Attualità | Polemiche

Il popolo contro Marta Donà

L’agente di quattro degli ultimi cinque vincitori del Festival è da giorni la protagonista del Tarmagate, una teoria del complotto poco credibile che però affonda le radici in uno dei mali sempre più evidenti del sistema italiano: il "circolino".

di Alice Valeria Oliveri

Alla fine è stata la dietrologia a dare un carattere politico al Sanremo astensionista di Carlo Conti. Il complottismo, la sfiducia nelle istituzioni, il sospetto come anticamera della verità: Conti voleva tenere alla larga qualsiasi forma di dissenso o di malcontento rispetto a un’edizione che, in termini televisivi, possiamo dire essere tra le più riuscite di sempre, per quanto glaciale e militare. Ma alla fine, puntuale come un boomerang, la polemichetta gli è rientrata dalla finestra.

Quando in conferenza stampa qualcuno gli ha chiesto conto del fatto che a vincere fosse sempre il numero quindici, questione sollevata anche da grandi penne del giornalismo italiano come Mentana, e sottintendendo che Conti facesse favoritismi, la risposta è stata perentoria: Sanremo non ha figli e figliastri, al massimo un debole per gli occhioni blu da Victoria’s Secret di Clara, che lo ha implorato di avere il numero otto, perché «è un infinito al contrario», dice, così almeno sappiamo che non ha perso la lezione sui limiti mentre faceva Mare Fuori.

Ma la cultura del sospetto, si sa, è il caposaldo del presente, specialmente poi se siamo in un presente in cui la post-verità trumpiana del 2017 è diventata post-umanità muskiana del 2025, e il popolo di Sanremo, me compresa, sia chiaro, non si fa certo sfuggire una scusa succulenta per ribaltare il clima sereno che Conti voleva lasciare come ricordo della sua kermesse. E quindi, eccoci qua col Tarma-Gate, che non è un problema di infestazione parassitaria, ma una vera e propria teoria cospirazionista in salsa ligure, dunque al pesto (è stata una settimana dura per tutti, abbiate pietà).

Marta Donà è il nome della Master of Puppets che terrebbe Sanremo e l’industria musicale italiana per i proverbiali testicoli. È un’agente, mestiere che chi non ha avuto il piacere di osservare a occhio nudo non può apprezzare a pieno in tutte le sue sfumature di follia. È la persona che stava dietro ai Maneskin nel 2021, a Mengoni nel 2023, ad Angelina Mango nel 2024 e a Olly nel 2025 quando hanno vinto, un vero e proprio record di successi. L’ironia su lei che ogni anno torna all’Eurovision come una di casa è sprecata, le teorie sul fatto che questo demone abbia la capacità di plasmare il mondo, compreso il Cancelliere Conti, a suo piacimento pure. Ma prima di approfondire la questione Tarma, nome in codice dell’agente che, grazie al suggerimento di Fiorello, ha fatto dell’anagramma del suo nome il marchio di fabbrica (letteralmente: la sua agenzia si chiama Tarma), andrebbe intrapreso un piccolo excursus nel mondo del management, giusto per avere qualche coordinata rispetto a uno dei lavori che personalmente ritengo tra i più spietati su questo pianeta – si scherza, ovviamente, c’è molto di peggio; ci sono gli uffici stampa, per esempio.

Ce lo ha raccontato Baz Luhrmann nel suo Elvis mettendo in scena i conflitti senza fine tra il cantante e il suo agente, il Colonnello Tom Parker. Lo abbiamo intuito dalle parole famose di Kris Jenner quando di fronte allo scandalo del sex tape di sua figlia Kim ha detto: «As her mother, I wanted to kill her. But as her manager, I knew that I had a job to do». Il manager è un lavoro complesso che necessita una certa quantità di pelo sullo stomaco, motivo per cui spesso è un parente stretto a ricoprire questo ruolo: trust nobody, not even yourself, diceva l’antico meme.

