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San Frediano e noi

Cos'è veramente quello che la Lonely Planet ha definito il quartiere più cool del mondo?

31 Agosto 2017

Per noi, che in San Frediano ci siamo ogni singola sera, e lamentandocene, giacché la lamentela del fiorentino è un frattale che parte della città, arriva al quartiere, passa per la strada o la piazza e finisce nel singolo locale, scoprire che proprio il nostro sarebbe il quartiere più ganzo al mondo ha avuto un effetto solo in parte straniante: il primo pensiero, ancor prima di realizzare quanto avremmo potuto bullarci di essere ganzi noi, gli scrittori del quartiere più ganzo al mondo, è stato piuttosto un “figuriamoci come sono messi gli altri”.

Davvero, per riprendere il termine usato dalla Lonely Planet, borgo San Frediano è così “cool”? Anche andando a memoria (e uscendo dal resto della lista proposta dalla guida) viene facile trovare quartieri più amabili, troppo facile dire Kreuzberg o Neukölln a Berlino? Troppo ardito cercare Metelkov a Ljubljana o Florentin a Tel Aviv? Perdio, pure a Pisa, dove comandano gli studenti invece che i turisti, ci sono quartieri in cui si sta meglio che in San Frediano. È vero però che in San Frediano ci siamo ogni sera. Ci andiamo, perché è comunque, se non il quartiere migliore al mondo, il quartiere migliore della Firenze odierna. O meglio: l’unico rimasto in cui un autoctono può passare una serata senza eccessive sofferenze.

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Per cominciare a inquadrare la questione, e isolare i meriti di San Frediano rispetto ai demeriti di altre aree, è bene prima di tutto specificare che è parte di una zona più ampia, nota come Oltrarno o Di là d’Arno, che include altri quartieri, come Santo Spirito o San Niccolò, ma che presa tutta assieme ha sua identità e una tradizionale reputazione di alterità rispetto al resto del centro, quello dall’altra parte del fiume. Tale alterità, che arriva a volte a far parlare di quartiere “bohemien”, definizione che non può non far sorridere chi lo frequenta davvero, deriva da un fatto molto semplice: l’Oltrarno, a differenza del resto del centro, non è stato ancora completamente svenduto al turismo. Ci vivono addirittura dei fiorentini, e vi sopravvivono, pensa un po’, botteghe volte a farli campare, invece che a campare sopra al turista. È allora naturale, nel deficit di verità che affligge il resto di Firenze, che, potendo scegliere, ci si ritrovi da queste parti.  E potendo scegliere tra le varie parti dell’Oltrarno, fra una Santo Spirito più chiassosa e studentesca e una San Niccolò già più gentrificata, si finisca proprio in San Frediano. Dato poi che se usciamo di casa, noi che i trenta li abbiamo passati da un po’, è o per mangiare e bere o per piazzarci da qualche parte a scrivere (bevendo), tale esigenza si sovrappone ai tre principali poli di “vero” che di fatto definiscono San Frediano: la libreria-caffè La Cité, dove scriviamo in autunno e in inverno; il Torrino di Santa Rosa, circoletto con tavoli disposti su un lacerto erboso di Lungarno, sede dei “Bianchi” del Calcio Storico e forse per questo sfuggito alle speculazioni, dove scriviamo in primavera e in estate, e la trattoria Sabatino in mezzo, col suo menu scritto a macchina da tempo immemore, in cui mangiamo a ogni stagione. Sono questi tre presidî, e nient’altro, a circoscrivere un’area i cui confini storici sono il Ponte alla Carraia da una parte, e la Porta, appunto, di San Frediano, dall’altra.

Ma è anche vero che la situazione non è stata sempre questa, e per capire cosa è accaduto nel quartiere bisogna andare un po’ indietro nel tempo. Non troppo, ché di Pratolini non ce ne facciamo più di niente: nulla della strada da lui raccontata permane adesso, sebbene sia innegabile che la via del Corno delle Cronache, dietro Palazzo Vecchio, sia ancora più lontana da quella odierna di quanto non lo sia la San Frediano delle Ragazze, che almeno conserva quella che ai giornali piace chiamare “anima popolare” – in traduzione: abitanti veri. Sarà sufficiente andare indietro quindici anni: quando un gruppo di ragazzi legati a vario titolo al “network”, coordinamento di collettivi dove sono passate in embrione quasi tutte le esperienze culturali di rilievo sorte poi a Firenze, vincono un bando e cominciano a trasformare le due stanze più soppalco al 20/R nella Cité, borgo San Frediano è una strada fantasma, in cui sopravvivono solo un pugno di antiche botteghe. 

