Attualità | Stati Uniti

Gli Stati Uniti si stanno trasformando nella prima dittatura kitsch della storia

La situazione americana è gravissima e preoccupa il mondo intero. Ma, allo stesso tempo, è possibile non vedere quanto tutto quello che viene dagli Usa oggi sia... grottesco?

di Giulio Silvano

La finta copertina del "Time" con la quale Trump si è autoproclamato re

Al ginnasio si rideva sempre delle stranezze estreme dell’incestuoso Caligola che nominava cavallo un senatore, che mangiava perle inzuppate nel vino e carni ricoperte d’oro, che si autoproclamava incarnazione di Giove. Vere o finte che fossero, queste storie da peplum di Tinto Brass servivano soprattutto per raccontare, e dimostrare, il decadimento del principato romano che portò alla guerra civile. Per il declino del modello americano allo stesso modo si potrà raccontare ai ginnasiali del futuro le prime settimane della seconda presidenza di Donald J. Trump.

Dopo la pausa bideniana, che sembra sempre più una semplice parentesi, una piccola vacanza dalla megalomania populista con tinte tecnocratiche alt right, si è visto un potenziamento nei toni e nell’energia di quell’assaggio Maga visto nel 2017 – McDonald’s servito alle cene ufficiali, definizione di alcune nazioni come “shithole countries”, bimbi immigrati nelle gabbie e divieto ai musulmani di entrare nel Paese.

The Donald I, re d’America

La scorsa settimana si è arrivati al recupero della monarchia come modello governativo funzionale. “Lunga vita al Re”, scrive Trump nei tweet dove promette di cancellare la Ztl di Manhattan. E probabilmente, quando questo articolo finirà, l’immagine di una finta copertina di Time con scritto “King” e Trump incoronato e sorridente, presentato dai portavoce della Casa Bianca, sarà già roba vecchia, perché il Presidente statunitense avrà fatto o detto qualcosa che si accumulerà in questo show rapido e distruttivo.

Steve Bannon, che non ha mai nascosto le sue mire e i suoi metodi – il suo saluto nazista al Cpac è molto meno goffo di quello raccontato come gesto di affetto autistico di Elon Musk – parlava tempo fa dell’inondare il sistema come metodo per mantenere il potere e mettere in pratica la propria agenda ideologica. «Siccome la vera opposizione sono i media e i media sono scemi e pigri», diceva Bannon, «e possono concentrarsi solo su una cosa alla volta, se li colpiamo ogni giorno con tre cose, si attaccano a una e noi riusciamo a fare quello che vogliamo».

E così abbiamo l’esercito di incel – adolescenti con nomi come Big Balls – mandati da Musk per setacciare i server del Dipartimento del Tesoro, abbiamo le frasi di ispirazione napoleonica, l’ossessione per l’oro di Fort Knox, centinaia di ordini esecutivi a mitraglia per combattere le politiche di inclusività , rinominare patriotticamente il Golfo del Messico, proporre al Canada di diventare il 51esimo stato, sottomissione dei broligarchi, desiderio di occupare la Groenlandia, trasformare Gaza in un resort, licenziare in massa i dipendenti federali, distruggere il sistema di soft power instaurato da Kennedy, trasformare il profilo Instagram della Casa Bianca in una pagina di shitposting, oltre a un ribaltamento totale del posizionamento geopolitico – di colpo la Russia è la parte offesa della guerra in Ucraina – e un Vicepresidente che va a dire agli europei che il vero problema è non accettare i partiti filo/post/neonazisti che stanno avendo exploit elettorali.

