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I disturbi alimentari sono sempre più diffusi: allora perché curarsi diventa sempre più difficile?

Il 30 dicembre arriverà l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (Lea). In tanti si augurano che alle prestazioni garantite dal Ssn venga aggiunto un capitolo riservato alle pazienti affette da disturbi alimentari.

«Questo è un gruppo Pro Anoressia. Se siete contrarie o in ricovero, per favore lasciate questo gruppo, lo trovereste provocatorio. Per chi è come noi, e si sente sola, incompresa, qui troverete supporto, trucchi, consigli, foto e tutto ciò che possiamo offrire». Quando un’utente accede, per la prima volta, su un gruppo Pro Ana, viene subito accolta da un invito, non troppo gentile, a togliere il disturbo, levare le tende, se non crede, fervidamente e in maniera ortodossa, in Ana, la dea dell’Anoressia.

Abbreviativo di Anamadim, Ana è la divinità, tanto potente quanto chimerica, a cui è devota la comunità virtuale delle Pro Ana, una sorta di “setta” religiosa, dotata di un proprio credo e di propri comandamenti e di un’esistenza rigidamente scandita da pratiche rituali di controllo alimentare e digiuno ascetico. Alcuni gruppi hanno la forma di un blog, altri di una chat di Telegram, ma tutti sono accomunati da un atteggiamento positivo e reverente nei confronti dell’Anoressia, venerata come una divinità liberatrice e salvifica, una Madre che vuole il “Bene” delle sue figlie, una sorella che colma i vuoti di cuori troppo spesso lasciati soli.

È come se, nella mente delirante, e ormai del tutto distaccata dalla realtà, di persone che soffrono di disturbi alimentari e s’iscrivono ai gruppi Pro Ana, l’accesso fosse una sorta di entrata al tempio sacro della divinità, un segno della croce, tracciato sulla propria fronte, nel silenzioso nartece di una chiesa, e la loro frequentazione un percorso di catechesi, un apprendistato necessario per acquisire lo status di “vera” anoressica.

Silvia Guerrini Rocca, psicologa e psicoterapeuta, nel suo saggio Fenomeno Pro Ana. Una nuova generazione di disturbi (Nulla Die, 2016), ha esposto i risultati di un’approfondita ricerca che ha preso in esame un centinaio di blog, tenuti quasi esclusivamente da ragazze e donne tra i tredici e i trent’anni di età: secondo l’ultima indagine del Ministero della Sanità, dei 4 milioni di casi di Disturbi Alimentari (DA) in Italia, il 90 per cento è di sesso femminile.

Come nota Guerrini Rocca, i siti Pro Ana, tenuti dalle adepte “più pure”, si aprono con lettere di presentazione in cui la divinità stessa prende la parola, come un eroe omerico, per narrare le sue gesta e per comunicare, attraverso una voce subdola e sottile, la sua forza illusoria: «Permettetemi di presentarmi. I medici mi chiamano Anoressia Nervosa, tu puoi chiamarmi Ana. Diventeremo amiche, ne sono sicura. Sono qui per cambiare tutto questo. Ti porterò a mangiare sempre meno e a fare sempre più esercizio. Devi accettarlo, non puoi sfidarmi. Sto iniziando a entrare in te. Non ti lascerò più. Sono con te quando ti svegli al mattino e quando corri alla bilancia. Dipendi dalle sue cifre. Pregherai di pesare meno di ieri, della notte scorsa, di poche ore fa. Guardati allo specchio! Strappa via quel grasso schifoso! Sorridi solo quando vedrai spuntare le ossa. […] Ora sono dentro di te. Sorridi e annuisci. Devi essere sempre in ordine. Rifiuta il cibo».

Si evince come le utenti anoressiche mettano in atto un tentativo, tanto immaginario quanto deleterio, di celare una malattia gravissima e letale, una diagnosi psichiatrica del DSM-5, dietro le spoglie di una divinità, di reificare quindi “Ana” in una dea, un’alleata fidata contro cui il soggetto anoressico non dovrà mai combattere, da cui non dovrà mai cercare di liberarsi.

«Quando gli altri commentano, ignorali. Dimenticati di loro, dimenticati di chiunque provi a portarti via da me. Sono il tuo bene più grande. E lo sarò sempre. Con Amore, Ana.», recita il messaggio di un’altra utente. Sussurrandole nell’orecchio, la voce della malattia incoraggia l’anoressica a isolarsi dal mondo, a rifiutare ogni relazione umana per lasciare spazio esclusivamente ad Ana. «Ana non ti tradirà mai», dice la malattia e l’anoressica ci crede, vuole crederci a tutti i costi.

È chiaro, quindi, come, nella mente di una personalità anoressica, si crei un pericoloso cortocircuito: tutto l’umanità che mi circonda, pensa il soggetto malato, sta ordendo un complotto contro di me, una crociata tesa a cacciare dal tempio la divinità ortodossa e profana dell’Anoressia. Cosa fa dunque un soggetto anoressico quando viene costretto al ricovero? Lo rifiuta, scuote la testa, tenta di scappare perché, nella sua parte più profonda, sa che Ana non è altro che il fantasma di un disagio subdolo e ingannevole che, se adeguatamente e preventivamente trattato all’interno di una struttura sanitaria, può essere debellato, sconfitto. Ed è proprio questa la paura dell’anoressica: essere abbandonata, rimanere vuota dell’unica forma di vita che conosce.

