Senza i social media, dice una famosa battuta, internet sarebbe solo porno e Wikipedia. Ma ormai anche i social si prestano a simili riduzionismi: nel 2025, in Italia, senza Fabrizio Corona Instagram sarebbe smash burger e degrado urbano. Quest’ultimo filone si dirama a sua volta in due arterie: una percorsa da persone esili che, per strada di sera, manifestano il proprio senso di insicurezza maledicendo Beppe Sala, sindaco di Gotham City, l’altra da persone molto grosse che, su altre strade, risolvono quel senso di insicurezza a pattoni sui responsabili veri o presunti.
Roma vs Milano
Vi sono naturalmente distinzioni geografiche – la prima è molto milanese, la seconda ha il suo epicentro a Roma – e di censo – in un caso l’oggetto transizionale minacciato è sovente il Patek Philippe o la borsa di Gucci, nell’altro la civiltà va in frantumi insieme alle bottiglie di Moretti da 66 – ma si può dire che gli influencer stanno facendo per la criminalità percepita ciò che il maestro Manzi fece per l’alfabeto: portarla ovunque, senza distinzione di classe e di luogo.
Il fenomeno per verità non è nuovo, anzi come avrebbe detto il maestro Manzi è carsico: la pagina Welcome to Favelas, recentemente gratificata da Elon Musk del titolo di hub italiano dell’internazionale dei tecnoschizzati (chissà come l’hanno presa quelli di Milanobelladadio, altri pionieri del genere) , nasce nel 2013, piena golden age di Facebook, e secondo il fondatore Massimiliano Zossolo – ex ultrà della Roma, arrestato nel 2011 per l’assalto a un blindato dei Carabinieri nella brevissima primavera della branca italiana degli Indignados – si rifà nientemeno che a Radio Radicale e Radio Parolaccia: gabbiani contro sorci, cassonetti in fiamme, conducenti ATAC maneschi, la “maxirissa del Pincio”. Degrado, pastorizia (dal nome di un’altra fortunata pagina-sentina), “bomberismo” fanno parte della dieta di intrattenimento e del paesaggio psichico di almeno tre generazioni di italiani, dai Millennial in giù.
Da internet al nazionalpopolare
Ma come è noto noi abbiamo una forma molto particolare di digital divide: quel che succede su internet non arriva al mainstream finché non ne parla Cruciani, e da Cruciani la finestra di Overton si spalanca su Rete 4, chez Giordano o Del Debbio, perché ogni epoca ha la cinghia di trasmissione che si merita.
Così nell’ultimo anno, con le ripetute ospitate a La Zanzara dei più nerboruti esponenti del genere, l’Italia si è scoperta Paese di ronde e ha imparato a preoccuparsi dei “maranza”, termine che nella sua breve storia ha avuto uno slittamento semantico rivelatorio. Nato negli anni Novanta nel milanese per designare in buona sostanza i tamarri particolarmente sbruffoni, quelli che dalla periferia venivano in centro a fare brutto, è diventato oggi un epiteto dai malcelati (malissimo celati) connotati razzisti, rivolto agli italiani figli e nipoti di immigrati, molto spesso da quelli che qualcun altro avrebbe chiamato maranza vent’anni fa. Ecco le grandi soddisfazioni da ceto affluente, in un paese con l’ascensore sociale bloccato.
La questione è addirittura balzata (brevemente, per verità) agli onori delle cronache con il caso di Articolo 52, che sembra il nuovo movimento di Pancho Pardi e Zagrebelsky e invece è una rete di sedicenti “Orgogliosi” che si danno appuntamento su un vivace gruppo Telegram e poi si filmano su Instagram mentre pestano qualche “maranza” colpevole di reati veri o percepiti.
A inizio marzo è circolato molto uno di questi video, particolarmente efferato, nel quale un gruppo di ragazzi in Darsena a Milano pesta a sangue un ragazzo di colore accusato da una ragazza, a quanto pare, del furto di una collanina. La rodomontata, che alcuni definirebbero tentato linciaggio, è costata ai “giustizieri” l’apertura di un fascicolo in procura e perfino un bonario rimbrotto di Cruciani, il quale comunque ha ritenuto di offrire a uno dei fondatori del gruppo, “Max” (“orgogliosi” ma non del proprio vero nome e cognome, a quanto pare) per esporre le proprie ragioni: «Dare una scossa alle costituzioni… istituzioni», dice Max, che chiede «pieni poteri alle forze dell’ordine», incaricandosi nel frattempo di restituire a «quelli qua, gli extracomunitari che hanno fatto venire in Italia (…) occhio per occhio, dente per dente». Vasto programma.
