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André 3000, il pifferaio magico

Dopo 17 anni l'ex OutKast è tornato con un nuovo disco che nessuno si sarebbe mai aspettato: niente rap, neanche una parola, un'ora e mezzo di flauti. Un disco che solo una superstar come lui avrebbe potuto permettersi.

di Federico Sardo

La notizia arriva qualche giorno prima del 17 novembre: in quella data André 3000 pubblicherà un disco solista. Per gli appassionati di hip hop si tratta di un evento importante, atteso da diciassette anni. È del 2006 infatti l’ultimo disco degli OutKast, la colonna sonora del film Idlewild. Fatto salvo per quell’uscita, non tra le più memorabili del gruppo, e per una reunion del 2014 che alla fine è stata soltanto una serie di concerti, bisogna tornare infatti fino al 2003 per un disco del duo di cui André 3000 condivide la titolarità con Big Boi. E che disco.

Speakerboxxx/The Love Below era di fatto l’accoppiata di due album solisti, uno per ciascuno, di due persone dalle visioni artistiche ormai inconciliabili. Si tratta però anche di un capolavoro. Un capolavoro in cui André 3000 dimostrava quanto ormai l’hip hop gli stesse stretto, e quanto avesse una visione rivolta più verso la black music, tra soul, funk e rock psichedelico, che ne faceva il più credibile tra i possibili epigoni di Prince, nientemeno. Non che fino a quel punto non avesse dimostrato di essere un genio della musica, e uno dei producer più significativi tra la seconda metà degli anni Novanta e l’inizio del decennio successivo: tutti e quattro gli album degli OutKast usciti fino a quel punto sono grandi dischi, e almeno tre sono capolavori memorabili. Con Southernplayalisticadillacmuzik (1994) il duo di Atlanta metteva il sud sulla mappa del rap statunitense, dimostrando di avere imparato la lezione degli A Tribe Called Quest nel recupero delle sonorità del passato e aggiungendo forti dosi di funk alla formula; ATLiens (1996) era un passo ulteriore verso la psichedelia e la sperimentazione, dal suono tuttora futuristico; Aquemini (1998) un caleidoscopio di ricercatezza e originalità che teneva insieme tutta la storia della black music; Stankonia (2000) un aggiornamento della formula del precedente, portata all’estremo in un lavoro ancora più ambizioso e magniloquente. Aggiungiamoci pure The Love Below e si tratta di un’infilata di capolavori senza pari a firma André 3000, che per la capacità di mantenere un altissimo livello qualitativo lo pone ai vertici del genere, e di conseguenza tra i grandi nomi della musica tout court.

Il fatto è che poi André 3000 sparisce. Si occupa di moda, fa qualche featuring in giro, fa le musiche per un cartone animato, pubblica due pezzi dedicati ai genitori, e basta. Pensate alla pervasività, musicale e mediatica, in quegli anni di sua assenza, di un Kanye West, che tra alti e bassi e follie varie viene comunque più o meno unanimemente riconosciuto come un genio musicale. Di André 3000, che pure non ha molto da invidiargli in quanto a talento, a un certo punto per forza di cose si smette di parlare, anche se chi ne conosce il valore non smette di aspettarlo. E all’improvviso un giorno di novembre arriva la notizia: nel giro di qualche giorno uscirà il suo primo album solista. Wow. Solo che l’entusiasmo si trasforma immediatamente in incredulità, perché l’annuncio ci spiega anche di cosa si tratterà. Ed è a dir poco sorprendente, anche se già da qualche tempo giravano sui social i video di gente che lo aveva incontrato mentre era in giro, per strada o in metropolitana, a suonare il flauto. Il disco non conterrà rap, anzi: non conterrà proprio la sua voce. Si tratterà di 80 minuti di jam più o meno psichedeliche (in cui il titolare suonerà, appunto, soprattutto flauti) ispirate all’ambient e a un certo tipo di spiritual jazz, una cosa tra Alice Coltrane e Brian Eno. Ora, poche cose mi piacciono più di Alice Coltrane e Brian Eno, però se tu sei noto per ben altre cose, e hai dimostrato di essere un artista geniale facendo ben altre cose, perché decidere di prendere questa tangente? Insomma, a ognuno il suo: a me piacciono sia Kanye West (ancora lui) che il minimalismo di La Monte Young, però se Kanye West annunciasse un disco alla La Monte Young penserei innanzitutto “oddio, chissà che cagata”.

