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Il corpo santo di David Bowie

Sette modi per cambiare la nostra vita seguendo la luce emessa da un gigante del pop.

11 Gennaio 2016

Le lacrime sono oggetti ben disegnati e sono oblunghe, microscopici palloni aerostatici sull’asse dei volti, molli, umide, preziose. Stamattina ho versato alcune lacrime, perché negli anni più fragili David Bowie è stato tutto per me. In breve: David Bowie non è solo il più straordinario gigante della musica pop degli ultimi quarant’anni. È stato un corpo santo, per usare l’espressione coniata dall’architetto Luca Ruali. È stato per me e per tanti altri l’inizio di una vocazione, il padrino di una passione, un esempio da seguire, un padre da difendere sempre e comunque, e il simbolo perfetto di tutte le possibilità che l’uomo ha per migliorare se stesso. In molti ci siamo svegliati e siamo subito caduti, perché morti così esteticamente rilevanti sono veri e propri atti di guerra; ci fanno sedere all’improvviso, come quei genitori cui si spezza il cuore per le malefatte adolescenziali dei figli. Ma Bowie era un corpo santo, la bellezza della dedizione alla bellezza come valore principale della specie, e non ci sono malefatte nel suo curriculum. Il cliché vuole che l’uomo abbia agito come un camaleonte ed è certamente vero. Io credo che la vita adulta sia tecnicamente la costruzione di un esempio, e gli esempi che Bowie ci lascia nel giorno in cui ci lascia sono tanti. Come un uccello del malaugurio, qualche giorno fa girava in rete un post virale intitolato “Scopri cosa ha fatto Bowie alla tua età”: ecco sette modi, per cambiare la nostra vita seguendo la luce mai perduta della black star.

David Bowie Exhibition Press Conference

1. Anziché ucciderli, aiuta i tuoi idoli

«I need Tv when I got T Rex». È un verso da “All the Young Dudes“, una delle melodie più felici mai composte, regalata da Bowie ai Mott the Hoople. La generosità come qualità artistica: non perdere un minuto che potrebbe essere speso per aiutare i tuoi eroi, come Bowie ha fatto nei confronti di un derelitto Lou Reed nel 1972 con Transformer, di un confuso Iggy Pop nel 1977, dell’amico Marc Bolan, Scott Walker (da cui ha mutuato il tono “baritonale” che ha sostituito la voce chioccia e acuta dei primi dischi “glam”) e di tanti altri.

2. Cambia la squadra con cui hai appena vinto

«This is not the last song of the tour, this is the last song we’ll ever do». Con queste parole Bowie/Ziggy si congedò dal suo personaggio e cambiò band. La storia musicale di David Jones è anche una forma di istintiva, sublime capacità curatoriale: Mick Ronson, Carlos Alomar, Robert Fripp e Adrian Belew, ma anche Mike Garson, il pianista pazzo di Aladdin Sane, uno dei dischi più riusciti e uno dei singoli brani in cui l’improvvisazione jazz dialoga meglio con la struttura della pop song. Brian Eno è un discorso a parte, perché tutti i risultati del loro dialogo durato una vita testimoniano l’incontro tra due menti fulminee, le due ragazze alla pari più geniali della storia della musica. Se vuoi trasformare il mondo, o il tuo mondo, devi collaborare con i migliori, e cambiare paesaggio mentale con il fiuto di un gallerista e l’autorevolezza di un museo.

3. Leggi leggi leggi leggi leggi

Bowie è stata una delle rockstar più colte di sempre. Io ho conosciuto alcuni autori e libri perché li citava lui – e molto al di là del classico William Burroughs, o di 1984. Parlo del Crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza di William Jaynes. Tutt’ora spulciando nella lista dei 75 libri consigliati da Bowie e riportati da Brainpickings e altri siti, una persona può auto-educarsi alla cultura contemporanea.

4. Impara a produrti bene

Uno degli aspetti meno indagati del Bowie musicista è l’altissima qualità produttiva dei suoi album, anche quando la tecnologia era ben lontana dall’essere il leviatano digitale che è oggi, capace di assorbire ombre di note a decine di metri di distanza. Pin Ups, uno degli album meno citati (e più citazionisti, com’è ovvio, essendo fatto di cover, tutti pezzi che hanno formato Bowie nella seconda metà degli anni Sessanta) della sua parabola artistica, si presenta tutt’ora con una consistenza – un impasto – di nettezza ed eco, silenzi e attacchi, come se davvero le chitarre degli Spiders from Mars fossero una notizia acustica da un futuro in cui gli oggetti sonori vengono tagliati meglio. Parte di questo merito è da condividere con i gruppi che l’hanno accompagnato, quasi sempre solisti di eccezionale talento tecnico e un timbro peculiare (come Mick Ronson), ma anche qui Bowie è stato un formidabile curatore della propria personalità espressiva in perpetua mostra.

