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Libera spiaggia in libero Stato

Intervista ad Agostino Biondo di Mare Libero, "comitato di liberazione balneare" che sta portando avanti la protesta contro gli stabilimenti che continuano a occupare le spiagge nonostante concessioni ormai scadute da tempo.

di Lorenzo Camerini

L’Italia è una penisola che si allunga nel Mediterraneo. La sua costa si estende per circa 8000 chilometri. È difficile ricavare dati precisi, ma secondo le stime più attendibili gli stabilimenti balneari gestiti da privati occupano poco meno della metà della litoranea italiana. È un’anomalia? Sì, basta farsi un giro oltre Chiasso per accorgersene. In Francia, almeno l’80 per cento della riva deve rimanere libera da strutture, equipaggiamenti o installazioni. In Portogallo, le licenze durano al massimo dieci anni. In Grecia, la normativa nazionale prevede procedure di selezione che garantiscono imparzialità e trasparenza. Nell’ordinamento spagnolo le spiagge sono libere, e quindi non possono essere oggetto di concessione. Insomma, gli esempi virtuosi da imitare sarebbero dietro l’angolo.

E qui da noi, invece? Pigre gestioni familiari a regime monopolistico governano i beni comuni. La tutela delle spiagge si passa di padre in figlio, con modalità nordcoreane. In teoria i proprietari degli stabilimenti balneari sono illegittimi, le loro concessioni sono scadute e dovrebbero essere messe a gara. In pratica è difficilissimo adeguare la realtà alle nuove leggi, e i governi prorogano. Risultato? Toast a sette euro, bottiglie di prosecco con rincari folli, ombrelloni e lettini affittati a prezzi insostenibili. Perché? Si è sempre fatto così, se non ti va bene te ne puoi andare nella piccolissima striscia di spiaggia libera, in fondo a destra.

È l’italian way. Secondo le direttive europee, da più di dieci anni il bagnasciuga è libero per tutti. I titolari delle concessioni devono «consentire il libero e gratuito accesso e transito per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione» nei cinque metri che separano la spiaggia dal mare. Chiunque abbia provato a stendere un asciugamano al Lido di Venezia o a Forte dei Marmi sa che non è esattamente così. La legislazione italiana continua a tutelare, attraverso proroghe e rinvii, lo status quo.

Insomma, le spiagge sono ostaggio. L’Unione europea ci fa notare che le concessioni sono scadute, e che forse non è giustissimo permettere a un gruppo ristretto di imprenditori, che agiscono senza rivali, di arricchirsi sfruttando le consuetudini. Inascoltata. C’è chi però ha scelto di ribellarsi. Un gagliardo drappello di cittadini lotta per i nostri diritti. Sono i militanti di Mare Libero, un gruppo di volenterosi che va negli stabilimenti balneari, si porta da casa un asciugamano e un ombrellone, si piazza in spiaggia senza passare dalla cassa, gioca a carte in costume da bagno e a chi cerca di obiettare risponde così: “Che cosa volete? È un nostro diritto”. Sui social diffondono i video delle loro scorribande, rarissimo esempio contemporaneo di militanza vanitosa ma sensata. Abbiamo chiamato Agostino Biondo, coordinatore territoriale di Mare Libero, per conoscerli meglio.

Ciao, Agostino. Ci parli di questo progetto? Chi siete, da dove venite?
Noi siamo Mare Libero, e siamo nati nel 2019 a Firenze, dall’iniziativa di qualche gruppo locale che si è messo insieme per affrontare la questione delle concessioni balneari a livello nazionale. I primissimi comitati si sono formati a Roma, Napoli, nella Versilia e a Rimini.

