In quest’epoca di caos, c’è chi trova rifugio nel beige

Arredare e vestirsi nei toni del crema e del nocciola chiaro potrebbe sembrare soltanto un trend ma in realtà rispecchia l'intenzione di chiudersi in un'esistenza-bolla che rifiuta il caos.

21 Marzo 2025

Prima di iniziare a scrivere questo articolo sono andata a controllare la mia bacheca Pinterest dedicata all’arredamento di interni. Ero sicura di non essere immune alla malattia del beige, mi ricordavo troppo bene quanto mi era piaciuto quel video in cui Kim Kardashian ci portava a scoprire la sua casa-cattedrale tutta asettica, liscia, neutra. Per un po’ mi sono anche arrabbiata con chi non capiva l’idea dietro, dicevo a tutti che è molto più difficile curare uno spazio vuoto, che «sono i materiali e i colori a parlare, voi non ci arrivate». Mi piaceva che fosse un’evoluzione ancora più minimalista e scarna dello stile scandinavo che andava tanto di moda, che portasse all’estremo i bianchi, i beige e i legni. Mi intrigava capire quanti elementi tipici di una casa si potessero sottrarre prima che iniziasse a perdere il suo significato e diventasse una specie di concetto astratto.

Dal Millennial Grey al Sad Beige

Ora, suggerisce Pinterest, ho cambiato idea. È anche vero, però, che qualche anno fa i nostri spazi digitali non erano ancora così saturi di calde tonalità neutre e di tutti i significati che si portano dietro. Negli Stati Uniti, molto più che in Europa, regnava il millennial grey, un grigio che sembrava impastarsi senza discrimine a mobili, muri, pavimenti e oggetti ornamentali presenti nelle case dei giovani americani. Uno sgradito regalo della crisi abitativa: uno spazio generico e privo di personalità è trasversale, ovvero facile da vendere senza grossi problemi a un pubblico ampio.

La pandemia e il conseguente obbligo di rimanere in costante contatto con le nostre case ci hanno aperto gli occhi sullo spazio attorno a noi: e se il grigio fosse troppo freddo e deprimente? E se casa mia dovesse ancor di più diventare un tempio di pace e relax capace di sedare la produzione di una qualsiasi emozione forte? E così, senza troppi scossoni, ci ha travolti un’onda di sfumature marroncine. L’abbiamo fatta entrare a colpi di rilassanti video di deep cleaning, di oggetti per la casa comprati tramite link affiliati Amazon e di giovani donne che sostenevano di assecondare la clean girl aesthetic.

Come sempre, le influencer e le nicchie a cui aderiscono sono la stella polare a cui guardare per capire qualcosa di più. Sotto l’enorme ombrello dei toni neutri si sono raggruppate diverse affiliate di quelle estetiche tutte sempre uguali ma leggermente differenti: le pulitine, appunto, ma anche le ragazze old money, le pilates princess, quelle che credono nella quiet luxury e le mamme sad beige, che bandiscono dalle vite dei loro figli i giochi dai colori psichedelici che hanno definito le nostre infanzie.

Il disgusto per il caos

A ben guardare, tutte queste persone sono accomunate da un profondo disgusto per una cosa: il caos. Un’insofferenza che non è soltanto rivolta verso lo sporco e i colori accesi, ma anche con la difficoltà a tollerare la possibilità che il disagio possa essere un’opzione. Non solo: ad accettare che il sentirsi leggermente scomodi sia spesso una grande livella, la condizione che ci accomuna tutti e che ci accompagna per gran parte delle nostre vite. Non penso che le nostre case debbano per forza di cose essere dei luoghi in cui sentirci male né penso che tutte le case beigioline appartengano a persone incapaci di formare un pensiero complesso. Credo invece che rifugiarsi nel beige sia l’ennesimo sintomo di come ci stiamo abituando a vivere: nelle nostre esistenze-bolla, protetti da una routine ferrata e da paletti progettati con cura, che annullano gli inconvenienti e ci danno in cambio un fittizio senso di controllo. 