5. Usa il mondo, e poi distaccatene

C’è qualcosa di profondamente buddista nel ritiro (forzato dai problemi cardiaci) che Bowie ha praticato negli ultimi dieci anni della sua vita terrena. Ma Bowie è sempre stato un formidabile manipolatore dei media: voleva arrivare in cima, l’ha fatto, e l’ha fatto con ogni mezzo possibile, ma sempre sacrificando ciò che era eticamente giusto sacrificare (la credulità dei giornalisti, la complicità dei fan, la distanza siderale dai costumi correnti). Chi ha vissuto un po’ a Lafayette St., a New York, può ricordare un uomo ormai anziano, sempre bellissimo, negli ultimi anni, e non avrebbe mai scommesso che quella persona fosse stato capace di confondere tutti imbastendo un finto saluto nazista alla Victoria Station, nel 1976, e giocare con le dichiarazioni a effetto.

6. Pratica e conosci più discipline

Non c’è più spazio, non c’era prima e meno che mai ora, per chi pensa di proliferare nei ristretti ambiti di una sola disciplina. Ricordiamo qui che Bowie è stato: performer, mimo, cantante, scrittore di canzoni, attore, pittore, fotografo, editore di una rivista d’arte (Modern Painters), suonatore di sax, costumista, imprenditore, manager di un fondo che ha quotato il suo catalogo musicale.

7. Sii interessante

D’accordo, suona vago. Ma per capire cosa intendo, leggete questa dichiarazione (rilasciata a Musician nel 1980), intorno ad “African Night Flight”, una delle composizioni più ardite e sofisticate di uno dei dischi più arditi e sofisticati di Bowie, Lodger: «La canzone è nata dal fatto che in Kenya, specie a Mombasa, in tanti bar si possono trovare questi ex piloti tedeschi che se ne vanno in giro con quasi tutte le loro bardature da pilota. Dicono sempre che sono là da vent’anni e dovrebbero tornarsene in Germania. In realtà è facile farsi un’idea del motivo per cui sono là: vivono una strana vita, volando sui loro piccoli Cessna sopra la foresta, facendo ogni genere di stranezze. Sono personaggi misteriosi, permanentemente incerottati e sempre lì a raccontare di quanto torneranno a casa. La canzone è nata perché mi sono chiesto chi siano queste persone e perché continuano a volare, e come si mantengano».

Optimal Factory Finds Vinyl Records Niche

Per chiudere, un ricordo privato, visto che, come ha scritto il filosofo Simon Critchley nel libro migliore mai pubblicato sul soggetto, Bowie (2012), si tratta di un artista che ha «permesso a molte persone di vivere una vita meno ordinaria». È il 1989, avevo circa dodici anni, era inverno. Mio fratello, dieci anni più grande di me, che accumulava pile di C60 e C90 registrando i programmi della radio, mi accompagnava spesso ai tornei di Subbuteo, scommettendo su un dato fisiologico, ovvero l’elasticità delle mie dita della mano, che riuscivo (e riesco) a spingere all’indietro fino a porle in posizione parallela al dorso della mano. Erano dita da Subbuteo, perfette per governare in modi inaspettati la base curva e basculante dei giocatori in miniatura. Così passavamo tanto tempo, specie nei fine-settimana, a partecipare a improbabili tornei in cui tutto sembrava adrenalinico e assurdo, e si giocava a una velocità spaventosa sul panno verde, e io mi sentivo una scimmia ammaestrata in un mondo di maschi che puzzavano di ormone non lavato. Uno di quei sabati, nella nostra Ford Escort color aragosta, mio fratello inserì il nastro di una trasmissione di RaiStereoUno, canale musicale della Rai, integralmente dedicata al Duca, durante il lancio del Glass Spider Tour. Dodici ore di trasmissione, con voci e canzoni che percorrevano e commentavano la carriera musicale del nostro. Una rivelazione. All’inizio mi limitai a scrivere col pennarello indelebile i versi di Bowie sul compensato del campo da Subbuteo sul quale mi allenavo tutti i giorni da brava scimmia. Poi, un pomeriggio, abbandonai le squadre truccate, il calcio in punta di dita, e il calcio tout court. Iniziai a leggere, a guardare la pelle delle persone belle, ad accumulare informazioni interiori. Bowie è stato il battesimo del mondo moderno, per me e per tanti altri: per molto tempo Bowie è stato tutta la mia vita. Ecco perché lo chiamo corpo santo.

Immagine di copertina tratta dalla mostra “David Bowie” al Martin Gropius Bau, Berlino, maggio 2014 (Christian Marquardt/Getty Images). All’interno: copie di dischi fotografate alla Optimal record (Adam Berry/Getty Images).
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