Cultura | Cinema
Edgardo Pistone, un sorprendente regista al suo primo film
Abbiamo parlato con lui di Ciao bambino, un film quasi metafisico con un'eccezionale coerenza stilistica che deve molto alla forza dei suoi attori, tutti non professionisti.

«Il film per fortuna è stato preso come film del mese alla Casa del Cinema. E stiamo provando un po’ a spingerlo verso i David», così Edgardo Pistone, quando gli chiedo «come sta andando?», riferendomi implicitamente a Ciao bambino, il suo film d’esordio ancora nelle sale nel momento in cui avviene quest’intervista, un film sorprendente, rigoroso, lirico e dolce ambientato in uno dei peggiori quartieri di Napoli (Rione Traiano), che è anche il quartiere dove Pistone è nato e vissuto. Ciao bambino è la storia di due ragazzi: Attilio e Anastasia, che si innamorano nel contesto di un mondo adulto spietato, violento. Ma non è il solito film ambientato in una periferia disagiata, anche se a prima vista sembrerebbe far parte di questo genere. È un film quasi metafisico, che si solleva da terra, e che deve molto alla forza dei suoi attori (tutti non professionisti) e alla coerenza stilistica di Pistone, con cui abbiamo avuto il piacere di dialogare.
ⓢ Ma al di là di tutto sei contento? Da quanto è al cinema? Un mese?
Tre settimane! Sono contento? Nì… Ma so anche che non si poteva fare di meglio. Anche perché siamo usciti in concomitanza con i film degli Oscar. Io pure ogni tanto chiamo le sale, perché poi la distribuzione è una distribuzione indipendente, è quasi un’autodistribuzione, la nostra.
ⓢ E cosa dici ai gestori?
Sono il regista di Ciao bambino, mi volete prendere per cortesia il film nella vostra sala?
ⓢ E loro?
Alcuni dicono no, altri mi rispondono.
ⓢ Senti, vabbè, ti faccio i complimenti perché l’ho trovato veramente un gran bel film. Devo dire che è vero quello che dice Ferrente (Agostino, di cui Pistone è stato aiuto regista, nda), che essendo il tuo maestro sicuramente ti vuole bene, ma secondo me dice una cosa molto vera. E cioè che è un film dove non c’è niente di sbagliato, che è una cosa molto rara per un film d’esordio, ma anche in generale faccio fatica a ricordarmi un film italiano che mi abbia lasciato la stessa sensazione di compiutezza. Poi sai un altro elemento è il fatto che Napoli è iper-rappresentata e quando vai a vedere un film su Napoli pensi ma che cosa c’è da dire ancora su Napoli, che palle, basta. E invece.
Sì, questa è stata secondo me un po’ la forza del film e pure un po’ il suo difetto, perché a una prima lettura il film si presenta come l’ennesimo film sul disagio della periferia napoletana. Però in realtà il film capovolge un po’ tutti questi stereotipi, perché ad esempio la periferia napoletana nel nostro film è una specie di acquario, un altrove ideale che somiglia più ai sentimenti dei protagonisti che a un reportage antropologico di come si vive in periferia. E io questo quando giravo ce l’avevo bene a mente, anzi era proprio il mio desiderio, quello di non insistere sui muri crepati, ma di insistere su questi bellissimi ragazzi, cioè di cercare la bellezza laddove è notoriamente presente la bruttezza.
ⓢ Bellissimi ma soprattutto bravissimi questi ragazzi. Come li avete trovati?
Uno già era nel mio ultimo corto Le Mosche, un altro è mio cugino. Il protagonista Attilio (Marco Adamo) l’abbiamo trovato proprio per strada, mentre passeggiava. Come ne abbiamo trovati tanti altri che però non sapevano recitare. E invece lui dimostrava di avere una sensibilità e un’intelligenza sopra la media. Anastasia (Anastasia Kaletchuk, nda), invece, l’abbiamo vista su Instagram. Abbiamo visto una foto che ci ha particolarmente colpito.

