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La crioconservazione degli ovociti dovrebbe essere un diritto anche per le donne italiane

Il social freezing, per ora disponibile solo privatamente, è uno strumento per preservare la fertilità femminile e contrastare la denatalità: come mai allora non se ne parla nel trito e ritrito dibattito sul calo delle nascite?

di Lucrezia Tiberio

Le donne generalmente nascono con un milione di ovuli, numero che scende in maniera costante con l’età, e sempre più spesso l’età in cui le donne iniziano a porsi il dubbio di voler procreare o meno coincide con quella in cui la fertilità è in discesa rapida. In Italia si pensa più tardi alla gravidanza e questo momento, per tante, può concretizzarsi solo quando ci si può permettere di sostenere i costi della salute ginecologica; in sostanza avere entrate economiche sufficienti per evitare i tempi di attesa del sistema pubblico o la scarsità dei consultori e rivolgersi a specialisti privati. Arrivare “tardi” ad occuparsi di questo può significare anche non conoscere il proprio corpo e i trattamenti della fertilità.

Le Millennial, che hanno assistito (forse) a un corso di educazione sessuale alle scuole medie, e complice l’assenza quasi totale di campagne informative, quando si trovano a digitare “congelamento ovuli Italia” su Google scoprono, senza troppe sorprese, che il social freezing non è coperto dal sistema sanitario nazionale, a meno che non si tratti di pazienti oncologiche, con endometriosi o con patologie che compromettono la riserva ovarica. L’indice di ricerca è tempestato di pubblicità di cliniche private, da cui si deduce che l’unica strada percorribile è investire tra i 2.500 e i 5.000 Euro per preservare la propria fertilità e posticipare la gravidanza.

Non esistono dati precisi e aggiornati riguardo al numero esatto di donne che si sottopongono al congelamento degli ovociti in Italia, tuttavia, secondo alcune stime recenti, è una pratica in aumento tra le donne che scelgono di rimandare la maternità per motivi professionali, economici o personali. Nel 2021, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha segnalato un incremento nelle tecniche di preservazione della fertilità, tra cui il congelamento degli ovociti, ma il numero totale di donne coinvolte è ancora inferiore rispetto ad altri paesi europei e rappresenta una percentuale ridotta rispetto al totale delle donne in età fertile.

L’intero processo, che in Italia si svolge quasi esclusivamente all’interno di cliniche private, inizia con un esame per stimare la riserva di ovociti della paziente. Dopodiché si passa alla fase della stimolazione, in cui le donne si iniettano farmaci ormonali una o due volte al giorno per stimolare la crescita dei follicoli. Circa una settimana dopo, misurati i follicoli e testato i livelli di estrogeni, si assumono dei farmaci che bloccano l’ovulazione, in modo che gli ovuli non vengano rilasciati prima di poter essere recuperati. Una volta che i follicoli raggiungono una certa dimensione, le pazienti si somministrano una “iniezione di innesco”, che rilascia gli ovuli in preparazione al prelievo e circa 35 ore dopo i medici eseguono il prelievo degli ovociti, drenando ogni follicolo inserendo un piccolo ago attraverso la parete vaginale.

La procedura dura in genere tra i 15 e i 30 minuti e le pazienti sono generalmente sedate per tutto il tempo. La paziente media sotto i 38 anni potrebbe recuperarne da 10 a 20 per ciclo, ma quel numero varia a seconda della fornitura individuale di ovuli e della risposta ovarica al farmaco. Solo le uova mature vengono congelate e immerse in azoto liquido per impedire la formazione di cristalli di ghiaccio, che potrebbero danneggiarle.

Quando si decide di avere una gravidanza, gli ovociti vengono fecondati in vitro, con il seme del partner, tramite una tecnica di procreazione medico assistita (PMA), con cui uno spermatozoo viene iniettato direttamente nell’ovocita. Se idonei, uno o più embrioni vengono trasferiti nell’utero. Come qualsiasi trattamento medico, anche il social freezing presenta dei rischi, le complicazioni ostetriche aumentano con l’età e la salute psicologica della donna può essere messa a dura prova. Il successo del processo, poi, dipende da vari fattori, tra cui la qualità degli ovociti congelati e la salute riproduttiva individuale: non vi è mai una garanzia assoluta di concepimento.

Un altro rischio, poi, sembra essere quello di scendere a patti con il fatto che l’Italia non ha intenzione di agevolare questo tipo di pratiche, attualmente fruibili solo nel sistema privato. Appresa, quindi, la sensazione abbastanza netta di non potersi permettere una pratica così costosa si aprono due opzioni: rinunciare e ripensare alla propria fertilità più avanti, in un periodo non ben definito della vita nel quale vita privata e lavoro saranno in equilibrio, o iniziare a informarsi sulle cliniche all’estero, che garantiscono dei prezzi molto più abbordabili. O addirittura pensare di trasferirsi in Francia, dove il congelamento degli ovociti è gratuito per tutte le donne fino ai 37 anni.

Qualche anno fa il Guardian ha pubblicato alcune testimonianze sui rischi del congelamento degli ovociti, sostenendo che alcune donne si fossero sentite ingannate dalle cliniche che effettuano questa pratica. Hanno raccontato di non essere riuscite a portare a termine la gravidanza o di non essere state avvisate sull’impegno psicologico e fisico necessario a intraprendere il percorso. Ovviamente, anche in ambito sanitario, individuare un’attività redditizia nel mercato, costruire una buona strategia di marketing e raccontare solo i lati positivi, paga, e anche tanto. Lasciare il social freezing in mano a un sistema privatizzato significa rinunciare a un’informazione trasparente e disinteressata al profitto, ma soprattutto escludere molte donne dall’accesso a un diritto.

Per come stanno le cose ora il congelamento degli ovociti non è una pratica abbordabile per le donne in Italia. È paradossale che quando si parla di denatalità sembra che il drastico calo delle nascite dipenda esclusivamente dalla volontà delle donne giovani, categoria già svantaggiata da tutte le politiche promosse dallo stesso governo che si esalta per la maternità senza dare nessuno strumento concreto, cioè agevolazioni economiche, stipendi più alti, reddito universale. Sarebbe sufficiente partire dalla premessa indiscutibile che le donne giovani spesso sono lavoratrici povere, che in molti casi si appoggiano alle finanze del partner e che non possono permettersi di pensare alla gravidanza, non solo dal punto di vista economico.

I siti di cliniche private, e anche delle strutture pubbliche, descrivono il social freezing come “uno strumento in più per preservare la fertilità femminile e contrastare la denatalità”: come mai non se ne parla del trito e ritrito dibattito sul calo delle nascite? Probabilmente perché si allontana di molto dall’idea di maternità e di gravidanza dolorose e tradizionali, che hanno a che fare con il sacrificio della donna. Probabilmente, come per la procreazione medicalmente assistita servirà un dibattito decennale, in cui i diritti della donna sono stati subordinati a una politica conservatrice. Rendere gratuito il congelamento degli ovuli per tutte metterebbe in mano alle donne il potere di decidere quando e con che modalità intraprendere la gravidanza. Sarebbe un modo per risolvere almeno in parte la denatalità: in sostanza, una politica femminista. Forse per questo non viene presa in considerazione.