Potrà sembrare un paragone azzardato, ma togliamo i colori e le spigolosità dalle nostre case con la stessa facilità con cui rimuoviamo dalle nostre vite tutti gli elementi di possibile deragliamento, che circoscriviamo anch’essi in categorie precise e invariabili: le persone tossiche, i narcisisti, le amiche stronze, le opinioni forti. Non possiamo sgarrare dalle nostre skincare routine; non riusciamo a coricarci a letto la sera – dopo una cena bilanciata, sempre entro le ventitré, con il mouth tape incollato alle labbra – o a uscire di casa la mattina senza aver compiuto i nostri rituali apotropaici; non vogliamo vivere in case in cui le riviste e i vestiti si impilano sul pavimento o sui mobili. Se qualcosa turbasse l’ordine di questa nostra scaramanzia post capitalista, chissà quale disgrazia potrebbe accadere. In tutta probabilità, una delle peggiori potrebbe essere prestare attenzione a quello che ci circonda. Il beige e la necessità di fare ordine sono una presa di posizione precisa. Sono la volontà di esercitare il controllo su quel poco che ci rimane e, allo stesso tempo, di chiamarci fuori dalla narrazione prevalente, tutta fatta di angoscia e instabilità. Una vita beige è una vita neutra e neutrale, che non richiede di interagire davvero con il mondo esterno o di prendere una posizione.

Il caldo abbraccio dell’uniformità

Non è un caso che tutto questo succeda proprio ora, in un momento storico così precario. Veniamo da un mondo che ci ha chiesto di terapizzarci, di imporci e imporre dei limiti stringenti, di curare i nostri bambini interiori e di mandare a memoria le corrette regole per una vita condivisa sana e igienica, ma non abbiamo ben capito come farlo. E allora ci stiamo lasciando volentieri alle spalle tutto ciò che ci siamo detti essere di rottura – delusi, forse, perché non abbiamo trovato il giusto modo per rompere davvero qualcosa – per tornare in un luogo più sicuro e conosciuto: il confortevole abbraccio del conservatorismo e la sua passione per la sobrietà. Un luogo che, alla fine, non abbiamo mai lasciato del tutto, e di sicuro non mentre dichiaravamo di «star proteggendo la nostra pace».

Al di là dei recenti sviluppi politici in Paesi più o meno vicini al nostro, è il discorso online a restituirci la popolarità del decoro tra le generazioni più giovani. A differenza di altre che sono arrivate e scomparse nel giro di pochi mesi, l’estetica dell’ordine ha accompagnato gli ultimi anni delle nostre vite digitali, evolvendosi e rafforzandosi di volta in volta. Se nella decade che ci stiamo lasciando alle spalle abbiamo imparato ad abituarci a una diversità capace di espandersi dalla politica alla moda, ora dobbiamo fare i conti con un modo di guardare il mondo che favorisce l’uniformità totale, estetica e di pensiero. Non stupisce che le principali promotrici di essa siano donne bianche, le testimonial perfette di un sistema che impone loro di essere carnefici e vittime, idoli e schiave. Ragazze in completini da pilates e con i capelli raccolti in uno chignon ci parlano indiscriminatamente dei loro allenamenti, di come proteggersi dalla tossicità delle altre persone e di come hanno arredato il loro safe place, ovvero – di nuovo – il loro appartamento tutto bianco e beige.

Quanto ci hanno stancato i trend

Dopo l'ondata di micro tendenze nate negli ultimi anni, su TikTok la community discute di come trovare – e mantenere – uno stile personale, abbracciando la vecchia divisa.

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Che fine ha fatto lo stile personale?

Un guardaroba di essenziali è preferibile a un armadio pieno di capi e accessori spesso in contrasto fra loro? La discussione social intorno al “personal style” ci racconta cosa significano oggi i vestiti, tra spirito di emulazione, nostalgia e consumismo estremo.

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