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E se l’amore somigliasse di più all’amicizia?

Stiamo faticosamente aprendo, ribaltando, ripensando le coppie. Il libro "3. Un’aspirazione al fuori" ci suggerisce che, per migliorare le relazioni sentimentali, potremmo guardare a quelle amicali.

di Arianna Montanari

L’estate scorsa il mio migliore amico ha subito un lutto importante, improvviso. Lui non è in coppia, e quando c’è stato da sbrigare tutte le questioni burocratiche è parso naturale a entrambi che fossi io a occupare quello spazio che, in altre condizioni, sarebbe probabilmente stato occupato da un partner. Quando si trattava di giustificare la mia presenza in un contesto così delicato ci trovavamo, però, in un malcelato imbarazzo. Che fosse con un lontano parente o con l’impresaria delle pompe funebri, tentennavamo. Alcuni ci guardavano straniti, senza riuscire a comprendere in che rapporto fossimo, i più intraprendenti gli chiedevano: «Tua moglie?». «No, solo un’amica», mi affrettavo a rispondere. «La mia migliore amica», precisava lui, aggrappandosi a quello stesso aggettivo che ho usato io in apertura, responsabilizzandolo oltremodo, come se solo attraverso quell’aggettivo fosse possibile legittimare e dare consistenza a un rapporto, il nostro, che definisce da molti anni le persone che siamo ma che non possiede cittadinanza giuridica né una voce nel dizionario.

Nel saggio autobiografico 3. Un’aspirazione al fuori (L’Orma editore, traduzione di Annalisa Romani) il filosofo e sociologo Geoffroy De Lagasnerie riflette sul ruolo dell’amicizia nella sua vita, e sul potenziale sovversivo che le relazioni amicali hanno nella configurazione del tessuto sociale. «Ci sono parole differenti per indicare il figlio del fratello di mia madre e per il figlio del cugino carnale di mio padre, ma non ci sono due parole differenti per chiamare una persona come Édouard, con cui parlo tutti i giorni, o qualcuno con cui ceno una volta al mese», scrive nell’introduzione. E se da un certo punto di vista questa ambiguità può essere vista come un limite – è stato chiaro durante la pandemia, quando si rischiava di essere multati per un pranzo da un amico, ma sedersi a tavola con parenti lontani non era un problema – dall’altro può apparire come l’apertura di un terreno dove costruire forme nuove di cura e scoperta del mondo.

È questo secondo aspetto che De Lagasnerie intende esplorare, all’interno di un contesto in cui, negli ultimi anni, si è assistito a una moltiplicazione dei discorsi che decostruiscono la coppia monogamica e la famiglia tradizionale. Sperimentiamo nuove forme dello stare insieme perché quelle vecchie non funzionano più, procediamo per prove ed errori senza avere ben chiaro quale tipo di relazioni sentimentali vogliamo per le nostre vite, ma in tutto questo discorrere di poliamore e famiglie queer di amicizia non si parla mai, come se si trattasse di un concetto un po’ desueto, su cui non rimane granché da dire, vagamente sterile e incapace di produrre novità. Gli amici ci sono sempre, stanno lì sullo sfondo, le nostre energie vanno altrove, e se in passato nessuno avrebbe scambiato un buon amico con l’amore della vita, nell’ultimo secolo e mezzo l’amore romantico ha scalzato dal podio tutti gli altri legami affettivi. Può succedere che dopo una certa età uno non abbia più amici. Il lavoro, la famiglia, è normale. Ma se non è in coppia, vuol dire che qualcosa non va.

Da oltre dieci anni Geoffroy De Lagasnerie ha una relazione profonda, quotidiana, con il sociologo Didier Eribon e con lo scrittore Édouard Louis. 3. Un’aspirazione al fuori è il racconto di questo rapporto ancora senza nome e senza riconoscimento, ma da cui i tre traggono linfa vitale, emotiva e intellettuale. Un legame che loro stessi hanno codificato attraverso riti, luoghi, pratiche e connessioni, costitutivo di esistenze che si propongono di essere scoperta e riflessione sul fuori, che rifiuta la riproduzione di sistemi già noti, ricevuti da altri, e che supera la parcellizzazione delle identità secondo le coordinate di orientamento sessuale e identità di genere in favore della semplice relazione che unisce – e definisce – due o più individui legati da uno sguardo affine sul mondo.