Il pensiero quindi corre immediatamente a uno sketch di Key & Peele del 2015: Big Boi (interpretato da Jordan Peele) sta prendendo un panino e la cassiera ovviamente gli chiede degli OutKast. Lui sembra avere poca voglia di affrontare il discorso. A quel punto arriva André 3000 (Key), vestito come un folletto, che con accento shakespeariano ordina un «green half-caf half-decaf mint mocha latte, foam on the bottom, served in a flower vase», per poi proporre l’idea di un nuovo album al suo vecchio socio: «It’s gonna be just the sound of screeching metal and only one spoken word per track». Insomma, l’annuncio del nuovo disco di André 3000 sembrava un po’ l’incarnazione di quel vecchio sketch. Anche il fatto che con la notizia venisse pubblicata la tracklist, interamente composta da titoli come “I Swear, I Really Wanted to Make a ‘Rap’ Album but This Is Literally the Way the Wind Blew Me This Time” e “That Night in Hawaii When I Turned into a Panther and Started Making These Low Register Purring Tones That I Couldn’t Control … Sh¥t Was Wild” non aiutava a far diminuire la perplessità.

Poi il 17 novembre è arrivato, e anche il disco. Realizzato insieme a musicisti di livello come il chitarrista Nate Mercereau e il tastierista Surya Botofasina, ma soprattutto il percussionista (e figura chiave di tutta quella scena fricchettona californiana) Carlos Niño, New Blue Sun ha sorpreso tutti quelli che lo aspettavano con la pistola puntata, pronti a dire che, insomma, forse André 3000 avrebbe fatto meglio a restare al suo posto. È un album che non si inventa niente di mai sentito prima e non rivoluziona nulla, ma è anche un gran bel sentire: delicato, creativo, a tratti originale, di grande atmosfera e indiscutibile perizia, percorso da momenti estatici, con più di qualche buona idea, assolutamente apprezzabile anche da chi è abituato all’ascolto di Yusef Lateef o di dischi spettacolari come Stone Flute di Herbie Mann. Perché è in quel solco che si inserisce, come in quello dello spiritual jazz di Pharoah Sanders e della già citata Alice Coltrane, di Laraaji e di certa ambient delle origini. È un disco che ben si colloca anche nel percorso portato avanti ormai da anni da Carlos Niño e sodali, il flauto di André 3000 (soprattutto digitale in forma di controller MIDI) nemmeno poi così preponderante nell’insieme.

Una situazione interessante, visto che stiamo parlando da un lato di sonorità apprezzate da una nicchia più o meno ristretta di appassionati, e dall’altro della visibilità di una popstar che ha venduto milioni di dischi, l’unico motivo per cui un album del genere, un disco fatto di queste sonorità, esce su Epic accompagnato da recensioni e interviste su tutte le testate più importanti del pianeta. Interviste dalle quali emerge anche una storia meno scontata del previsto: ansie, depressione, lutti, blocco dello scrittore. Anche l’incontro con Carlos Niño sembra qualcosa di genuino. I due si conoscono al supermercato, a Venice Beach. Il percussionista invita André a una jam in cui avrebbe suonato un po’ di cose di Alice Coltrane insieme a qualche amico, da lì la superstar in crisi comincia a frequentare sempre più spesso quel gruppo di musicisti, e pian piano a suonare con loro, fino a decidere di lavorare a un disco.

Certo, è facile considerare New Blue Sun il divertissement di un milionario che se lo può permettere: di fatto lo è. Ma non è male vedere qualcuno che usa la sua fama e la sua popolarità, e tutto quello che già ha fatto, non per rimanere perennemente in corsa sulla ruota della rilevanza, del successo, del dover dimostrare qualcosa, ma per suonare in libertà, facendo quello che gli pare e piace. Incidentalmente regalandoci anche splendida musica e facendo scoprire nuovi mondi sonori a un pubblico potenzialmente amplissimo. Non è male e non è poco.