Cosa porta il soggetto umano a desiderare l’anoressia? Quando s’immola sull’altare del digiuno e dell’estinzione corporea, quale colpa sta espiando, quale pena sta scontando? E cosa lo spinge a iscriversi e a frequentare attivamente i siti Pro Ana?  Queste sono, a mio parere, le prime domande da porsi, al fine di strutturare interventi di prevenzione sui disturbi del comportamento alimentare e, nella fattispecie, sull’esistenza dei gruppi Pro Ana. Interrogativi che si fanno sempre più urgenti di fronte all’aumento esponenziale di casi di disturbo alimentare, in particolare tra gli adolescenti e i più giovani. Come scritto precedentemente, l’ultima indagine del Ministero della Sanità segnala la presenza, sul territorio italiano, di quattro milioni di persone che soffrono di disturbi alimentari, di cui il 40 per cento ha tra i 12 e i 17 anni, il 25 per cento ne ha meno di 14, il 6 per cento nemmeno 12, e stima un totale di 3.780 morti per DA nel 2023.

Nonostante quest’aumento, di fatto difettoso perché prende in considerazione soltanto coloro che hanno la fortuna di giungere presso un servizio sanitario, in Italia sono sempre meno le strutture sanitarie (tra pubblico e privato accredito), addette alla cura dei disturbi del comportamento alimentare: se nel 2018 erano 164, oggi se ne contano 126 – la maggior parte tra il nord e il centro Italia. A mancare, poi, non sono solo i luoghi di cura (reparti ospedalieri, case di cura, comunità terapeutiche), ma anche un personale sanitario professionista e formato nella cura e nell’assistenza di persone con diagnosi di DA.

Le liste d’attesa per effettuare una prima visita ospedaliera diventano, anno dopo anno, sempre più lunghe: senza una prima visita conoscitiva, non è possibile ricevere una diagnosi di DA, ottenere l’esenzione e, quindi, accedere gratuitamente alle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale. Da qui l’esodo di molte famiglie verso strutture sanitarie private, che prevedono tempi d’attesi più brevi, ma tariffe elevate che, contrariamente all’art. 32 della Costituzione Italiana, fanno dell’accesso alle cure e della salute un bene di lusso.

In attesa dell’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (Lea), previsto per il 30 dicembre 2024, ci auguriamo che, tra le prestazioni che il Ssn dovrà garantire, a tutte le cittadine, in maniera gratuita o tramite il pagamento di ticket, ci sia un capitolo riservato alle pazienti affette di DA.

Di fronte a un’epidemia sempre più preoccupante, e all’annosa carenza di risorse strutturali, lo Stato risponde definendo “devianti” le persone che soffrono di DA, e proponendo lo sport come pratica di cura – proposta assurda dal momento che la maggior parte dei soggetti anoressici e bulimici hanno un rapporto complesso e morboso con l’attività sportiva, finalizzata alla perdita di peso. Un’altra strada che alcuni governi vorrebbero percorrere, in particolare Lega, PDL, Fratelli d’Italia, PD, è l’introduzione del reato d’istigazione all’anoressia: da più di dieci anni – riporta State of Mind, il primo giornale online in Italia di psicologia, psicoterapia, neuroscienze, psichiatria – vengono proposti e depositati alla Camera disegni di legge mirati all’introduzione di sanzioni amministrative e reclusione per coloro che istigano al ricorso a pratiche alimentari idonee a provocare un disturbo alimentare.

Sul sito del Gruppo Parlamentare di Fratelli d’Italia, si legge la proposta del presidente della Commissione Affari Costituzionali e senatore di FdI Alberto Balboni, di «riconoscere come malattia sociale i disturbi del comportamento alimentare e punire con il carcere fino a due anni e una sanzione tra i 20 e 60 mila euro chi istighi all’anoressia». Il disegno di legge mira a colpire principalmente i siti pro-Ana, dimenticando, però, che quest’ultimi non sono la causa di un disturbo alimentare, bensì la sua emanazione e più immediata conseguenza. Senza contare che oltre a siti e blog, questo tipo di “istigazione” può essere identificato ovunque intorno a noi: basti pensare al social più utilizzato dai giovanissimi, TikTok, che a chi cerca la scritta “ana” fa apparire un numero verde da chiamare per i disturbi alimentari, ma poi, nei “per te”, fa comparire contenuti legati all’ideologia pro-ana e cioè, come leggevamo all’inizio «supporto, trucchi, consigli, foto», per non parlare delle ragazzine anoressiche che, documentando i loro ricoveri, negli ultimi anni hanno accumulato migliaia di follower, generando in molte un pericoloso desiderio di emulazione.

Allo Stato non si chiede di rispondere attraverso pratiche di repressione giuridica e amministrativa – cosa molto difficile e complessa, inoltre, perché, nell’oceano di sconfinata sofferenza dei gruppi Pro Ana, come si possono individuare le linee di responsabilità e imputabilità di frasi, consigli, comportamenti? – ma di promuovere progetti scolastici di educazione alimentare ed emotiva e di garantire, a tutte e a tutti, un accesso gratuito alle cure sanitarie pubbliche.

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