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I siti più ridicoli e inutili del web degli anni Novanta

17 Febbraio 2017

Internet è «un ridicolo interscambio verso il nulla», diceva il Washington Post nel 1997; il New York Times gli faceva eco scrivendo che «l’inferno non sono solo gli altri, sono le homepage degli altri». Il punto è che, al tempo, avevano ragione: il web degli anni Novanta era uno scompaginato ricettacolo di pagine personali, spazi impreziositi da testo riempitivo colorato e fiumi di banalità. Nel ’95, la società CompuServe offriva il primo servizio di creazione di siti web personalizzati: tra gli altri, ci si poteva trovare quello di Stuart Roberts, che recitava un laconico: «Hello, I am Stuart Roberts. I have big feet».

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Nel claustrofobico internet dei primordi, nota Timeline, le possibilità espressive e di interazione erano molto limitate, ma nell’ingenuità delle prime manifestazioni sul web si notano i primi passi di un cammino che ci ha portato a tweet e post su Facebook. Lo stesso Timeline ha raccolto in un articolo dodici siti di allora, che oggi sembrano particolarmente assurdi o ridicoli, ma allora in qualche modo sono esistiti. Ad esempio FishCam, la webcam puntata su un acquario degli uffici di Netscape, che è ancora accesa, ininterrottamente, dal 1994, e che l’Economist ha commentato così: «Nella sua inutilità audace – sua e di altri migliaia di ego trips simili – ci sono le origini della rivoluzione di internet». Purple.com era una pagina completamente viola, e basta. Swarming Midget era un enorme directory di possibili nomi per band musicali. Un altro sito era completamente dedicato alla lettera “a”.

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Tra gli altri, ci sono anche una “Illustrated Guide to Crackers” che, pur limitato dalla grafica dei tempi, aveva un piglio enciclopedico. Scott P. Reinerth aveva dedicato un angolo del web a “Judy”, un’automobile Honda costruita «in un qualche anno della prima amministrazione Reagan» a cui pareva essere molto affezionato. Un tale “Col” registrava pedissequamente sul suo sito internet ciò che aveva mangiato a colazione: i motivi che l’hanno spinto a farlo non sono del tutto chiari, ma nemmeno troppo importanti. L’importante era fare la storia.

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