Black Mirror non fa più effetto perché la realtà ha superato la distopia

La serie di Charlie Brooker, la cui settima stagione è disponibile su Netflix dal 10 aprile, ha un problema ormai impossibile da risolvere: somiglia troppo alla cronaca.

16 Aprile 2025

Il percorso artistico di Black Mirror, secondo il giudizio dei giornalisti e degli spettatori più spietati, può essere rappresentato nel tempo come una retta che punta verso il basso sul piano cartesiano delle produzioni culturali. Certo, la serie ha mantenuto un pubblico affezionato e una reputazione da cult: ma dopo il successo dei primi episodi, più di dieci anni fa, i premi e le nomination si sono diradati. Molti fan della prima ora hanno accusato Black Mirror di essersi allontanato dal suo carattere originario, di avere abbandonato la critica sociale in favore di un approccio più pop.

Charlie Brooker torna alle origini

Stando alle recenti dichiarazioni di Charlie Brooker, nella settima stagione si è cercato di tornare alle origini; tuttavia gli ultimi sei episodi, disponibili da pochi giorni su Netflix, più che una riscoperta dei vecchi valori sembrano condividere gli stessi pregi e difetti di quelli che li hanno preceduti. Black Mirror è una serie antologica, cioè non c’è continuità fra un episodio e l’altro (con qualche sporadica eccezione: l’ultimo episodio di questa stagione, forse il più deludente, è il seguito di USS Callister, prima puntata della quarta), ci si affeziona a persone diverse ogni volta, che agiscono comunque spesso in ambienti bui mentre cercano di uscire da situazioni claustrofobiche, sottolineate da musichette inquietanti in sottofondo, e di non morire in centomila modi assurdi. C’è una morale ricorrente: la mente, in fondo, è più importante del corpo.

Il primo episodio dell’ultima stagione, “Common People” (la risposta fantascientifica a Sally Rooney?), è il più bello e il più disturbante: c’è una tenera coppia working class britannica, la moglie sta male all’improvviso, la situazione è tragica. Una società privata si offre di salvarla attraverso un servizio innovativo che diventa progressivamente più costoso, e che peggiora andando avanti nel tempo (lo stesso, in effetti, si può dire anche delle prestazioni offerte da Netflix). È una visione angosciante, sconsigliata agli animi più sensibili, che fa venire voglia di urlare ai cattivi sullo schermo di darci un taglio con il sadismo. Altro elemento ricorrente di Black Mirror, che alimenta l’ansia perenne: i cattivi sono cattivissimi davvero, teatrali, facilmente riconoscibili già dal look e dal tono di voce, progettati per portare a termine i loro piani malvagi, whatever it takes.

Menzione d’onore per la quarta puntata, “Come un giocattolo”, con richiami a Bandersnatch, il film interattivo di Black Mirror pubblicato nel 2018 dove toccava a noi spettatori scegliere gli sviluppi della trama con un click sullo schermo, e dove si celebrano i giorni gloriosi di Charlie Brooker come giornalista per riviste di informatica negli anni Novanta. L’idea, ha dichiarato Brooker in una recente intervista a GQ, gli è venuta quando ha sentito di un tizio che ha lasciato il videogame The Sims acceso per moltissimi anni, con il risultato di far impazzire il gioco (purtroppo il collega di GQ non ha chiesto ulteriori informazioni su questo aneddoto). Anche in “Come un giocattolo”, dazio ricorrente nelle produzioni recenti che sfruttano questo filone, c’è un tipo strano patito di informatica con il cervello bruciato dalle droghe che parte dal suo garage e arriva a cambiare il mondo, di solito in peggio, senza comprendere la portata disastrosa delle sue azioni (sembra famigliare, vero?). Per i più impallinati è disponibile online un videogioco prodotto da Netflix tratto da “Come un giocattolo”, una specie di Tamagotchi dove vi affezionerete a simpatici amichetti virtuali.

