Cultura | Tendenze

I nuovi boni

I Rodent Men e i Fruity Boys, Josh O'Connor e Jeremy Allen White: la bellezza maschile si è trasformata in trend, in mode in cui più che la bellezza stessa conta la stranezza.

di Lorenzo Peroni

I primi sono stati Vincent Cassel e Adrien Brody. Antidivi, baciati dal successo di pubblico e critica, corpi e soprattutto volti estranei al canone di Policleto, oggetti di desideri oscuri e silenziosi ai quali non è mai stato concesso il privilegio di lanciare una vera tendenza, lasciandoli a giocare in un campionato tutto loro dove sono stati a lungo gli unici concorrenti e gli unici vincitori. Poi, dopo una serie di facce caratterizzate da linee morbide, tonde, dolci, ma con proporzioni inusuali, smussature inconsuete, interessanti insomma, (Joshua Jackson, Michelle Williams, Thora Birch, Christina Ricci, Mena Suvari) per anni abbiamo avuto volti bambolizzati, di bellissimi velocemente sfioriti, se non nella bellezza quantomeno nel fascino, nel magnetismo forsanche mai pervenuto (Tom Welling, Josh Holloway, Hayden Christensen, Jesse Metcalfe, Kellan Lutz, Cam Gigandet) finiti lestamente nel cestone del “chissà dove”. Ogni tanto la comparsa di qualche miracoloso luminosissimo Ufo solitario: Louis Garrel.

Ora, non potendoci più concentrare sui corpi (beautiful in every single way) l’attenzione per le facce è ancora più preponderante, l’unica concessa, e la controdenza sembra anche questa: il ritorno del viso “distintivo”. Pioniera in questo è stata Lena Dunham, la voce della sua generazione (o, comunque, di una generazione), che per Girls ha scelto Adam Driver come nuovo prototipo del manzo bello e impossibile: una bellezza nuova, eccentrica, a prima vista quasi sgangherata. Viso lungo, affilato e asimmetrico, orecchie sporgenti e naso prepotente. Ecco quindi che nell’immaginario cambia il paradigma, si fa spazio nella fisiognomica una nuova musicalità. Dopo Lena, è un’altra firma, stavolta del grande schermo, a dare una nuova decisiva spinta alle facce da Modigliani: Luca Guadagnino, che trasforma Timothée Chalamet da scarabocchio a pura fantasia di desiderio sessuale.

Al contrario di Brody e Cassel, Driver e Chalamet sono stati trovati da qualcuno in grado di guardarli con gli occhi del sesso, della voglia, dell’impazzimento nelle mutande, e lo sguardo dell’autore pervertito, del regista bavoso, diventa così anche quello del pubblico. Questa nuova luce, pruriginosa, sensuale, umida di ansimi e spasmi, si riversa sui lineamenti irregolari, respingenti, e li trasforma in linee da desiderare, sognare, da disegnare con itinerari di lingue umide e dita tremanti. Nasce così, fortunatamente, un nuovo immaginario. Nel mezzo anche Benedict Cumberbatch, che senza passare dalla via della cintola, con Sherlock, ha reso cool, à la page, le fisionomie respingenti, sconcertanti. Nel solco del suo successo si inserisce Barry Keoghan, inizialmente sfruttato per la sua faccia da brividi in pellicole come Il sacrificio del cervo sacro e Gli spiriti dell’isola, e poi lanciato nel territorio dell’erotizzazione con Saltburn. Prima era un attore impegnato, apprezzato dalla critica, un ottimo e stimato non protagonista, poi, culo in vista su “Murder on the dancefloor, lo troviamo trasformato in icona, in fidanzato della cheerleader (Sabrina Carpenter), insomma, in un protagonista. 

La rivincita dei brutti, peggio ancora, dei roditori, ha sentenziato qualcuno senza troppo tatto: «“Rodent Men”: What are they? Tiny men? Men who eat garbage? Some kind of furry science experiment gone wrong?», così un articolo del New York Times. I rodent men originari sono Josh O’Connor e Mike Faist nella loro versione Challengers, «più snelli che muscolosi, con tratti più appuntiti e spigolosi» Soprattutto, «they’re often not conventionally handsome». Nell’articolo una nota interessante, i volti atipici sfuggono alle leggi stereotipate e prevedibili dell’intelligenza artificiale, dei filtri bellezza di snapchat e TikTok.