Anche in Italia abbiamo la nostra tradizione di figure che devono al contempo spremere a più non posso i loro artisti migliori senza farli impazzire, piazzare quelli che non si fila più nessuno in una sorta di trattativa di prigionieri e capire lo spirito del tempo, il tutto mantenendo un ruolo che oscilla tra quello di un genitore apprensivo, un allenatore invasato e un partner tossico. Del resto, lo ha detto anche Marta Donà in un’intervista al Corriere di qualche anno fa, quando le hanno chiesto come mai avesse interrotto la sua relazione con i Maneskin: anche i matrimoni finiscono, e se tutti i management felici sono uguali, ogni management infelice è infelice a modo suo. Mara Maionchi che non vuole far fare coming out a Tiziano Ferro, Lucio Presta che critica l’ex Amadeus lanciando frecciatine anche molto dopo il divorzio, Tatiana, la mamma di Fedez, che viene coinvolta nel dissing con Tony Effe, «sono il crackomane più bello d’Italia, sono il preferito di Tatiana»: è chiaro che attorno a questo mestiere aleggi un’aura di diffidenza.

E qua torniamo al punto di partenza: il complotto. La Tarma, che stando alle teorie di internet, ossia perlopiù parole messe insieme da account con duecento follower e le foto profilo di cantanti K-Pop, sarebbe infatti colpevole di aver aggirato le regole del festival facendo raffinati calcoli di posizionamento in scaletta, calibrando il tutto sui picchi di share e sulle complesse somme di voti che determinano la vittoria, in questo caso del giovane Olly, il cantautore genovese con le vene pulsanti – buh, vergogna, avete fatto perdere Lucio Corsi, avete fatto perdere la cultura, ahi serva Italia, perle ai porci: certo, sicuramente è andata così, ma almeno non ha vinto Cristicchi.

Dunque, la teoria del complotto tarmesco sarebbe una spiegazione del fatto che un artista che era già primo nelle classifiche di streaming e che sembra la versione genovese sad-sexy di Paul Mescal abbia vinto una competizione in cui chiunque abbia un telefono in mano può votare, gestito da una agente che potremmo definire la Re Mida del pop contemporaneo. Incredibile ma vero, e senza nulla togliere alla ballata romantica in stile “Tango” di Tananai “Balorda Nostalgia”, i giovani, che sarebbero anche i fruitori più ostinati e militanti di musica contemporanea, hanno deciso che fosse un altro giovane, bono e suppostamente dannato, stando alle parole della sua canzone, a vincere.

Le teorie del complotto, come ben sappiamo, non vengono fuori dal nulla ma nascono per spiegare in modo semplice e immediato cose complesse. E da un punto di vista mediatico, potremmo dire che siamo in una fase di pieno, e legittimo aggiungerei, populismo forcaiolo: il circoletto di Giuliana De Sio, l’amichettismo di Fulvio Abbate, il circolino di Fabrizio Corona. L’idea che l’industria culturale sia nelle mani di pochi amici che si fanno i favori a vicenda – chiamiamoli “favori” – è nell’aria, basti guardare cosa è successo alla fiera Più Libri Più Liberi con il Caffogate, così come la convinzione che a determinare il successo e l’insuccesso di qualcuno, più che il talento, spesso sia l’appartenenza al lato giusto della storia.

Nel quadro di insofferenza generale verso il tratto distintivo di questo Paese per eccellenza, ciò che ci ferma dal fare la rivoluzione, le raccomandazioni, le amicizie, i panel ti presento io e tu presenti me, La Tarma, che forse potremmo chiamare anche La Trama, visto quanto materiale narrativo succulento ci ha fornito, sembra essere la Licio Gelli del mercato musicale contemporaneo. Agente non solo di quasi tutti i vincitori degli ultimi anni, ma persino di Alessandro Cattelan, che è stato co-conduttore a Sanremo, conduttore di Sanremo Giovani e del Dopo festival: insomma, come diremmo al bar, è tutto un magna magna.

Ma lo è davvero? O è solo la naturale conseguenza del capitalismo, quella di affidarsi al mercato che si regola da solo e ritrovarsi con pochi potenti che detengono e amministrano tutto? Se invece del complottismo guardassimo questa vicenda con le lenti della politica, quelle che il Kanzler Karl Conti voleva farci levare, cosa ne potremmo dedurre? Che le canzoni le scrivono tutte gli stessi quattro autori, e difatti sono tutte molto simili, così simili che a ogni ascolto devi sforzarti di capire quale altra canzone ti fa venire in mente vestendo i panni dell’Uomo Gatto di Sarabanda. E che l’industria musicale, così come quella cinematografica, editoriale e televisiva contemporanea, alla fine, più che sugli stratagemmi segreti si fonda su un solo fondamentale principio di cui cantava Bugo ben prima di diventare un pezzo di storia di Sanremo: il giro giusto. Insomma, è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del circolino.