E l'ha definita una misura a tutela dell'infanzia.
Quando Gino e Michele sbancarono ogni classifica di vendita con la loro antologia delle migliori battute della storia, Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano, inserirono anche questa straordinaria perla dell’allora deputato del Partito socialdemocratico italiano, Filippo Caria: «Compagni, alle elezioni provinciali di Caserta il Psdi è passato da due a tre consiglieri: la socialdemocrazia avanza e conquista il mondo». Era un’epoca felice. Non serviva spiegare le battute, quindi se ti aveva fatto ridere bene, se non ti aveva fatto ridere, passavi alla battuta successiva. Ed era un’epoca felice perché non serviva il contesto per ridere di qualcosa: Filippo Caria passava alla storia dell’umorismo per una battuta totalmente involontaria. La buffa magniloquenza con cui rivendicava quella piccola vittoria lo rendeva degno di un’antologia in cui la sua sparata troneggiava accanto alle migliori battute di Totò, Schulz, Allen, Flaiano, Villaggio, Guzzanti e altri ancora.
Eppure, sarà che la retorica è davvero una malattia nazionale, sarà che questa è l’età dell’ansia, ma mi pare che sempre più elezioni vengano vissute con lo spirito di Filippo Caria: come se vincere delle suppletive a Monza o delle amministrative a Bari possa davvero segnare un passaggio verso la vittoria nel mondo della socialdemocrazia o chi per essa. Si è sorriso molto dell’avventatezza con cui Francis Fukuyuma aveva previsto la “fine della storia”, ma tra la fine della storia e appassionarsi alle presidenziali slovacche perché da queste dipenderebbe il futuro dell’Europa, speravamo ci fosse una via di mezzo. Invece non c’è. E sappiamo chi è Peter Pellegrini e che dovevamo tifare per l’altro.
Ma non serve neanche poi andare così lontano. Qui in Italia siamo da poco passati da un turno di amministrative in cui si è imposto il Pd, ma in cui ogni vittoria locale, da Capalbio passato a FdI o Pontida persa dalla Lega, è stato salutato con parole che avrebbero fatto sembrare Filippo Caria un po’ troppo compassato. E anche la copertura mediatica non è da meno. Ecco, giusto come esempio, un tweet (o come diavolo si chiameranno adesso) di una delle pagini più seguite in tema politico:
#Amministrative2024, risultati in Calabria: il centrosinistra vince Vibo, ma finisce in pareggio:
Vibo Valentia – CSX GAIN
Montalto Uffugo – CDX HOLD
Gioia Tauro – CDX GAIN
Corigliano Rossano – CSX GAIN
Qui siamo chiaramente oltre l’americano a Roma di Alberto Sordi, parliamo di Hold e Gain (ah, se l’italiano avesse parole per esprimere concetti così complicati!), ma non per i membri della Camera dei Rappresentanti dal Maine, bensì per il sindaco di Montalgo Uffugo (ma, in effetti va detto che in quanto a esotismo a molti italiani la Calabria sembra perfino più lontana del Maine).
Ma l’americano a Roma – a proposito, il film quest’anno fa 70 anni portati benissimo – torna fortissimo anche quando si parla di elezioni americane. Italiani che non voterebbero per il centrosinistra neppure se sfidasse al ballottaggio Pol Pot, diventano ferventi esponenti dei “Dems” quando si parla di politica americana, si lamentano del gerrymandering, rimpiangono i Kennedy (nella versione da rivista alla Gente), mettono like a slogan come “hope” o “finiamo il lavoro” che in Italia giudicherebbero elementari e risibili.
Ma è come se le elezioni, quasi ovunque – e tra un po’ ci arriviamo – fossero diventate una grande forma di intrattenimento collettivo. Più vive e più avvincenti di qualsiasi avvenimento sportivo. Perché coinvolgono l’appassionato di politica e l’appassionato di statistiche, chi vuole essere informato e chi vuole militare, chi quella sera non trova una partita in tv e chi si appassiona ai giochi. Una bella vittoria elettorale, anche a migliaia di chilometri distanza, libera endorfine e mette di buonumore, come una bella corsa, una passeggiata in bici col fresco, una serata in buona compagnia. Non vi pare, per esempio, che la vita sia scandita dalle grandi vittorie della sinistra in America Latina? Ci siamo appassionati alla vittoria di Claudia Sheinbaum in Messico, così come ci eravamo appassionati per quella di Amlo. (“Ma come!? Si vota di nuovo in Messico!? Ma cosa ha fatto Amlo in questi anni? Vabbè. Intanto tifiamo Sheinbaum). Ci siamo giustamente appassionati alla vittoria di Coric in Cile per poi dimenticarci immediatamente di lui, proprio così come di Amlo e ci siamo appassionati perfino al ritorno di Lula (un po’ “annacquato”, come dicevano gli Offlaga), perché l’avversario era davvero oltre ogni immaginazione. Ma è una passione fugace, che dura giusto la competizione elettorale.
Ieri è stato il turno delle elezioni francesi. E chi è per La République sapeva già che andavano votati tutti tranne che Rassemblement National. E c’era grande ansia e preoccupazione e che, però, è svanita altrettanto rapidamente. E siamo sicuri tornarà a settembre quando in Germania si voterà per i Länder di Sassonia, Turingia e Brandeburgo e poi, a novembre, per le elezioni americane.
Va a capire, invece, perché delle elezioni inglesi è sembrato non importare granché a nessuno. Che sia stata una vittoria troppo facile che non fa neanche venire voglia di festeggiarla? Nonostante la sorpresa che sia riuscito a farcela pure Corbyn, anche se contro un tizio che menava i bambini durante le partite di beneficenza? Forse semplicemente Starmer non appassiona perché chi si esalta per le vittorie è anche sufficientemente scafato e vede già dietro l’angolo quello che si dirà di Starmer tra pochi mesi: è di destra.

«No, in realtà, per essere precisi, abbiamo pagato noi. Il 60 per cento della spesa totale l’abbiamo sostenuta noi. E abbiamo fatto le stesse cose che hanno fatto gli Stati Uniti: prestiti, garanzie e prestiti a fondo perduto. Ci abbiamo messo soldi veri»