Il film di Edward Berger è più popolare adesso di quando è uscito nelle sale, almeno a giudicare da quanto se ne sta parlando sui social.
Suona sacrilego dirlo, ma con il suo tempismo pressoché perfetto la morte di Papa Francesco ha dato la spintarella finale a una tendenza che, strisciante, già affollava i nostri social e le nostre bacheche Pinterest: il Vatican-core.
Tutto è cominciato lo scorso inverno, con l’uscita nelle sale di Conclave di Edward Berger, rivelatosi un discreto successo di pubblico e di critica. Una parte del mondo tradizionalmente lontana dall’immaginario e dall’iconografia cattolica, insieme a categorie di audience che tendono a essere molto critiche, talvolta ostili al mondo della Chiesa, ha improvvisamente scoperto le gioie dei complotti cardinalizi e delle fazioni che che si fanno la guerra nelle stanze vaticane. In un mondo globalizzato dallo streaming, c’era chi, non abituato a Don Matteo che in tonaca percorre in bicicletta le strade di qualche piccolo borgo italiano, si stupiva di quel gruppo di anziani uomini “che si vestono con le gonne”.
Un’estate al conclave
Il passaggio successivo, quasi naturale, è stato quello di rileggere l’intera trama del film – già di suo un complottone hollywoodiano superbamente ammantato dei più fini paramenti del cinema di qualità – come una sorta di edizione vaticana di RuPaul’s Drag Race, rileggendolo con il lessico del mondo queer e del fandom: d’altronde il cardinal Benitez è così una babygirl, no? E siccome sentivamo ancora sulla pelle il calore della Brat Summer, ecco fiorire un’infinita sequela di fancam di Conclave con Ralph Fiennes, Stanley Tucci e ovviamente lo stronzissimo Sergio Castellitto che svapa indignato montate su ogni traccia dell’album di Charli xcx. Fidatevi: ogni singola traccia, remix inclusi.
La questione sarebbe finita lì, con il geniale account Twitter di Pope Crave che, facendo il verso al più famoso Pop Crave (un livello di inside joke riservato a chi è cronicamente online), tiene aggiornato il fandom. Un gruppo internazionale di appassionati del film composto da ragazze che inneggiano al Dilf Castellitto recuperando oscuri film italiani in cui ha recitato, utenti queer sinceramente affascinati dagli stunt drag del Vaticano e cinefili hardcore a continuare per anni a intrecciare realtà, finzione, ship e le carriere delle star del film in un racconto per pochi intimi, con merchadise autoprodotto. Unghie cardinalizie, fanzine vaticaniste, pucciosissimi sticker.
Solo che poi un Papa è morto davvero, per giunta nel periodo di Pasqua, in un’annata dove in Italia c’è stata un’irripetibile concatenazione di ponti che nemmeno il sogno di Salvini per lo Stretto di Messina. Non c’è momento migliore per scatenare un evento di portata mondiale, che ad ogni passaggio o scatto faccia urlare ai commentatori “è una foto storica!”. Perché siamo in vacanza, sfaccendati. Sotto sotto, è molto meglio seguire infinite dirette tv di qualcosa che ci viene detto essere “epocale” prima di ogni stacco pubblicitario che spuntare una sola voce della lista di cose che – in teoria – ci prefiggevamo di fare quando ne avremmo avuto tempo.
Conclave aveva predisposto una trappola che la morte di Papa Francesco ha fatto inevitabilmente scattare. Non solo al di fuori del mondo cristiano cattolico, dove hanno la scusante che vedere le processioni di prelati in Piazza San Pietro ha un gusto così esotico, dove millenari rituali limati da un’accorta pianificazione politica e spirituale possono essere facilmente ridotti a un intreccio da thriller (ovvero quel che ha fatto Conclave), no. In Italia, dove, almeno in teoria, la prossimità geografica stessa col Vaticano, la continua influenza (ingerenza?) che esercita sulla società italiana dovrebbe rendere tutto estremamente familiare e, ovviamente, serio.
La Fomo in Vaticano
Solo che dall’ultima morte di un Papa “sentita”– quella di Giovanni Paolo II – le statistiche raccontano impietosamente di chiese affollate solo da teste canute, di seminari vuoti, di un allontanamento dalla spiritualità e persino dall’appartenenza di facciata al cattolicesimo. Se ci aggiungiamo un certo appiattimento del gusto nell’intrattenimento dovuto alle tempistiche e alle piattaforme con cui fruiamo lo stesso e prendiamo in considerazione anche il modo in cui viviamo collettivamente i grandi accadimenti – tutti insieme, tutti connessi, ma ciascuno al riparo della sua bolla – ci si ritrova alla distanza perfetta. Non quella che ci farà ritrovare la fede autentica, ma quella che ci farà cedere alla facile seduzione del Vatican-core.