Dittatura sì, ma kitsch

Nel 1968 Gillo Dorfles definiva il kitsch come «un’operazione apparentemente artistica che surroga una mancante forza creativa attraverso sollecitazioni della fantasia per particolari contenuti (erotici, politici, religiosi, sentimentali)». Se a operazione artistica sostituiamo “operazione politica o governativa” abbiamo il nuovo trumpismo, quello potenziato dalla Silicon Valley. È tutto estremamente derivativo e mescolato, non si trova più la fonte originaria e si prova a inventare definizioni nuove come “autoritarismo competitivo“. I meme e il nazismo, Ayn Rand e lo stile “dictator chic”, i tweet contro Zelensky «comico di modesto successo» e l’uomo più ricco del mondo che brandisce una motosega sul palco, metanfetamine e Trump come nuovo Messia per gli evangelici. Tutto velocissimo. E torna utile un’altra frase di Bannon, «non è una questione di persuasione, ma di disorientamento». Ma più che una tecnica, quella di Bannon è una lettura a posteriori di qualcosa che è già in atto, più che una tattica studiata è un modo per capire come stanno andando le cose.

E infatti, come non capitava da molto tempo, i paragoni con il passato diventano d’obbligo nella stampa e tra gli analisti, alla ricerca di qualcosa che assomigli al pazzo presente. Quando si è in crisi si tira fuori la Storia per trasformarla in Cassandra. Ma è difficile qui farlo, perché, nel suo postmodernismo estremo, questo sistema tech-reazionario-imperialista, questo nuovo stadio del capitalismo è un ingarbugliamento accelerato del mondo come videogame – Musk crede di vivere in una simulazione – e dell’estetica e dei metodi da bullo degli anni ’80, come il Johnny Lawrence di Karate Kid e, ancora di più, il Biff Tannen di Ritorno al futuro. Forza bruta per ottenere quello che si vuole, con la giusta dose di psicopatia per fare tutto senza sensi di colpa, trattando la nazione come una catena di casinò di Atlantic City.

Ucronia americana

Gli elementi per le distopie ci sono tutti, e alla Storia si prova a sostituire la letteratura di H. G. Wells, Aldous Huxley, e Alan Moore. È tutto vecchio e mescolato insieme, e quindi nuovo. La tecnologia poi – AI, sorveglianza, fake news e deepfake sui social – rende tutto ancora più rapido. Più che una distopia, la parodia di una cacotopia, cioè di un peggior scenario possibile, promesso però in campagna elettorale, e quindi atteso, dove manca quindi il velo di inganno della propaganda, che diventa più simile a un apostolato sotto bombardamenti sensoriali, a una crociata animata dal “buon senso”, nuovo termine chiave del mondo Maga, e dal “ce l’ha chiesto il popolo”.

Per anni si è parlato di come Trump piacesse alla gente per la sua franchezza, perché “dice le cose come stanno”, perché parla “alla pancia del Paese” (e questo si può dire di molti leader di estrema destra contemporanei), ora le sue azioni ne sono il frutto atteso. Non ha nemmeno più bisogno di giustificarsi, perché fa quello che ha promesso – e le forme di resistenza sembrano fiato sprecato –, come diceva una razza aliena distruttrice di Star Trek: “La resistenza è inutile”, “Resistence is futile!”. La crisi, come dice Agamben, è diventata perenne.

Nella sua tesi di laurea (pubblicata non troppo tempo fa da Adelphi col titolo di Ucronia) Emmanuel Carrère cercava un punto in comune tra gli scrittori fantascientifici ucronisti, e trovava la risposta nella nostalgia di un sistema che non può essere ma che si desidera lo stesso. Cos’è Make America Great Again se non l’apice della nostalgia verso una mitizzata America del passato, un’America mai esistita? La distruzione dello Stato di diritto, il mettere in dubbio i limiti dei due mandati presidenziali, la guerra interna verso ogni potere funzionale della macchina governativa – dai militari all’Fbi, dall’istruzione agli aiuti umanitari – è fatto senza nascondere il vero obiettivo, cioè trasformare il governo in un cda monarchico ribaltando lo status quo, come farebbe uno scrittore di fantascienza nel delineare un immaginario paese dove infila dentro i propri desideri senza pensare a quanto sia realistico. Oggi l’America sembra un romanzetto ucronistico postmoderno kitsch scritto a quattro mani da Trump e Musk.