Introduzione a Joan Thiele, la nostra preferita del Festival
Le atmosfere dei Radiohead e l’elettronica dei Massive Attack, le percussioni di Caetano Veloso e il sadcore di Lana Del Rey: dopo 10 anni da indie, Sanremo è la sua occasione per farsi conoscere da tutti.

Se dovessimo giudicare questo Sanremo dai suoi outsider, non potremmo fare altro che alzare i voti. Una nuova anima indie sembra essersi impossessata dell’Ariston: dai veterani come Coma_Cose e Brunori Sas fino all’irruzione di campo di Lucio Corsi, che, con il volto truccato di bianco e una giacca da torero, declama «Volevo essere un duro», pur ammettendo «Se faccio a botte, le prendo». Un inno ai vinti e alla fragilità, che Joan Thiele racconta in “Eco“, una dedica d’amore fraterno che segna il debutto della cantante sul palco del Festival. Trecce sottili, un fiocco al collo e un riff di chitarra: con la sua prima scalinata la cantante e produttrice ha fatto il suo ingresso sul palcoscenico mainstream portando con sé un universo fatto di sonorità sudamericane, elettronica e tanto pop. Una miscela di influenze che richiama le sue origini, i suoi viaggi e una carriera che nella scena urban milanese va avanti da circa un decennio.
Joan Thiele nasce a Desenzano del Garda il 21 settembre 1991. Della sua infanzia in provincia ricorda spesso i pomeriggi passati con la babysitter giornalista, la stessa che ha abbracciato in conferenza stampa al Festival, nonché la prima a introdurla ai Led Zeppelin e a Jimmy Page, che con il suo riff ha fatto nascere la passione di Joan per le chitarre. Il suo nome completo è Alessandra Joan Thiele (si pronuncia “tìle”), ma ha iniziato a usare il suo secondo nome coi primi concerti, un omaggio a tutti i suoi miti che cominciano per “J” (Joan Baez, Joni Mitchell, Jimmy Page, per l’appunto). La madre è milanese di origini napoletane, il padre svizzero di origini colombiane e le sue radici multiculturali riflettono in parte i luoghi che hanno segnato la sua vita, anche se è a Londra che la sua carriera prende il via, con l’EP omonimo e l’incontro con l’elettronica.
A Milano nel 2012 ha pubblicato il primo dei suoi tre Atti, accompagnata dalla blueseggiante produzione di Mace e Venerus. Nel 2018 arriva invece Tango, parallelamente alle collaborazioni con artisti della come Myss Keta, Elodie e il rapper Nitro. Nel 2020, con l’EP Operazione Oro, fonde pop, R&B e atmosfere cinematografiche ispirate alle colonne sonore italiane degli anni ‘60 e ‘70. Proprio da quella passione per le colonne sonore arriverà poi il successo con la soundtrack di Ti Mangio il cuore, presentato alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia, che le vale il David di Donatello per la Migliore canzone originale, “Proiettili”.
Il 6 dicembre 2024 pubblica “Veleno“, il singolo che anticipa la sua partecipazione al Festival di Sanremo 2025. L’album Joanita in è uscita il 21 febbraio e lei lo descrive così: «È un disco istintivo e viscerale, Joanita è la ragazzina con la chitarra elettrica che vive dentro di me». Le atmosfere dei Radiohead e l’elettronica dei Massive Attack, le percussioni di Caetano Veloso e il sadcore di Lana Del Rey: la musica di Joan Thiele è un continente inesplorato e difficile da decifrare. La vestale dall’unibrow e gli stivali texani lascia spazio, per la prima volta, ad un allure da brava ragazza firmato Chanel, nello styling di Riccardo Maria Chiacchio. La mini-tuta in tweed bianco con profili oro, la mantella in mussola, le slingback in vernice stridono con le lunghe trecce e la chitarra rigorosamente personalizzata, un oggetto di design in marmo e lana nato dalla collaborazione di lunga data con Marco Guazzini.
“Eco” è figlia delle stesse contraddizioni che Joan Thiele incarna, una canzone d’amore struggente per un «fratello nato da un altro padre». Nella serata delle cover Thiele si esibirà sulle note di “Che cosa c’è” di Gino Paoli al fianco di Frah Quintale, un crossover che ci conferma che il futuro dell’indie italiano ha il volto di una 33enne del segno della Vergine, superstiziosa e con un cane chiamato Fausto Paquito.