Sgomberiamo subito il campo dalla questione sentimentale: De Lagasnerie e Eribon sono, da molto tempo, una coppia nel senso romantico del termine – anche se non dividono uno spazio domestico. Questo non ha impedito loro di avere con Louis una relazione che non ha nulla di romantico o sessuale – «la sessualità è probabilmente una delle attività meno significanti e meno impegnative fra tutte quelle che svolgiamo nel corso della nostra esistenza», scrive De Lagasnerie – e che non privilegia un polo della coppia a discapito dell’altro – l’antica divisione fra “i miei amici” e “i tuoi amici”, qui felicemente superata. Si parla di tre amici di generazioni differenti che non stanno fra loro in un rapporto gerarchico, che si telefonano spesso, mangiano negli stessi posti, vanno al cinema, organizzano insieme le vacanze. Si prendono cura l’uno della vita degli altri.

Nel tentativo di descrivere il loro rapporto De Lagasnerie si confronta con i classici, con Montaigne, Spinoza, Barthes, Cicerone. E proprio da quest’ultimo prende le distanze, respingendo la convinzione secondo cui i rapporti di amicizia – a differenza di quelli amorosi, che per sopravvivere richiedono, lo sappiamo, una manutenzione costante – non abbiano bisogno di un lavoro consapevole di cura. Da Cicerone abbiamo ereditato la convinzione secondo cui sarebbe impossibile perdere un amico, dal momento che se lo perdiamo significa che non era un vero amico. Per Cicerone l’amicizia è un assoluto, sganciato dalla prassi e dalla materialità del quotidiano, un’affinità elettiva che nulla può spezzare. Al contrario, sottolinea De Lagasnerie, i rapporti di amicizia sono proprio i più fragili, perché non vengono imposti e tutelati dal contesto sociale, ma dipendono solo dalla scelta, che ciascun individuo compie, di portarli avanti e investirci energie.

Inoltre, se Cicerone afferma la natura disinteressata e quasi contemplativa del rapporto d’amicizia, De Lagasnerie fa dell’amico lo strumento privilegiato attraverso cui aprirsi all’altro e scoprire il mondo. Un’amicizia, per dirsi tale, deve assolvere prima di tutto a un’azione evolutiva e creatrice di identità nuove, inventando ogni giorno la propria ragione d’essere e producendo implicazioni affettive, sociali, politiche. Per dirla con Spinoza, essere amici significa crescere l’uno a contatto con l’altro.

E se la chiave del rapporto di amicizia risiede proprio nell’apertura, essa non può, per De Lagasnerie, che contrapporsi allo spazio della chiusura per eccellenza: la famiglia. I rapporti di amicizia si sviluppano nei luoghi pubblici, nei ristoranti, intorno ai tavolini dei bar: «Il bar appare in un certo senso come l’esatto opposto della casa unifamiliare analizzata da Bourdieu e delle fantasie legate a quel dispositivo: è un luogo di incontro, è uno spazio aperto, esterno. È un luogo in cui si può anche andare da soli, per lavorare, leggere, ma in cui quella solitudine è spesso interrotta dal passaggio di conoscenze. Sedersi in un bar testimonia una sorta di disposizione all’incontro, significa mostrarsi pubblicamente come disponibili all’altro».

L’universo domestico si ripiega su di sé, si fa cellula autonoma capace anche di assorbire, grazie alle piattaforme di streaming e allo sfruttamento dei food delivery, quel tanto di mondo esterno sufficiente a coltivare l’illusione di uno scambio con un fuori che viene però sempre filtrato e disciplinato dalla vita famigliare, codificata da ruoli – come quelli di genere – già decisi in partenza, da pratiche che si riproducono sempre uguali attraverso le generazioni, e dove, in presenza di bambini, tutto l’orizzonte futuribile viene assorbito dai loro destini individuali. La scelta di non avere figli si esprime qui come una decisione consapevole a favore di una maggiore disponibilità nei confronti del fuori – in un mondo sovrappopolato e al collasso, anche in chiave ambientalista. La famiglia appare così come l’incubatrice di istanze conservatrici, dove l’esterno non rappresenta una risorsa ma interviene anzi a minacciarne l’ordine – non è un caso se la gelosia, un sentimento che fa leva proprio sul desiderio di cancellare gli altri, i rivali, sia accettata, se non incoraggiata, all’interno delle relazioni sentimentali, ma giudicata intollerabile in qualunque rapporto di amicizia.

Su questa scorta, la proposta di De Lagasnerie per superare la crisi della coppia è tanto semplice quanto inedita: anziché assorbire le amicizie e tutti i rapporti che eccedono rispetto alla norma all’interno della definizione larga di “famiglia”, «non sarebbe più interessante cercare, al contrario, di rendere l’amore più simile all’amicizia?».

Nell’immagine in evidenza, il produttore Joseph Feury e Michael Douglas nel 2014. Foto di Mark Mainz/Getty Images.