Negli anni, la presenza di un punto di ritrovo sempre aperto e che, oltre a libri, caffè e vino, porta quel bene raro in Italia (e addirittura rischioso: più volte nella sua vita la Cité si è trovata a essere chiusa per schiamazzi, e una volta ci volle addirittura una manifestazione per riaprirla) che è la musica dal vivo, ha portato a un progressivo innervamento. Prima il NOF, altro locale specializzato in musica dal vivo, che, aprendo di fronte alla Cité, crea una sponda che stabilizza ulteriormente quel pezzo di strada come nodo di vita serale, poi i primi paninai/vinai e ancora bar, pizzerie e localetti vari, fino alle più recenti raffinatezze, come il Kawaii, specializzato in sake, o il Mad Souls & Spirits con il suo inusuale parco cocktail, che sicuramente hanno saputo sedurre i critici della Lonely Planet – i quali però non apprezzerebbero allo stesso modo le svariate trattorie toscane farlocche apparse nell’ultimo anno, segno fin ovvio di una contaminazione turistica che la menzione in guida non potrà che incrementare.

Ma questi ultimi sono processi viziosi recentissimi: considerando l’area in chiave più ampia, se ne notano altri, invece, virtuosi: se in zona Duomo le librerie hanno ceduto il passo al “food” – è ben nota la storia della Marzocco, poi Martelli, sostituita da Eataly – in Oltrarno ne hanno aperte diverse: la Clichy in via Maggio, la Black Spring in via di Camaldoli, e includendo il ponte nell’area possiamo includere pure la TodoModo di via dei Fossi. In nessun caso siamo a più di duecento metri da borgo San Frediano, cerchio che include anche una piccola occupazione, quella di via del Leone, capace di animare la propria strada e la vicina piazza Tasso, nonché, direttamente sul fiume, la pescaia di Santa Rosa, dove, tra ovvie polemiche, negli ultimi tempi si è potuta ascoltare un po’ di elettronica grazie a impianti portati dai ragazzi del quartiere.

Simili segni di vita reale, specie se affiancati ad altri più conflittuali – la lotta per il mantenimento del giardino dei Nidiaci dove giocano i bimbi del quartiere; quella per il presido Asl di Santa Rosa; quella per il ritorno di un parcheggio per residenti nella sgomberata ma inutilizzata piazza del Carmine – permettono di vedere meglio quale sia il punto. Se San Frediano è viva, e quindi vera, e quindi “cool”, è perché è l’unico posto del centro relativamente incorrotto, laddove per “incorruzione” si intende la presenza di abitanti reali; in cui ancora chi ci vive riesce a campare in modo abbastanza soddisfacente da non farsi sedurre dall’idea di mettere la casa su Airbnb e trasferirsi altrove (o, viceversa, riesce a pagare l’affitto perché Airbnb non ha ancora fatto impazzire i prezzi).

Si capisce allora quanto questo stato di “verità” sia temporaneo e instabile. La sua esistenza dipenderà dal permettere o meno ad abitanti e botteghe di rimanere qui, e in questo senso l’investitura a quartiere più “cool” del mondo potrebbe anche tornare utile. Poiché noi che rendiamo “cool” agli occhi di un osservatore Lonely Planet questa benedetta San Frediano semplicemente vivendola, non siamo altro che una riserva, ed è tardi anche per passare dallo stato di sopravvissuti a quello di resistenti: il massimo che si potrà ottenere sarà una sopravvivenza frutto del fatto che il turista di lusso, nuovo feticcio di chi davvero la città governa, non è di bocca buona come quello di massa, e un po’ di verità la vuole, altrimenti ne va della sua esperienza di viaggio.

Così, il vitello steccato da Sabatino, la sessione di scrittura alla Cité e finanche la Moretti al Torrino di Santa Rosa avranno ai suoi occhi la funzione di battezzare nel reale la vacanza: funzione che altrove hanno una danza tribale o un rito tradizionale… Ma non riprodotto per noi, no! Non era una cosa da turisti, dico, ma scherzi? Era quello vero, e ci eravamo proprio in mezzo anche noi! Giuro!

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