Come mai proprio a Firenze?
Perché era a meta strada fra tutti noi, il punto più facile da raggiungere. Con la direttiva Bolkenstein e la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2016 la questione delle concessioni, che era stata appaltata ai comuni fino a quel momento, è diventata ufficialmente una faccenda nazionale, quindi c’era bisogno di un progetto collettivo per coordinarci. Con il tempo abbiamo creato una serie di eventi, tipo la presa della battigia, manifestazione che si svolge tutti gli anni il 14 di luglio dove ci riprendiamo una spiaggia, e la nostra conferenza nazionale a Viareggio di dicembre.

Che cosa fate a Viareggio a dicembre?
Un convegno sul tema della liberazione delle spiagge. Negli anni stiamo crescendo, ormai siamo presenti in tutte le regioni costiere italiane a eccezione di Calabria, Basilicata e Molise. In realtà in Abruzzo non c’è un coordinamento costituito formalmente, però ci sono attivisti che lavorano in autonomia, quindi direi che ci siamo anche in Abruzzo. 

Quanti siete in tutto?
Il numero esatto non esiste, perché alla nostra associazione aderiscono molti comitati locali, che sono a loro volta costituiti da un numero indefinito di persone. Ti direi che abbiamo più o meno circa duecento associati.

E come si fa ad associarsi?
Si inoltra una richiesta tramite il sito web. Il direttivo vaglia la candidatura, e manda la lettera di ammissione.

Quindi avete una struttura gerarchica.
Sì, ovvio, noi rispettiamo il codice civile, c’è un direttivo composto da persone scelte dall’assemblea degli associati. 

Avete avuto problemi legali?
No, non abbiamo mai avuto nessun tipo di diffida, querela o denuncia.

Come scegliete le spiagge da liberare?
Le spiagge non sono da liberare, sono già libere. Noi ci limitiamo a esercitare un diritto che dovrebbe essere di tutti i cittadini. Non c’è una scelta, ci sono i nostri enti locali che se decidono un giorno di andarsene al mare in una spiaggia del proprio territorio semplicemente lo fanno, e documentano la gita con materiale video. Non c’è una scelta dall’alto, è tutto lasciato all’iniziativa dei gruppi territoriali.

Che accoglienza ricevete di solito?
Ehm… allora… in realtà, dipende. Violenta fortunatamente no, per ora. A volte siamo stati lasciati perdere, altre volte ci è stato chiesto di allontanarci da qualche dipendente che non era aggiornato sulla situazione, però tendenzialmente non abbiamo mai avuto grandi problemi.

Episodi grotteschi? Il proprietario di uno stabilimento vi ha mai inseguito per tirarvi le ciabatte?
No, no.

E invece i clienti paganti come reagiscono?
A parte quella volta che siamo andati al Twiga [stabilimento balneare di tendenza, legatissimo al ministro del turismo Santanché, che paga circa mille euro al mese di concessione allo stato, nda] e un cliente ha inscenato un siparietto per invitarci a tornarcene nella spiaggia libera, per il resto i bagnanti sono sempre stati tendenzialmente dalla nostra parte, qualche volta vengono a supportarci. Male che vada, sono indifferenti.

Avete qualche aggancio con la politica?
Abbiamo contatti con tutte le forze politiche. Inutile nascondere che l’attuale maggioranza è insensibile alle nostre posizioni. Comunque noi parliamo con tutti e cerchiamo collaborazioni esterne con i soggetti politici, perché vogliamo che le nostre istanze diventino leggi dello Stato.

Qual è, ipotizzando uno scenario plausibile, il vostro obiettivo? Che il governo renda tutte le spiagge libere? Espropriare gli esercenti?
Le spiagge avrebbero dovuto essere libere già dal dicembre dell’anno scorso. Oggi le concessioni stanno operando in un regime di illegittimità.

