Attualità
Gli algoritmi della letteratura
Nell'era della retromania, parlare di generi letterari è tornato di moda. È un bene, perché le classificazioni aiutano a capire cosa ci piace davvero.
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Quando a diciannove anni, dopo la pubblicazione del mio primo libro, mi ritrovai a bazzicare l’editoria, la cosa che più mi impressionava era la precisione vaticinante con cui i boss delle case editrici suddividevano i libri letti in sottogeneri letterari: “Adesso Tizio ci ha proposto un’autofiction dispotica niente male, sai? C’è sangue. E Caio, che invece si è impelagato con un cappa e spada ucronico a luci rosse?”. Ero affascinato dalla loro capacità di identificare ogni storia così su due piedi, e di giudicarla per eccesso o per difetto di propulsione sanguigna. Più che editori, sembravano cardiochirurghi in grado di intercettare il pompaggio venoso di un paziente, e di monitorarne la sempre invocata potenza del battito. Stando ai loro sistemi di ragionamento, tuttavia, Thérèse Raquin di Zola doveva essere un horror sui vampiri. Che però, a rifletterci con dieci anni di letture in più sulle spalle, cos’altro è Thérèse Raquin se non un horror sui vampiri? Almeno tanto quanto L’isola di Arturo di Elsa Morante è un romanzo di formazione a tematica lgbt, se letto secondo i criteri correnti.
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Il problema del “genere letterario”, nero o rosa che sia, è sempre relativo, anche perché credere di averne identificato uno non significa mai aver capito perché proprio quello e non un altro a un certo punto incominci a imporsi. Sembrerebbe più un lavoro per psicologi junghiani che per critici letterari, è vero; rischia però di tornare utile proprio di questi tempi, davanti allo strano fenomeno della retromania, dell’ossessione non tanto per le storie di genere ma per l’omaggio feticistico al genere, per la rivalutazione a tutti i costi, che da True Detective a Lo chiamavano Jeeg Robot viene spalleggiata in libreria dai romanzi di Ligotti, Volodine, Pizzolato, Vermeer, Natasha Pulley e moltissimi altri, assumendo il profilo di un’offerta votiva, di un brindisi rivolto a un Dio Genere tanto giocoso quanto fondamentalmente distruttivo.
Proprio perché i libri e i film più interessanti degli ultimi anni non bevono alla fonte della commedia dantesca ma a quella della mitologia televisiva, di Instagram e delle serie tv, dovremmo incominciare a nutrire il sospetto che il b movie, l’horror e il comico-trash considerati una moda passeggera negli anni Novanta, contrassegneranno le numerose e redivive biblioteche del futuro. Per ora ci troviamo in una fase di transizione in cui il tentativo è ancora quello di “innalzare” il genere valutato basso, ma il punto non è l’innalzamento, è il ritorno al genere in sé. È dal genere che stiamo attingendo tutti. Le classificazioni a volte sono necessarie, servono a fare chiarezza, a non farci perdere troppo tempo nella ricerca di ciò che ci piace.