Dopo aver citato anche la notevole prova d’attore di Paul Giamatti nel quinto episodio, “Eulogy”, si può forse sottolineare un problema che emerge guardando gli episodi uno dopo l’altro. È un classicone, ricorrente anche nelle vecchie stagioni di Black Mirror: gli spunti sono alquanto geniali, ma quando poi il motore narrativo si avvia è spesso funzionale a dimostrare, attraverso coincidenze e passaggi a volte forzati, la tesi iniziale. Incastrate insieme, le idee più azzeccate dei sei episodi dell’ultima stagione potrebbero regalarci un film indie stupendo, magari con la regia di Charlie Kaufman.

Idee sparse per l’ottava stagione

Così, con il ritmo tipico della serialità televisiva contemporaneo, dove spuntano in continuazione nuove persone afflitte da problemi improbabili, la sensazione è sempre un po’ quella di intuizioni acutissime buttate lì in un contesto troppo commerciale, che finisce per annacquarle. Brooker è un genio, cosa vuoi dirgli, ha vinto il premio di Columnist of the Year ai British Press Awards nel 2009 per la sua rubrica sul Guardian, e probabilmente si è pagato una villa a West London e una a Beverly Hills grazie al suo contratto con Netflix. Ciononostante sarebbe bello, prima o poi, vederlo all’opera con altri produttori e un diverso taglio di scrittura.

C’è un’altra riflessione da fare, sul nuovo Black Mirror. Le prime puntate, ormai più di un decennio fa, avevano quell’effetto wow, del tipo pensa se davvero succedesse mai una cosa del genere, sarebbe assurdo. Nel frattempo il mondo è cambiato, e non di poco. Trump è sopravvissuto a un cecchino perché ha girato la testa all’ultimo secondo durante un comizio, e ha rivinto le elezioni con una cicatrice da arma da fuoco sull’orecchio dopo che il presidente uscente è stato scaricato dal suo partito per demenza senile. Un tizio vestito da Pikachu è stato arrestato dalla polizia in assetto anti-sommossa durante le proteste in Turchia contro Erdogan. Gli Stati Uniti, pare, vogliono invadere la Groenlandia. Maurizio Gasparri, fra gli altri, posta foto di se stesso modificate per farlo sembrare un personaggio creato dallo Studio Ghibli. Katy Perry e la moglie di Jeff Bezos sono andate nello spazio per un quarto d’ora con delle tutine disegnate per l’occasione. Miliardari nigeriani ordinano la pizza a Londra, e se la fanno consegnare a Lagos, con un jet privato (quattro ore di volo in più di Napoli fra andata e ritorno, forse il vero scandalo). Più di metà dei partecipanti al Coachella Festival ha chiesto un finanziamento per comprare il biglietto dell’evento. Elon Musk sembra sotto effetto di ketamina in metà delle sue apparizioni pubbliche. L’altro giorno IZIDORE, uno streamer di Twich, ha costruito una macchina per praticarsi la tortura della goccia cinese sedici ore di fila in diretta video, e gli spettatori potevano pagarlo tre centesimi a goccia per supportare la sua creazione di contenuti.

Parecchio materiale per pensare a un’ottava stagione, sperando che la realtà non superi nel frattempo la fantascienza. Nell’attesa, oggi Black Mirror sembra già sinistramente un mockumentary, neanche così improbabile, arrivato dal 2027. Si direbbe, stando a moltissimi libri e film usciti di recente, che gli sceneggiatori e gli scrittori di tutto il mondo siano concordi su un’opinione: la digitalizzazione incontrollata, di base, ha influssi negativi sulle nostre vite. È possibile oggi immaginare una tecnologia buona o stiamo andando a sbattere, coscienti dell’inevitabilità apocalittica del nostro destino, ma non riusciamo a fermarci? Certo, alla fine i computer, i software, le intelligenze artificiali sono soltanto uno strumento, e per fermare tutto basterebbe spegnere un tasto. Siamo ancora in grado di farlo?

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