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Trump ha davvero detto che, dopo aver imposto i dazi, tutti i Paesi del mondo gli stanno «leccando il culo» Dichiarazione fatta davanti all'estasiata platea della National Republican Congressional Committee di Washington.
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In Spagna c’è stata la più grande manifestazione per il diritto alla casa di sempre Hanno partecipato i cittadini di 40 città, 150 mila solo a Madrid: chiedono tutti «la fine del racket degli affitti».

Il futuro non fa paura al New Yorker

01 Febbraio 2012
Il direttore del New Yorker all’evento di AllThingD

David Remnick, direttore del New Yorker, si è detto piuttosto fiducioso sulla tenuta dell’edizione cartacea del magazine. Invitato questa settimana da All Things D, blog tecnologico del Wall Street Journal, all’evento “Dive Into Media”, durante il quale ha detto la sua sul futuro del giornalismo nell’era digitale. Precisamente, ha detto di credere che l’edizione cartacea del New Yorker resisterà per molti anni. “Tra venti anni ci sarà ancora?” ha chiesto qualcuno. “Credo di sì”.

 

Il magazine, come tutte le altre testate di Condé Nast, ha affrontato il nuovo mondo digitale astutamente, evitando di farsi travolgere dalla rivoluzione 2.0. Per farlo, la casa editrice si è sdoppiata, creando la Condé Nast Digital che si occupa dei siti web e le applicazioni del gruppo. Il New Yorker però non è un giornale come gli altri. I suoi giornalisti sono abituati a scrivere pezzi lunghissimi – di politica, costume, critica letteraria – ed è difficile far convivere la loro abitudine con le esigenze del web. Insomma, Remnick ha spiegato che è dura chiedere al suo staff un articolo breve o un post da pubblicare sul sito. “Lo chiedi, lo implori, lo supplichi, lo chiedi in elemosina. È la parta patetica dell’essere il direttore”, ha scherzato.

Nonostante questo, gli affari vanno alla grande, sia su carta che su bit. Per leggere tutta la rivista online e il suo archivio storico è necessario essere abbonati all’edizione cartacea o a quella digitale (sito, tablet) – un modello di business di cui il direttore si è detto contento.

Stando a Remnick, quindi, nel 2032 quindi le edicole Usa venderanno ancora la rivista. Una cosa che riporta alla mente la discussa profezia di Philip Meyer, che nel suo The Vanishing Newspaper fissò la fine del giornale di carta per il 2043.

Parole importanti che arrivano a conclusione di una settimana in cui il giornalismo tradizionale ha riservato alcune brutte notizie. Solo negli ultimi giorni La Tribune francese ha ufficializzato l’abbandono del formato quotidiano in favore del potenziamento del sito e un’edizione settimanale; in Italia Il Foglio ha pubblicato un editoriale del direttore Giuliano Ferrara in cui sono stati annunciati tagli, aumenti del prezzo di copertina e nuovi investimenti nel campo del web. Una situazione descritta da Claudio Pezzotta su Italia Oggi:

Il quotidiano di Ferrara, comunque, non chiude. Aumenterà il prezzo di copertina (probabilmente a 1,50 euro), punterà a sviluppare l’online, e cercherà una ulteriore razionalizzazione dei costi dopo aver sospeso la distribuzione cartacea in Sicilia e Sardegna (…). Il tema all’ordine del giorno è, ovviamente, lo squilibrio di bilancio anche nei conti del 2011, che potrebbe trasformarsi in un buco ancor più importante nel 2012. (…)

Bisognerà dare una spinta ai ricavi, attraverso operazioni di sviluppo del business dell’online. Certo, sarà difficile pensare di raggiungere non dico i fasti del 2006 e del 2008, quando il fatturato del Foglio toccò i 10 milioni di euro, ma neppure quelli del 2010, a quota 8,4 milioni. Infatti i ricavi da vendite in edicola, abbonamenti e pubblicità (la concessionaria è Mondadori) sono destinati comunque a contrarsi (erano a quota 4,9 mln di euro nel 2010). Per non parlare dei contributi pubblici, che lo stesso Buracchio ha sottolineato essere «un terzo del passato». Nel 2010 Il Foglio aveva contabilizzato 3,4 milioni di euro di contributi pubblici.

Chissà che la ricetta di Remnick non ispiri anche il Foglio e gli altri giornali nelle sue stesse condizioni.

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