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Gucci torna a Londra

Sabato De Sarno ha presentato la prima collezione Cruise della sua direzione creativa nella città in cui Guccio Gucci ebbe l’ispirazione a fondare il brand che porta il suo nome.

di Silvia Schirinzi

Tornare a Londra può significare tante cose, tanto più se si è a capo di un grande marchio di moda il cui fondatore, vuole la leggenda, è qui che trovò l’ispirazione per lanciarsi nella sua attività. Guccio Gucci arriva all’hotel Savoy nel 1897, figlio di italiani immigrati, non parla una parola d’inglese, lavora come facchino nel primo hotel al mondo con l’elettricità in tutte le stanze, due ascensori e un teatro tutto suo, nello stesso periodo Monet dipinge i suoi quadri da uno dei balconi di questa nuova folgorante costruzione, che diventa ben presto simbolo e punto di riferimento della scena mondana e culturale londinese. Osservando i clienti del Savoy, vuole sempre la leggenda, Guccio Gucci capì di cosa avevano bisogno e di cosa no: tornato a Firenze, nel 1921 lancia la sua bottega artigianale che produce valigie, pensate per i viaggiatori di un tempo che oggi ci sembra lontanissimo. Da allora Gucci è spesso tornato a Londra, l’ultima volta lunedì 13 maggio, per un viaggio che il direttore creativo Sabato De Sarno ha voluto passasse sì dal Savoy, dove gli ospiti hanno alloggiato, ma che si è poi fermato presso la Tate Modern, dove si è svolto lo show per la collezione Cruise 2025, la prima da lui disegnata. Due luoghi che rappresentano due anime diverse di Londra e che, in qualche modo, tengono ancora insieme le tante contraddizioni della città, dove il sindaco laburista Sadiq Khan è stato recentemente rieletto, per la terza volta, e il multiculturalismo che ne ha creato il mito prova a reggersi dopo il grigiore inflitto dalla Brexit.

La Tate Modern, uno dei più grandi spazi espositivi al mondo, e uno dei pochi aperto a tutti, è per De Sarno prima di tutto un contrappunto estetico, un monumento alla «solidità nella delicatezza», come si legge nelle note ufficiali, locuzione che descrive bene il suo approccio alla moda. Per la sfilata, dalla grandiosa Turbine Hall ci si muove nei tank sotterranei, e da un set luminoso che evidenzia le linee essenziali della struttura si arriva in una stanza dove esplode un verde incolto, quasi da archeologia industriale, che sembra aver preso il sopravvento sull’elemento umano e inneggia a una sorta di, seppur selvaticamente sgangherata, rinascita. Anche la collezione esplora questa dicotomia, ma alla maniera di De Sarno, che non è mai urlata ma si concentra sui dettagli, le finiture, i ribaltamenti nascosti: la chiusura a moschettone che diventa gancio della collana di perle, i jeans che si ricoprono di frange anche loro fatte di perline, i tartan e i tessuti tradizionali della sartoria britannica che si alleggeriscono nelle linee, i fiori di camomilla che creano un nuovo, delizioso, pattern e vengono declinati su abiti e completi. I piedi sono ben piantati a terra: o ballerine (una novità) o mocassini creeper (già comparse nella collezione uomo), che fanno da contraltare ai completi in suede, ai jeans lunghi e morbidi e agli abiti in plissé, che si portano abbinati al capospalla scultoreo ma non rigido. Solidità e delicatezza.

Sabato De Sarno ha una mano leggerissima, ma è un designer molto coerente: probabilmente in molti fra i suoi colleghi, considerando la pressione che ha accompagnato la sua direzione creativa sin dall’esordio e il difficile momento attraversato da Kering, avrebbero cambiato strada, virato su altre estetiche, accontentato i critici improvvisati e inferociti che su internet rivogliono il glamour di Tom Ford (gli abiti finali erano un rimando ad Halston, che è stata primaria fonte di ispirazione per Ford) o gli universi magici di Alessandro Michele, ma De Sarno è rimasto fedele a sé stesso, assumendosene tutte le responsabilità. La sua è una moda che si apprezza al meglio quando la si tocca e la si guarda da vicino: sta nei tagli, nei ricami tridimensionali e nei tessuti preziosi, nella precisione tattile e nell’esperienza, infine, che si è accumulata in più di dieci anni di lavoro nell’atelier di un marchio come Valentino. Che sì, è anch’esso ispirazione: ma perché pensiamo che le esperienze passate di un designer debbano necessariamente cancellarsi da un giorno all’altro? La coerenza può sfondare nella testardaggine, certo, ma ciò non le nega la sua virtù principale: ovvero quella consapevolezza di chi la esercita. Basta una visita nel negozio Gucci di Bond Street, d’altra parte, per capire che la moda di oggi è diventata una macchina complicata e che in molti miracoli del passato si nascondevano già i germi delle future crisi: con una distribuzione ancora molto parziale che andrà aumentando nei mesi a venire, il verdetto del mercato sulle collezioni di De Sarno è ancora da venire. I fattori che determinano il successo di un brand oggi sono molteplici e se la direzione creativa ne è il cuore, non si può però sottovalutare la visione manageriale, compito ora affidato al nuovo Ceo Stefano Cantino, arrivato ai primi di maggio. Nei prossimi mesi, sarebbe bello vedere le ossessioni di De Sarno, che sono visibili e sono la parte migliore delle collezioni presentate finora, liberarsi e compiersi del tutto: di solito la coerenza paga sempre, se non altro con sé stessi.