L’ascesa dei vigilantes-influencer
Cosa pensare, dunque, di questi vigilantes-influencer? E, soprattutto, come pensano loro a sé stessi? Si sentono gli eredi di Balbo e Farinacci o, come i rapper, amano definirsi “giovani imprenditori”? Quanto ci vorrà perché il primo di loro sbarchi a Sanremo?
Per rispondere a queste e altre domande possiamo forse guardare a Simone Cicalone, l’esemplare alfa e allo stesso tempo il più addomesticato di questa risma, che ha già avuto modo di deliziare la platea di La7 con un chokehold (presa al collo da dietro) dimostrativo su David Parenzo.
Vero nome Simone Ruzzi, romano, 51 anni, ex pugile, Cicalone ha oltre 340mila follower su Instagram e uno stile sincretico di matrice televisiva: Lucignolo, Fuori dal Coro, le battutine passivo-aggressive a mezza bocca della Iena Enrico Lucci, ma anche una vena di cazzeggio che fa addirittura un po’ Propaganda Live di destra. Nei suoi video in periferia, accompagnato dai fidi Mattia Faraoni, trentunenne campione di kickboxing, ed Evelina Zullino, creator e operatrice, Cicalone adotta un lessico da fascia protetta. Non dice “prostituzione” ma “persone che in cambio di soldi prestano i propri corpi”, non dice “ubriaco” ma “di sicuro visivamente alterato”. Si inerpica sui sentierini dello spaccio col passo cauto ma implacabile del divulgatore TV, mostra alla telecamera i preservativi usati come Roberto Giacobbo le rune aliene.
C’è anche una elementare ma efficace drammaturgia, con un un vocabolario diurno da assistenti sociali (“disagio”, “problemi con le sostanze”, “bighellonare”, “c’è il rischio che poi diventano un pochino pericolosi”) e una prassi notturna e sotterranea (Cicalone e i suoi agiscono spesso nei vagoni o alle fermate della metropolitana, giustizieri di profondità come le Tartarughe Ninja) decisamente più rude. Cicalone si immagina come intrattenimento per tutta la famiglia, e c’è il forte rischio che non immagini male.
La fantasia è davvero made in Marvel, ma vecchia come il mondo: l’uomo qualunque indossa il mantello, il cittadino si ribella etc. etc. E infatti, sempre presenti ma sullo sfondo, a tratti generici come nei fumetti, nella narrazione cicaloniana non mancano mai gli anziani e i bambini, le famiglie terrorizzate con le finestre che danno sul parco degli orrori, sul cortile dello spaccio, sul sottopasso della depravazione, sul ballatoio degli escrementi (Cicalone ha una fissazione scatologica che potremmo generosamente definire pasoliniana. Mai viste tanta cacca sulle schermo dai tempi di Salò). Non c’è bisogno di inserirli nell’inquadratura, li rappresenta Cicalone, con grande generosità è anche un pizzico di immaginazione. “Andiamo a vedere se i vicoli di Genova sono davvero così pericolosi per le persone normali”, dice, prima di addentrarvisi con trenta teste rasate in anfibi e bomber nero.
Percezione vs realtà
Infatti ha mire politiche e non ne fa mistero. È stato ad Atreju a dibattere con Delmastro di B&B nelle case popolari occupate, ha fatto da Virgilio al generale Vannacci nei gironi infernali della metro A di Roma, naturale che stia pensando, come ha recentemente dichiarato, di candidarsi a sindaco di Roma nel 2027.
Meno istituzionali i modi di Sergio Lignano detto “Serpico”: soli 30 mila follower, un decimo di Cicalone, ma su Instagram, dopo il link per le collaborazioni commerciali, ha una bio eloquente: «Se arrivo a 1 milione entro in politica e cambio tutto». L’aspetto meno credibile di questo sintetico programma, Serpico che è uomo di mondo non ce ne vorrà, è forse il “cambio tutto”. Ai vertici della vita politica e delle istituzioni non c’è già da anni un collega onorario? Quello che chiedeva alla gente al citofono: «Scusi, lei spaccia?». Eppure la criminalità percepita, vera emergenza nazionale, continua a crescere vertiginosamente anno dopo anno.
Quella reale, ci sarebbe da dire, è in calo costante da trent’anni, secondo grigie statistiche che vedono l’Italia posizionarsi come uno dei paesi più sicuri e infarciti di forze dell’ordine al mondo. Ma questa è una chiosa da “hater boomer chic”, come direbbe Cicalone in uno dei suoi video, e non si presta a un bel link per le collaborazioni commerciali.