendete per esempio l’edizione di mercoledì che resta un memento mori dei danni che un insieme confuso di tentazioni moralizzatrici, di calcoli di vendita, di intenti politici e infine di puro e semplice giornalismo peloso può arrecare al blasone di un quotidiano che ha comunque fatto la storia dell’editoria italiana. Sette pagine di intercettazioni, la cui rilevanza non solo penale; ma anche giornalistica e informativa era così risibile che persino molti fan tra i più sfegatati del “partito” del giornale  hanno percepito la stonatura.

È il «retroscenismo verbalizzato» che si sta sostituendo al giornalismo giudiziario come ha scritto ieri Claudio Cerasa de Il Foglio ; se non un «vero genere letterario-giornalistico legato più ai criteri di scrittura delle sceneggiature di successo che a quelli di comprensione della realtà» per citare Luca Sofri, direttore de Il Post, in un intervento sul suo blog Wittgenstein, intitolato «A incasinare le cose, le cose si incasinano». Un mutamento genetico che sta cambiando la natura del giornalismo stesso nonché quella del suo rapporto con il pubblico e con i fatti che racconta o, detta bene: il giornalismo sta «andando in molte nuove direzioni e l’unica cosa buona da fare è comprenderle e saperle decifrare, sapendo di muoversi spesso nella letteratura, ma che anche la letteratura è capace di farci capire delle cose quando le prendi le misure». Il virgolettato è sempre di Sofri.

In questo scenario – nuovo ma comunque endemicamente italiano – qualcosa rischia però di finire ai margini ed è purtroppo – come accade spesso – proprio la questione principale, ovvero la lotta per un’aumento di trasparenza (dell’informazione e dell’amministrazione) che, immagino, sia il primo movente che ispira un quotidiano a pubblicare tutto il pubblicabile di un’inchiesta pensando così di agire nel bene, ovvero nel pubblico interesse, e finendo invece per intorbidire le acque e annacquare i principi, creando un calderone in cui i detti si mescolano ai fatti senza che sia più possibile operare un distinguo tra i due.

Il risultato è la creazione di un’opinione pubblica drogata di sdegno 24/7/365, che si lascia andare allo sgomento per il pettegolezzo e il malcostume verbale ed è sempre più disabituata a valutare i contenuti sostanziali di un’indagine. Il risultato è un’opinione pubblica incapace di distinguere il peso etico di un comportamento dal suo “inestetismo” formale. Il risultato è un’opinione pubblica tanto lubricamente attratta dagli scandali quanto assuefatta e ormai quasi disinteressata (o, peggio, priva dei mezzi per giudicarle) alle loro conseguenze e alle loro risultanze giuridiche. Il risultato è un’opinione pubblica che segue la vita politica a cicli d’inchieste, come un tempo si seguivano i grandi casi di cronaca nera. Il risultato è un’opinione pubblica infantilizzata; perfetta per consegnarsi a mani alzate ad altre venticinque generazioni di faccendieri.

La formula magica per aumentare “la trasparenza” non esiste. Quello del lobbismo americano potrebbe essere un modello, per esempio. Ma ci si dovrebbe arrivare attraverso delle riforme, in un paese che ne è allergico, e con una classe dirigente che – come si diceva all’inizio – non ha nessun interesse a modificarsi in tal senso. Siamo un gatto che si morde la coda, ma non smetteremo di mordercela perché la Repubblica ci ricorda ogni giorno che è un gesto molto poco elegante.

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