Moda | Polemiche
Demna da Gucci è un altro segno di come l’economia dell’attenzione influenzi la moda
La nomina di Demna a Direttore artistico di Gucci chiude mesi di pettegolezzi, mesi in cui a dominare il dibattito sono state le congetture, nuova deriva della macchina dell’hype.

Demna allo show couture di Valentino, 29 gennaio 2025. Photo by Victor Boyko/Getty Images for Valentino
Alla fine la nomina è arrivata, mettendo fine a mesi di speculazioni, congetture, vere e proprie teorie del complotto. Demna è il nuovo Direttore artistico di Gucci, inizierà a luglio 2025, internet si è spaccata a metà e le borse non l’hanno presa benissimo, ma tutto è ancora da vedersi. Ed è arrivata nello stesso giorno in cui Dario Vitale è stato annunciato nel ruolo di Chief Creative Officer di Versace mentre solo quattro giorni fa Simone Bellotti è diventato il nuovo Direttore creativo di Jil Sander. Al di là delle partigianerie, quello che rimane dell’annuncio di ieri è lo stato in cui versa il dibattito sulla moda, se così vogliamo chiamarlo, che da mesi è cannibalizzato dal giro di poltrone ai vertici, che siano Ceo e/o direttori creativi. Una frenesia che non è certo nuova: i Millennial si ricorderanno il 2012, quando Raf Simons arrivava da Dior e Hedi Slimane da Saint Laurent, o il 2015, quando Alessandro Michele debuttava da Gucci e Demna da Balenciaga. Internet, e le sue dinamiche, iniziavano a ingarbugliarsi con quelle del settore, e già allora si potevano intravedere i problemi che quell’intersezione avrebbe creato: un graduale svilimento della complessità dietro alle nomine, sfociata nel fantacalcio a cui assistiamo oggi.
Su Vogue, Luke Leitch ha chiesto a Francesca Bellettini, Deputy Ceo di Kering, quanto tutte quelle illazioni abbiano influenzato sulla scelta della nuova guida di Gucci, domanda alla quale Bellettini ha risposto enigmatica: «Ad essere onesti, [è stato] molto utile!». Stanto a quanto riporta Leitch, «Diplomaticamente, lei e Cantino hanno fatto intendere che la varietà di nomi di stilisti (erroneamente) collegati era una forma educativa di ricerca di mercato. E senza dubbio l’attenzione rivolta altrove ha dato a loro e a Demna lo spazio per mettere a punto i loro piani per il futuro di Gucci. Ha aggiunto la sua convinzione che l’annuncio del rinnovo del contratto di Demna a Balenciaga lo scorso novembre – che in verità era stato concepito per durare giusto il tempo di portarlo alla sua scadenza dopo la sfilata di luglio – abbia messo fuori strada anche i più accaniti chiacchieroni della moda». Insomma, era un po’ una strategia, una strategia che sfrutta sagacemente il nostro bisogno di essere cronicamente online.
Nella newsletter Industry dello scorso 15 febbraio (Industry esce il 15 di ogni mese, ci si iscrive da qui!), scrivevo che «Dopo il Covid, però, tutto è cambiato un’altra volta. Improvvisamente il direttore creativo è diventato scomodo, quasi pericoloso, e sul gruppo Whatsapp dei Ceo della moda si è deciso che forse era giunta l’ora di darsi una regolata, perché alla fine questi più giovani somigliano a quegli altri di venti, trenta anni fa, e creano sempre qualche problema. Il direttore creativo passa, il brand resta, il mercato si ferma: nel gruppo Whatsapp, a dirla tutta, c’è un po’ di confusione e dietro alle grandi dichiarazioni d’intenti, le strategie sono fumose, il supporto continuamente messo in dubbio, la visione del futuro appannata, è tutto un work in progress». Un mese dopo, eccoci: mentre su X e TikTok i commentatori della moda, sempre più simili per capacità di analisi e proprietà di linguaggio a quelli del calcio, si accapigliano sulla scelta di Demna, all’orizzonte si profilano i nuovi misteri da decifrare, come se fosse una serie true crime, di quelle trash. E Jonathan Anderson? E Pieter Mulier? E John Galliano? E Martine Rose? E Dior? E Alaïa? E Balenciaga? E Loewe?
D’altra parte, siamo nel pieno dell’economia dell’attenzione, ci dicono gli analisti (non della moda, ma quelli politici), e se c’è una cosa che Elon Musk ci ha insegnato è che più attenzione si ottiene, anche sul nulla, più potere si accumula, tanto più in un momento storico in cui siamo tutti connessi, e tutti ugualmente incapaci di concentrarci. È la naturale evoluzione della strategia che Steve Bannon aveva ribattezzato, nella prima presidenza Trump, “Flood the Zone”: letteralmente inondare gli spazi del dibattito pubblico con una miriade di informazioni spesso contrastanti fra loro, lasciando avversari, e utenti, a scannarsi su come ricostruire il quadro della verità. Ma la verità, anche nella moda, è che mai come oggi si procede per tentativi. Romanticamente, perché è uno dei grandi autori della moda contemporanea del quale ho sempre apprezzato il lavoro e la capacità di visione, voglio pensare che Demna possa riportare a Milano quell’energia che aveva portato a Parigi prima con Vetements e poi con Balenciaga, ma sono consapevole di quanto i tempi siano diversi, e complicati. La speranza, comunque, rimane, alla fine un’altra ossessione di questi tempi è il fantasy, mischiato alle romanticherie, e chi siamo noi per negarci di sognare?