ⓢ Lei è pazzesca. Veramente pazzesca.
Lei è forte. E poi ha un’intelligenza vera. È pure molto cinefila, e fotografa.
ⓢ Ho letto da qualche parte che lo consideri un film parzialmente autobiografico.
Sì, è un film molto autobiografico. Soprattutto nella relazione con mio padre. Un altro attore che ho scelto è mio padre, il padre di Attilio è interpretato da mio padre (Luciano Pistone, nda).
ⓢ Anche lui pazzesco, una presenza scenica che non ci si crede.
Mio padre fino a quel momento non aveva manco mai fatto una recita a scuola. Io poi l’ho scelto perché volevo raccontare un po’ le vicende che accadono ad Attilio nel film. Con il padre soprattutto. E mi sono detto: se la devo raccontare io questa cosa, la deve raccontare pure mio padre. È una cosa che è successa ad entrambi. Io poi chiaramente avevo pure un po’ l’illusione, che poi in realtà si è rivelata essere una mossa vincente, di portarlo un po’ nel mio mondo. Di provare a dire: ma guarda che tu sei più bello di quello che credi di essere. Per me è stata una forma di catarsi, perché nel film io provo a non giudicarlo. E poi ci stava pure tutto l’aspetto perverso che per una volta volevo gestirla io la vita di mio padre. E lì lo potevo fare. Gli dicevo: allora tu devi entrare dal punto A al punto B e devi stare zitto. Perché io sono il regista e tu sei l’attore.
ⓢ Perché tuo padre è un tipo un po’ incontrollabile, diciamo.
È sempre stato incontrollabile. Nonostante la mia mania di controllarlo, ma più che altro dettata dalla preoccupazione per la sua salute, per la sua vita. Io sono sempre stato di base un adolescente impaurito da questa cosa. Cioè sono sempre stato spaventato dall’idea che a un certo punto mio padre potesse morire di overdose o di infarto, perché ne ha avuti tanti. E quindi sono vissuto nella paura, nel desiderio di controllarlo e nella paura di non riuscire a farlo. Ma alla fine ce l’ho fatta. E devo dire la verità, la sua vita penso sia cambiata in meglio, anche perché subito dopo le riprese ha avuto un altro infarto fortissimo. E dopo l’operazione al cuore ha deciso di ripulirsi totalmente.
ⓢ E l’ha visto il film?
Sì l’ha visto, si è rivisto e ha avuto modo di condividere i suoi demoni con me per la prima volta, veramente.
ⓢ Mi affascinano molto le storie di persone che si distaccano fortemente dalle proprie origini, nel senso di diventare una cosa molto diversa da quella da cui sono partiti. Come si diventa cinefili in un posto come Rione Traiano?
Mi ha aiutato la scuola. Nonostante fossi uno studente pigro, cioè sono stato bocciato alle medie, la scuola mi piaceva molto e all’interno della scuola ho trovato la mia dimensione, ho iniziato a studiare la filosofia, ho iniziato a studiare la fotografia e mi sono appassionato al cinema. Grazie agli incontri fortunati che ho avuto con i docenti, uno su tutti un professore di fotografia che mi faceva vedere i grandi classici del cinema. E poi mio padre pure, lui prima di fare quello che ha fatto, faceva l’operatore video. Vivevamo in una casa minuscola, abusiva, uno di quei bassi, e mio padre lavorava con una Betacam che aveva delle dimensioni spropositate rispetto alla casa in cui vivevamo. E la macchina da presa era una specie di monumento all’interno di questa cucina dove dormivamo io e mio fratello, dormivamo in cucina, e io penso che questa cosa qua un po’ mi abbia indirizzato.
ⓢ E che tipo di riprese faceva tuo padre?