Spogliato da ogni significato spirituale e da una partecipazione profonda e personale, un conclave cos’è se non un grande evento live d’intrattenimento, di quelli capaci di scatenare una Fomo irresistibile? Ognuno ha la sua parrocchia da cui seguirlo: i boomer sintonizzati su Porta a Porta mentre commentano su Facebook, quelli che li irridono senza intuire di essere semplicemente fermi allo step precedente con la tv accesa sulla Maratona Mentana: un occhio a Alessandra Sardoni, uno allo scrolling infinito degli hashtag. I più giovani saltano il passaggio tv, stando in diretta streaming su YouTube o Twitch, scoprendo tutto quel che c’è da sapere dal loro catechista personale: TikTok.
Di questo processo facciamo parte tutti come a ogni evento di questo genere, non solo come pubblico. Basta guardare a chi l’evento lo racconta, con gli opinionisti che si scoprono vaticanisti mentre con gli storici commentatori delle Stanze vaticane li guardano col sopracciglio alzato. Star del dibattito tv impegnate nella nostra medesima chiacchiera da bar (“Zuppi non ce la farà mai, è troppo di sinistra”, “occhio ai conversatori africani, è lì che soffia il vento”) ma nobilitati dal fatto di avere un pubblico più ampio del vecchietto col bianchino che ha chiesto col barista di togliere la partita da Sky e mettergli su i funerali sul maxischermo dietro il bancone.
Nel conclave, rito millenario di cui ci affanneremo a capire regole e logiche rivolgendoci ai nostri profeti – tutorial saputelli su YouTube, TikToker con montaggi velocissimi, editorialisti del Corriere della Sera – ritroviamo tutte quelle logiche perverse e piacevolissime dell’altra settimana santa italiana: quella sanremese. Manca solo il televoto, nella speranza che i votanti, a posteriori, ci facciano dire anche stavolta che “la demoscopica (cardinalizia) alla fine ha salvato la situazione”.
Salvaci, o Signore, dal doomscrolling
Come le Olimpiadi, come le elezioni stautunitensi o le politiche italiane, come Sanremo, il conclave ci mette nella posizione unica di fare da sottofondo al solito doomscrolling sui social, dandoci l’illusione di riempire la nostra procrastinazione di senso. Regalandoci per giunta il piacere illusorio di essere parte in una collettività, quando poi ognuno di noi sceglie la bolla da cui seguirlo, la posizione politica della tribù con cui fare il tifo, la chat segreta con cui confabulare dando contro alla fazione rivale.
In quello scivolamento così tipico di questo tempo – quello in cui certa politica ha sorpassato a destra satira e comicità – le fancam del cardinale Zuppi e i santini ricoperti di cuoricini e decori kawaii dell’arcivescovo Luis Antonio Tagle hanno sostituito quelli dei protagonisti del film di Berger: la realtà che si sostituisce al cinema, non perdendo un beat di Van Dutch di Charli xcx. D’altronde il Vaticano non più così segreto, con i papabili che ballano su TikTok e la cappa magna del cardinal Burke che fa impallidire la mantella vezzosa del cardinal Tedesco di Castellitto. Lo storytelling è lo stesso – un superbo ritorno alla tradizione – ma la realtà supera e di molto la sceneggiatura premio Oscar.
Il Vatican-core è intrattenimento, è ossessionarsi a qualcosa per un momento molto limitato nel tempo, in maniera superficiale, alla ricerca di una cerchia di opinioni fidate da fare nostre piuttosto che prenderci il tempo di formarcene di personali. Al giornalismo, ai media, persino alle correnti d’Oltre Tevere chiediamo non d’informarci, ma di farci capire alla svelta le regole del gioco e per chi tifare.
Se suona sacrilego fin qui, figuriamoci il passo successivo, in attesa delle fumate nere dalla Cappella Sistina: quell’irresistibile voglia di chiedersi se non siano tornati di moda il rosso cardinalizio e il porpora, quel fare un giretto su Etsy, perché qualcuno avrà pur fatto una bella maglietta a tema, no? Magari Gammarelli, la sartoria per ecclesiastici di Roma (dal 1798) i cui capi sono diventati improvvisamente oggetti del desiderio. Non c’è niente di più potente della realtà, della Storia con la S maiuscola che – finalmente – può essere tenuta a debita distanza emotiva, senza coinvolgerci o angosciarci per davvero, spezzettata dallo stesso tritatutto con cui trasformiamo ogni evento in intrattenimento.

Immagini generate con l'AI che ritraggono mostri antropomorfi che fanno e dicono cose senza senso. Nati su TikTok Italia, hanno accumulato milioni di visualizzazioni e condivisioni in tutto il mondo. E nessuno ha ancora capito perché.