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Noi, i ragazzi di Brand:New

Il programma musicale più amato di Mtv Italia non poteva tornare dentro uno schermo perché quello schermo non esiste più: grazie a Massimo Coppola arriva invece nei club e nei teatri, per la gioia dei nostalgici.

di Francesco Zani

Massimo Coppola in un episodio di Brand:New

La santissima trinità della mia infanzia era composta da elementi di cui avrei capito il senso e l’importanza solo dopo molto tempo: i Simpson, Mai Dire Gol e Brand:New. Li guardavo insieme ai miei cugini e a mio fratello più che grande anche se avevo solo nove o dieci anni, non perché fossi un bambino prodigio ma perché mi piaceva stare con loro e perché loro, tenendomi lì incollato alla televisione, non avevano il problema di intrattenermi. Era un gioco di imitazione e di adattamento, capivo forse il tre per cento di quello che guardavo ma cercavo di ridere quando ridevano loro e di non farmi mai vedere troppo annoiato.

Crescendo ho avuto modo e maniera di recuperare tutte le stagioni geniali e incredibili dei Simpson, di rivedere le puntate di Mai Dire Gol – la Gialappa’s ha sempre continuato a lavorare, lo fa anche ora, ma certo il tocco che aveva a fine anni Novanta ha raggiunto vette irripetibili – ma avevo lasciato Brand:New in un piccolo e inconscio angolino della memoria. Era lì, con lo sfondo verde e la poltrona rossa, una trasmissione che più che un format era un pretesto. Per raccontare, approfondire e soprattutto presentare quello che ancora in Italia non si poteva conoscere. In principio un’ora di video musicali senza soluzione di continuità, nuove sonorità, artisti e canzoni che non si potevano letteralmente trovare da nessun’altra parte. Chi guardava Brand:New lo faceva per sapere cosa ascoltare il giorno dopo, la settimana dopo, anche il mese dopo. Era una trasmissione che creava opinione e di cui ci si poteva fidare. Poi un giorno ai videoclip è stato aggiunto anche il tocco che oltre che speciale l’ha resa una trasmissione di culto: intermezzo di narrazione, aneddoti, interviste, quello che vent’anni dopo avremmo imparato a chiamare story-telling.

Brand:New, quello vecchio

Dentro Brand:New esistevano aneddoti musicali certo ma anche filosofia, società, politica, sport (in questo momento sul profilo Instagram di Coppola se ne trova una discreta raccolta, una sorta di Best of). A posteriori, è stato quello che adesso sono i racconti sullo sport di Federico Buffa solo vent’anni prima e senza quasi un briciolo di connessione a internet. Era l’Italia degli anni 2000 e il narratore era un ragazzo che a quel tempo mi sembrava grandissimo e che invece aveva meno della mia età di adesso. Ecco, quel ragazzo, Massimo Coppola, ha deciso di tornare, e di risvegliare dentro di me e dentro di molti, un impasto di ricordi e spensieratezza, di musica che risuona della nostra giovinezza, di discorsi e modi di dire, di camicie sgualcite, di pomeriggi e sere che non rivivremo più. Lo ha fatto anticipando tutto con un post Instagram del novembre scorso: It’s coming back e un fotogramma granuloso e sbiadito del programma che fu.

La manifestazione del ritorno ha scelto esattamente la stessa via di rottura che rappresentava Brand:New nel 2000 cambiando il mezzo per rimanere fedele a sé. In fuga dalla televisione – tanto MTV è morta, viva MTV – per cercare una dimensione intima e teatrale nei club di mezza Italia. Coppola non poteva tornare dentro uno schermo perché quello schermo non esiste più. «Quando ho annunciato il ritorno di Brand:New – mi racconta dopo la prima data di Pordenone – ho avuto una quantità di reazioni che non mi aspettavo, lo ammetto. È stato bello vedere che il pubblico che aveva seguito dal 2000 al 2002 era ancora lì. La sorpresa è stata vedere in sala un sacco di giovani, ieri sera c’era una ragazza di 28 anni che vive in Spagna e che è venuta a salutarmi e ringraziarmi. Ho scelto la dimensione del live proprio per questo, perché volevo vedere il pubblico in faccia e stabilire un contatto nuovo».

