Per anni abbiamo pensato che a uccidere internet sarebbero stati i bot, le macchine, le intelligenze artificiali. Era scritto nella dead internet theory, che sarebbe andata così: un giorno internet sarà popolata più da macchine che da esseri umani, i “contenuti” li produrranno più le macchine che gli esseri umani, sarà impossibile capire chi è cosa, chi sta parlando a chi, come e perché, il senso e lo scopo delle informazioni scambiate. Scopriamo oggi che la dead internet theory era sbagliata, almeno in parte: a uccidere internet non sono stati i bot ma gli italiani.
Trallalero trallallà
Trallalero trallallà, parole che non ci si aspetta di sentire a un funerale. Eppure è così che comincia l’elegia funebre di internet: una filastrocca che inizia scema e prosegue blasfema, nel verso successivo ci sono due bestemmie, una contro il Dio giudaico-cristiano e l’altra contro l’Allah dei musulmani. La voce che canticchia la filastrocca è quella voce androide che tutti ormai conosciamo e riconosciamo (si chiama Adam, è un prodotto di ElevenLabs pensato per dare una mano con il voice over a chi fa video di mestiere). C’è anche un’immagine, che però non c’entra niente né con la voce né con la filastrocca. L’immagine ritrae un mostro, una chimera, un esperimento: è uno squalo antropomorfo, cammina sulla spiaggia appoggiandosi su tre zampe che sono gambe, a ogni piede una scarpa Nike azzurra con baffo bianco. «Ero con il mio fottuto figlio Merdardo», prosegue la voce, prima di precipitare in un nuovo delirio. Non c’è ancora una filastrocca né un mostro dedicato a Merdardo né a Nonna Ornella, il cui salacissimo epiteto non posso qui riportare.
Brain Rot è una dicitura che esiste da un po’, anche da prima che l’Oxford English Dictionary la scegliesse come parola dell’anno 2024. Solo recentemente al brain e al rot è stato attaccato anche l’aggettivo italian. Italian Brain Rot, ormai si pronuncia tutto attaccato: immagini e testi così inutili, così stupidi, così offensivi che ovviamente sono diventati ossessione collettiva. Dall’inizio del 2025, filologi improvvisati cercano di risalire all’origine di tutto, di trovare il paziente zero che per primo è stato contagiato da questa malattia. Di sicuro c’entra TikTok, perché vuoi che non c’entri TikTok. Pare sia tutto cominciato da profili italiani, ma vai a sapere.
Ma chi ha avuto l’idea? Chi ha generato le immagini? Chi ha scritto i testi? Chi si è inventato i nomi? E perché, soprattutto? Persino i più incalliti shitposter – in origini e in purezza, lo shitposting era l’arte di mandare in vacca una discussione inondandola di contenuti senza scopo né senso – faticano a trovare una spiegazione. «Bombardiro Crocodillo, un fottuto alligatore volante che vola e bombarda i bambini a Gaza e in Palestina», spiega ancora una volta la voce androide. Stavolta l’immagine ritrae un vecchio cacciabombardiere, al posto del muso ha la testa di un coccodrillo. L’Italian Brain Rot è più di una tendenza, ormai. Lo potremmo definire fenomeno, se solo fenomeno non fosse una parola tanto abusata e tanto odiosa. Su TikTok e Instagram, i video di Trallalero trallallà, di Bombardiro Croccodillo, di Lirilì Larilà (un elefante cactus che cammina nel deserto trascinandosi su due zampe e altrettanti sandali simil-Birkenstock, «la sua conchiglia è un orologio che fa tic tac […] arriva zio Ramon su una mongolfiera blu, gridando “ma che fai lì, ti piace pure il wifi tu») hanno accumulato milioni di visualizzazioni.
La fine della post post ironia
Nelle wiki dedicate al Brain Rot (ci sono state anche pagine pubblicate su Wikipedia, i moderatori hanno dovuto fare un gran lavoro per rimuoverle tutte e subito), c’è una pagina-bestiario che raccoglie tutte le chimere generate dalla putrefazione del cervello italiano. In queste settimane sono usciti spiegoni, gallery, guide che cercano di capire il “fenomeno”. Ovviamente, una spiegazione non esiste, inutile andare a cercare una frasetta di Umberto Eco che spieghi l’Italian Brain Rot da un punto di vista semiotico. «Cannelloni Dragoni, il drago di pasta che brucia città con la besciamella infernale. Volaaaaa sopra Napoli, sputa ricotta bollente e cuoce i nemici dentro il forno del destino», racconta la voce, mentre nell’immagine Cannelloni Dragoni dispiega le sue ali fatte di maccheroni e, per chissà quale ragione, cosparse di sugo. Persino Eco si sarebbe arreso, qui.