Com’è possibile?
C’è un conflitto fra le ordinanze statali italiane, che considerano le concessioni vigenti valide fino al 31 dicembre 2024, e il diritto comunitario, che stabilendo il divieto di proroga automatico ha dichiarato illegittime tutte le concessioni già dal 2010. Fra la norma e l’attuazione della norma c’è di mezzo un giudice, e quello deputato a decidere in materia è il Consiglio di Stato, che ha elasticamente derogato la scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2023. E questo, attenzione, per dare il tempo ai comuni di decidere il destino delle proprie spiagge. Già nel novembre 2021 il Consiglio di Stato ha detto va bene, mi rendo conto che questa materia è contraddittoria, che c’è della nebbia, quindi facciamo una cosa: io vi concedo due anni e quasi due mesi per mettere a posto la situazione. Però sappiate che dopo il 31 dicembre del 2023 le concessioni devono essere considerate, parole testuali, come se non esistessero. E quindi noi trattiamo le concessioni come se non esistessero.

Anche Mattarella ha invitato il governo a adeguarsi. Ma perché in Italia abbiamo tutte queste strutture orribili che deturpano la costa mentre in Francia, Grecia, e mille altri esempi tipo, che ne so, la California, no?
Il modello italiano è diventato così per colpa del modo in cui sono strutturate le nostre comunità locali. In Italia le città che hanno un sistema economico portuale non hanno indotto turistico. Pensiamo alle grandi città di mare europee, per esempio Barcellona, sono spesso città portuali e città da spiaggia. In Italia il turismo balneare si è sviluppato in piccole comunità, Rimini, Riccione, Ostia, Jesolo, Gallipoli, Lignano Sabbiadoro, tutti questi posti hanno creato intorno all’industria balneare la propria fortuna. La classe politica locale è stata soggiogata. In città come Rimini l’imprenditoria balneare ha un potere pressoché assoluto. Sposta voti, finanzia la politica e anche attività culturali che non c’entrano nulla con le spiagge, quindi sostanzialmente controlla il territorio. Questa dinamica ha creato un blocco forte, che muovendosi in maniera compatta esercita un potere autorevole. Insomma, solito discorso, garantiscono un bel pacchetto di voti.

Quali saranno le vostre prossime mosse?
Noi continueremo a andare al mare per tutta l’estate, perché è quello che fa la maggior parte degli italiani. Non diciamo dove perché noi non andiamo a manifestare, andiamo a trascorrere giornate in spiaggia, non ci interessa pubblicizzare le nostre iniziative. Chiaramente ci teniamo a documentarle perché vogliamo che in tanti usufruiscano di questo diritto, però non le annunciamo, non facciamo i cartelloni. Dopodiché, un domani ci sarà la sfida più grande: il governo prima o poi dovrà indire gare per regolamentare finalmente la gestione delle spiagge, e noi saremo lì a controllare come questi bandi verranno fatti.

Sì agli stabilimenti balneari, se gestiti virtuosamente?
Chiarisco: per noi il fatto che esista un’area di arenile dove non puoi stare senza pagare è una distorsione assurda. Un po’ come se tu vai in un parco e su alcune panchine non ti ci puoi sedere gratis. È concettualmente insensata una cosa del genere. Vuol dire che tu limiti uno spazio pubblico per eccellenza, e ne contingenti l’utilizzo. È un’anomalia praticamente solo italiana, all’estero esiste ma in percentuali irrisorie. Noi siamo per la libera fruizione, secondo noi le spiagge in concessione dovrebbero essere limitate al minimo. Si può ricorrere all’utilizzo della spiaggia libera con servizi, anche perché i turisti oggi vogliono un modello simile alla Costa Azzurra, alla Spagna: c’è il chiosco, certo, ma ti puoi sedere in spiaggia liberamente. Se ci deve essere un bando per l’assegnazione allora dovrà essere un bando trasparente, che non privilegi in nessun modo i concessionari uscenti, anche perché questo è già escluso dal Consiglio di Stato, quindi adesso se cominceremo a vedere bandi in cui c’è scritto “l’uscente ha 8 punti o 10 punti perché ha esperienza acquisita” noi li impugneremo, perché sarebbero illegittimi. Oltre a questo, saremo molto attenti al rispetto dei criteri di sostenibilità ambientale e ai diritti dei lavoratori.