Brand:New, quello nuovo

A guardarlo da fuori New:Brand:New – un vero e proprio tour con date a Torino, Bologna, Roma, Firenze e una doppietta a Milano – è un progetto da pazzi. Riportare nel presente un programma vecchio di 25 anni e gettarlo anche in un linguaggio diverso. Coppola ha fatto una capriola salutare spostando tutto in una dimensione nuova perché sa benissimo di non poter fare la stessa cosa in un mondo in cui le fonti di informazioni si sono talmente moltiplicate da diventare insignificanti. «Nel 2000 i ragazzi e le ragazze si fidavano di me. Intanto perché non c’erano altri mezzi per scoprire nuova musica da ascoltare, per raccontarsi una storia, per parlare di qualcosa che gli interessasse. Non c’erano altre modalità di selezione e di scoperta. Ma che senso avrebbe avuto rifare semplicemente la stessa cosa dentro un modo che è cambiato? Sono sempre io, ho sempre il mio stile, ma devo raccontare qualcosa di diverso e devo farlo in modo diverso. È un’anti-reunion e mi dissocio dal me stesso che raccontava Brand:New e da questi anni che sono passati ma voglio dissociarmi guardando in faccia un pubblico».

I racconti saranno inediti – sempre scritti insieme ad Alberto Piccinini e Giovanni Robertini – e il linguaggio rimarrà lo stesso ma bagnato dentro il tempo che è inevitabilmente passato. Se il programma diventò di culto anche per il racconto persona di Coppola, per il suo diario emotivo e sentimentale, culturale e musicale, è inevitabile che tutto si trasformi anche solo perché ha 25 anni in più, lui ma anche tutti noi che lo abbiamo guardato. Esiste un esercito di appassionati e affezionati che in questi anni ha tenuto viva la memoria della trasmissione costituendo e ricostruendo un archivio che sarebbe andato altrimenti perduto. È la generazione vhs, gente che prima delle piattaforme e dell’isteria dell’on demand registrava tutto e magari lo archiviava per chissà quale motivo. Brand:New ha sempre continuato ad esistere anche per questo e il profilo Instagram di Coppola è una piccola galleria dei ricordi composta da spezzoni di vecchi video sgranatissimi.

Il bello e il brutto della nostalgia

Non saprei spiegare bene cosa suscitino dentro di me queste operazioni nostalgia – anche se Coppola rifiuta seccamente la definizione – ma funzionano sempre bene, anche veicolate attraverso i social. Uno dei profili Instagram che guardo con più ammirazione è ita_pictures che colleziona istantanee di persone comuni catapultate nella mia quotidianità direttamente dal passato. Lo stesso accade con i programmi degli anni ’90, lo sport, la musica, anche la letteratura. I revival andranno avanti sempre e per sempre e non so cosa penserò il giorno in cui questi tempi di oggi ne diventeranno l’oggetto. Il punto è che i gol che vedi quando hai dieci anni rimangono sempre i più belli, e questo poi vale un po’ per tutto. La nostalgia è il sentimento degli intelligenti.

Esistono delle frasi e dei momenti della vita che avrei giurato di non poter vivere o rivivere più. Andare al cinema a vedere una qualche forma di Trainspotting, tornare in libreria a comprare ancora una volta Jack Frusciante di Enrico Brizzi, potermi guardare una nuova puntata di Brand:New per sapere cosa ne pensa adesso Coppola di Milano, di Spotify, di Berlusconi, dei sold out, dell’indie, della reunion degli Oasis e di tutto quello che avrà scelto e selezionato, ancora un’altra volta. È un privilegio perché sarà come tornare bambini con la consapevolezza dei grandi, vederlo un po’ invecchiato e vedermi da fuori cresciuto e cambiato.