L’italian Brain Rot potrebbe segnare la fine della post-post (forse bisognerebbe aggiungerci un altro post?) ironia di internet, il momento in cui la rete taglia definitivamente i ponti con la realtà e accetta – ammette – di essere ciò che tantissimi già la ritengono: un incubo, un’allucinazione, una realtà parallela nel multiverso della follia, abitata da mostri che ricordano vagamente gli esseri umani, da creature che lontanamente suonano come persone, piena di tutte le parole e vuota di ogni senso. È possibile che l’Italian Brain Rot altro non sia che uno specchio deformante: è così che gli esseri umani iniziano a vedere se stessi su internet, creature sproporzionate e sconclusionate, che semplicemente esistono e parlano.
D’altronde, cosa è meglio: usare l’AI per generare dei finti influencer affetti da Sindrome di Down e usare poi questi finti influencer per vendere pornografia ai gonzi (è successo davvero, grazie anche e soprattutto alle rinnovate linee guida in fatto di moderazione introdotte da Meta dopo l’elezione di Trump)? Oppure usare l’AI per spiegare che Pippobardo Sbombardone – un gigantesco ippopotamo robotico, con ali da cacciabombardiere e lanciamissili sul dorso – è il padre padrone e guerrafondaio di Bombardiro Crocodillo? A confronto di tutti i modi certamente pericolosi e probabilmente criminali in cui l’AI è stata impiegata fin qui, l’Italian Brain Rot è innocua, persino benefica: Brr Brr Patapim – una creatura «con le radici intrecciate e le gambe incrociate e il suo naso lungo come un prosciutto» – non vuole venderci nulla né convincerci di nulla, lui se ne sta per i fatti suoi a fare la guardia al suo bosco come un Ent tolkeniano, siamo noi che ci siamo ridotti al punto di guardare le figure e ascoltare le filastrocche pur di non pensare al mondo fuori e dentro internet. In ogni caso, meglio Brr Brr Patapim delle celebrity che ti vogliono convincere a fare una full body scan da 2500 euro al San Raffaele.
Marciume cerebrale
C’è chi sostiene che il successo di questi mostriciattoli sia il segno che la disconnessione è l’unica salvezza possibile. Ma come con tutte le alternative rivoluzionarie, lo sappiamo che non è praticabile (i più onesti tra noi ammettono anche che non è desiderabile), è un proposito buono per gli accorati appelli e gli urgenti moniti. Non a caso ne ha parlato pure Papa Francesco, durante il Giubileo del Mondo della Comunicazione (esiste davvero anche questo): a furia di scrollare, siamo tutti esposti al rischio di «marciume cerebrale», disse il Papa. Che, poverino, persino lui è stato vittima del Brain Rot, prova che più del potere temporale della Chiesa Cattolica può il potere ridicolizzante-ammaliante del meme.
Tantissime persone credettero davvero che l’erede di Pietro, un bel giorno, avesse deciso di andarsene a passeggio per Roma sfoggiando un bianchissimo piumino Moncler. Date queste premesse (la maggior parte delle persone ha scoperto l’AI generativa guardando immagini del Papa con il Moncler e di un trippone che prendeva a calci in faccia un alligatore in una palude), davvero possiamo stupirci del fatto che oggi altrettante persone – magari fossero soltanto i Gen Alpha, come sostengono i precocissimamente rincoglioniti Gen Z – passino il tempo con Ballerina Cappuccina (“Ballerina Cappuccina è morta? Vi raccontiamo tutta la storia“, scrivono su Webboh), Chimpanzini Bananini, Trippi Troppi, Sovieto Elephino?
Certo questa melma di immagini, di parole, di segni privi di senso c’è il rischio, concretissimo, che infine copra tutta internet, seppellendola nella stupidità, immortalandola nell’idiozia. Ma credevamo davvero che la missione dell’AI generativa non sarebbe stata questa e che non sarebbe stata compiuta? Credevamo davvero che l’invenzione dell’AI generativa avesse a che vedere col curare il cancro e abolire la povertà, come sostiene ancora quel paraculo di Sam Altman? L’AI Slop, di cui l’Italian Brain Rot è un sottogenere, è la versione ultrapotenziata dello spam: una rottura di coglioni di cui non ci libereremo mai, che sta venendo a prendersi i feed di tutti, e che al massimo possiamo trovare il modo di trasformare in umorismo come abbiamo fatto, appunto, con lo spam.
Nell’Italian Brain Rot c’è la verità, finalmente esposta, finalmente realizzata, di questa parte della quinta rivoluzione industriale: l’obiettivo è rimuovere finalmente la punizione collettiva che la natura ci ha inferto quando ci ha assegnato, unici nel Regno animale, il potere del pensiero. Come si fa a pensare, d’altronde, se tutto quello che riesci a sentire nella testa è una voce androide che ripete, all’infinito, trallalero trallallà.