Finalmente, come forma di ribellione allo stereotipo dell’algoritmo, siamo tutti in grado di scorgere il potere magnetico di questi lineamenti fuori dalla vecchia e noiosissima norma che per anni e anni e anni ha promulgato lo strapotere dei nasi dritti come fusi, scolpiti dagli angeli. Eccoli allora, non solo attori con la faccia da roditore, ma, meglio ancora, gli attori borzoi (questa è una mia invenzione che mi auguro diventi tendenza). Se non sapete cosa sono i borzoi, non avete perso tempo a sufficienza su Instagram, non conoscete Eris né Esper né Abby. Levrieri russi dalla storia aristocratica, affusolati, sproporzionati, con zampe secche, dritte, nasi smisurati da formichiere e capaci di eloquentissimi bombastic side eyes, oggi sono diventati persino simpatici attraverso meme, trend di TikTok e una miriade di content.

Gli attori borzoi sono così, con nasi dalle anatomie assurde, adunchi, lunghi, storti, zigomi alti, guance scavate, menti appunti, usciti dalla matita ruvida e dai colori sbrodolati di Angelo Stano. Fisici asciutti, a volte muscolosi perfino, ma sempre aguzzi, appuntiti. Sono dinoccolati, sensualmente malinconici, con sguardi dolci da cagnoloni assonnati. Il loro look, in genere, è quello da fruity boy: vestiti vintage, ricami floreali, tote bag, colori pastello, capi all’uncinetto; nuova categoria di uomini che – schiavi di diabolici stylist e vogliosi di prendere le distanze dai miasmi della mascolinità tossica – rifiutano il tipico vestiario da “uomo” per lanciarsi in un mondo di trine e merletti, gonne, sabot e abiti genderless. Nell’articolo di Dazed intitolato “How fruity boys became the new soft boys” viene citata Alice Cappelle che nel suo nuovo libro Collapse Feminism scrive: «From soft boys […] to “fruity” men, each one of these phrases has similar definitions, describing men who are considered to be effeminate and sensitive because of their behaviours and aesthetics».

Josh O’Connor potrebbe essere il tenerissimo e malinconico capobranco, lo seguono Fionn O’Shea (Wolf, Handsome Devil, Dating Amber, Masters of the Air), irlandese dai capelli color grano dall’aspetto deperito e saturnino; Harrison Osterfield, controfigura del più regolare Tom Holland (quest’ultimo protagonista di un’altra tendenza basata sulla bellezza irregolare, quella degli short king), tra i protagonisti della sfortunata serie Netfllix Gli Irregolari di Baker Street; il veterano Ben Whishaw, immusonito britannico, meno spigoloso ma altrettanto smunto e fantasmaticamente aggraziato. Anche il più tradizionale Jacob Elordi ha lineamenti troppo ravvicinati, proporzioni troppo appuntite e il fisico troppo da papà gambalunga per rientrare nel canone delle bellezze da sbadiglio – forse più levriero afgano che borzoi. E poi ancora, dalla Svezia, Gustav Lindh, visto a fianco di Mads Mikkelsen in The Promised Land e Riders of Justice

Non è un caso forse, che proprio ora sia giunto il momento d’oro per Jeremy Allen White, versione sexy e muscolosa di Gene Wilder (ora immaginatevi Wilder modello in mutande per Calvin Klein), occhietti cerulei, muso malandrino, finalmente protagonista assoluto in The Bear dopo anni da comprimario. Stessa cosa per Pierre Niney, musetto nasuto con umidi occhioni nocciola, dopo il biopic su Yves Saint Laurent e Frantz di Ozon sembrava non riuscire più ad azzeccare un ruolo di primo piano, ora invece passa dalla romcom brillante con Isabelle Adjani (Masquarade) al film d’autore (Il libro delle soluzioni, dove interpreta l’alter ego di Gondry), fino al mega colossal storico letterario, Il Conte di Monte Cristo. Anche in Italia abbiamo uno splendido esemplare di borzoi con un maestoso naso ad arco e occhi profondi come il Mar Baltico, Pietro Castellitto, ma dato che siamo una provincia ormai remota dell’impero culturale brand e mondo fashion ci metteranno un po’ a capire la potenzialità del suo sex appeal. 

Non è che, sia chiaro, le bellezze eccentriche non fossero già presenti negli annali del grande e piccolo schermo, ma il crollo della bambolizzazione (RIP Zac Efron) sembra ormai giunto a un punto di non ritorno. Oggi la bellezza deve sorprendere, raccontare interiorità complesse, l’animalesco si sovrappone all’umano in un desiderio di sentimenti profondi, perduti, dimenticati, una cavalcata contro lo strapotere della chirurgia che tutto spiana, dell’AI che tutto uniforma. Dalla noia, dall’aridità, dal modulo algoritmico, la bellezza barocco-déco dei borzoi salverà il mondo.