Ha iniziato a fare dei documentari per la televisione, poi però il business più grande ce l’aveva con le cerimonie. Riusciva a fare tanti matrimoni. Poi ho deciso di iscrivermi all’istituto d’arte dove facevano fotografia e ho iniziato a appassionarmi seriamente alla fotografia, al cinema, e poi ho fatto l’Accademia di Belle Arti. La cosa divertente è che ogni volta che superavo uno step a scuola, prendi la terza media, dicevano: bene ma ora che lavoro vai a fare? Perché comunque alla fine, qua dove vivo io, la massima ambizione ancora oggi è prendersi la terza media. La stessa cosa avvenne quando mi diplomai. E gli dicevo: no ma a me piace studiare.

ⓢ Vivi ancora a Rione Traiano?
Oggi sì. Insomma sto ancora lottando con le mie origini. Lottando no perché non è che sto lottando, diciamo che mi sto ancora misurando con le mie origini.
ⓢ Che posto è oggi Rione Traiano? Ho sentito diverse volte dire che adesso il mercato dello spaccio non è più a Scampia, ma a Rione Traiano.
Esattamente questo, sì. Da quando hanno smontato Scampia, perché adesso a Scampia ci sono più associazioni e forze dell’ordine che cittadini, tutto si è spostato verso il Rione Traiano. E la cosa terribile di Rione Traiano è che questo male è tutto nascosto dietro questa architettura un po’ meno brutalista, un’architettura bella di palazzi bassi con dei vialoni alberati, però poi all’interno di questi appartamenti si consuma il più grande giro di spaccio d’Europa probabilmente. E questo provoca secondo me un annichilimento di qualsiasi spinta verso il futuro. E quindi io faccio sempre questo esempio, dico che secondo me a Rione Traiano anche la morte è una morte di serie B. Se muore un ragazzo a Rione Traiano è morto a Rione Traiano, non è morto a Napoli. Così come quando succede se muore un ragazzo a Napoli: non è morto in Italia, è morto a Napoli. E questo è il sistema di pensiero che più delle volte non ci permette nemmeno più di indignarci.
ⓢ Ma quindi tu questa atmosfera la percepisci nelle strade?
È evidente. Io la vivo, la incrocio, la evito.
ⓢ E come mai non hai deciso ancora di andartene?
Qua siamo nel campo della psicoterapia. In parte è economico il discorso, però dopo il primo film forse una stanza da qualche parte me la posso pure permettere. Ma devo ancora sorvegliare sulla mia famiglia. Devo ancora vedere mio padre come va, cioè se hanno ancora bisogno di me. Quella è la cosa che mi tiene…
ⓢ Ma contemporaneamente a questa preoccupazione c’è anche un legame con l’ispirazione come è stato per Ciao Bambino?
Sì, per il momento penso che ci sia ancora un legame artistico, molto banalmente. Io pure faccio fatica a sentirmi diverso dal contesto, faccio fatica a vedermi in un altro mondo, sia da un punto di vista artistico che da un punto di vista civile. A volte mi rendo conto che, come diceva Zlatan Ibrahimovic, puoi togliere il ragazzo dal ghetto ma il ghetto dal ragazzo no.
ⓢ A 34 anni come ti senti, un giovane esordiente o un vecchio esordiente?
Stando a quello che c’è in giro, sono un bambino esordiente. Però è una tendenza che da un paio d’anni si è un po’ invertita. Se penso un po’ agli esordi che ci sono stati gli ultimi due o tre anni, mi sento in buona compagnia. Ha esordito Tommaso Santambrogio, regista degli Oceani sono i veri continenti, che è mio coetaneo. Poi c’è Simone Bozzelli (Patagonia), ancora più piccolo di me, che pure ha esordito. Ci sono insomma delle cose, dei segnali diversi. Un po’ si sono accorti che probabilmente i giovani trentenni sono capaci di portare a casa un film.
Questa intervista è tratta dal nuovo numero di Rivista Studio, Ultracorpi. È appena uscito, lo trovate in edicola, nelle librerie selezione e qui, sul nostro store.