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L’uomo che sceglie gli emoji è un sessantenne

03 Marzo 2016

La parola dell’anno del 2015 di Oxford Dictionaires è stata per la prima volta un segno grafico non verbale. A vincere è stato l’emoji aba “Faccia con lacrime di gioia”, una delle faccine più usate nelle nostre chat quotidiane, un’icona diventata molto familiare. La diffusione delle emoji e la loro relativa semplicità estetica non rende però giustizia al complicato iter che un singolo segno deve affrontare per venire approvato. Il processo è raccontato dal Time in un articolo-intervista a Mark Davis, presidente dell’Unicode Consortium, l’ente no-profit che di anno in anno vota sui nuovi emoji da aggiungere a quelli già esistenti.

Particolare interessante, Davis, che lavora a Google, ha 63 anni. Un’età forse controintuitiva, per chi ha il ruolo di disegnare strumenti cardine dei codici espressivi dei teenager, ma che non gli ha certo impedito di “indovinare” le faccine più utilizzate. Quando Time gli ha chiesto come funziona il procedimento di approvazione delle nuovi emoji, Davis ha detto: «Ci sono diversi fattori che entrano in gioco riguardo al destino di una proposta di inserimento. Probabilmente il più importante è se tu, che l’hai fatta, sei in grado di costruire una buona argomentazione per spiegare perché la tua diventerà un’emoji comunemente utilizzata». Ci sono quindi diversi round di votazione, comitati che si esprimono, testi anche piuttosto lunghi (attorno a un migliaio di parole) che sostengono la causa dell’accettazione del nuovo emoji e discussioni talvolta accese.

Che le emoji siano diventati cose serie anche a livello commerciale lo dimostra, tra le altre cose, anche l’ultimo Super Bowl, prima del quale Twitter ha chiesto un investimento di almeno 1 milione di dollari per far avere agli sponsor interessati un’icona personalizzata da affiancare a un hashtag.

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