Cultura | Cinema
Roger Corman, la grande bruttezza
È morto a 98 anni il regista e produttore, gran maestro del basso costo, scopritore di registi e attori, erogatore seriale di film di serie B (a volte anche Z), idolo dei cinefili snob.

«Oggi piango la scomparsa di Roger Corman. È stato il mio primo capo, manager, insegnante, mentore e modello. Non c’è niente riguardo agli aspetti pratici della realizzazione dei film che non abbia imparato come suo assistente», così Francis Ford Coppola dal suo profilo Instagram, con gratitudine dopo più di 60 anni dalla sua esperienza sul set con una delle figure più sghembe e influenti del cinema hollywoodiano. È morto a 98 anni Roger Corman, regista e produttore, gran maestro del basso costo, dei film di serie B (a volte anche Z), dalla ricchissima filmografia che va dagli horror ai teen movie, dalla fantascienza ai film pruriginosi tutti tette e culi, e oltre ancora. Il preferito dai cinefili snob, «Erogatore di schlock movies posato e signorile nonché mentore di alcuni tra i più provocatori registi hollywoodiani», così David Kamp e Lawrance Levi nel loro Dizionario Snob del Cinema (per l’appunto). La sua è stata una figura mitica, unica, che ha saputo unire l’alto e il basso (a volte bassissimo), creando a attorno a sé un club di talenti che ha ridefinito le fattezze di Hollywood: Bogdanovich, Dante, Demme, Roeg, Cameron, Coppola, Scorsese tra i registi, Jack Nicholson, Peter Fonda, Dennis Hopper tra gli attori.
Basterebbe citare l’avventura produttiva di un film come La piccola bottega degli orrori per capire il tipo: fondi ridotti all’osso, due giorni di riprese e il set riciclato da una produzione precedente. Il metodo Corman era questo: budget ridottissimi, attori esordienti o vecchie glorie del cinema che venivano via con poco, non si butta via niente, nell’ottica della minima spesa / massima resa. Come ho fatto cento film a Hollywood senza mai perdere un dollaro è il titolo della sua autobiografia, non a caso. Ingegnere di formazione, mette una prima zampa nel mondo del cinema grazie al fratello Gene, un agente cinematografico, diventando smista posta alla 20th Century Fox, nel frattempo studia letteratura a Oxford, viaggia a Parigi, torna alla Fox come fattorino, lavora come assistente di un agente letterario, fino a quando vende la sua prima sceneggiatura per 2.000 dollari alla United Artist (Highway Dragnet, 1954), somma che reinveste immediatamente nella sua prima produzione, Monster from the Ocean Floor, un film horror a basso costo che prometteva gambe femminili in bella vista e mostri terrificanti con tentacoli insidiosi.
Il mondo dei B-movie funziona bene: adolescenti e universitari americani ai drammoni pomposi e patinati del grandi studios preferiscono filmacci eccitanti con trovate ad effetto, violenza e comicità grottesca. Corman inizia così una collaborazione fruttuosa, sia come produttore che come regista, con la AIP di James H. Nicholson e Samuel Z. Arkoff, un’istituzione per quanto riguarda film malandrini che promettono emozioni shock al pubblico. Passando dai cavalli alle astronavi senza soluzione di continuità, Corman diventa un nome di punta della società e negli anni ‘50 sforna titoli come Il conquistatore del mondo (1956), Rock tutta la notte (1956), Paradiso nudo (1957), La sopravvissuta, La ragazza del gruppo e La leggenda vichinga (1957). Intanto viene notato anche dalla Allied Artists (l’ex Monogram dei primi successi di primi film di John Wayne) per cui produce e dirige Il vampiro del pianeta rosso e L’assalto dei granchi giganti (1957). Troppi per stare qui a elencarli tutti: solo nel 1957 arriva a dirigere e produrne ben otto. Sono considerati film spazzatura, robaccia, ma guadagnano 10 volte tanto il loro budget. La critica inizia a vedere Corman con un occhio diverso quanto esce, nel 1958, La legge del mitra (Machine-Gun Kelly), biopic di gangster con Charles Bronson, che arriva anche sulle pagine dei Cahiers du Cinéma. Nel 1964, Corman sarà il più giovane regista ad avere una retrospettiva alla Cinémathèque Française – fino a, grande zompo in avanti, ricevere nel 2010 anche un Oscar onorario.
Il suo è una sorta di sogno americano eccentrico e senza freni dove i giovinotti possono limonare (o peggio, aiuto) in macchina accarezzati dal baluginio inquietante di storie con granchi giganti o donne che si trasformano in micidiali vespe assassine
Le cose girano bene, il regista produttore sfornatore di idee folli ma vincenti decide quindi di fondare nel 1959 con il fratello la sua casa di distribuzione, la Filmgroup, specializzata in film in bianco e nero da un’ora destinati ai drive in: ne escono film di tutti i generi (western, fantascienza, corse automobilistiche, teen movie), tutto fa brodo. Il suo è una sorta di sogno americano eccentrico e senza freni dove i giovinotti possono limonare (o peggio, aiuto) in macchina accarezzati dal baluginio inquietante di storie con granchi giganti o donne che si trasformano in micidiali vespe assassine. Nel solco di questa nuova avventura, ancora in collaborazione con la AIP nasce La piccola bottega degli orrori, film minuscolo destinato a conquistarsi – contro ogni aspettativa – il bollino di garanzia Cult™, certificato anche da un musical e un remake negli anni ‘80. Nel cast anche Jack Nicholson, che aveva da poco debuttato in un film prodotto da Roger Corman, The Cry Baby Killer. Il regista avrebbe diretto Nicholson in altri tre film, I maghi del terrore (1963), La vergine di cera (1963) e Il massacro del giorno di San Valentino (1967). Il film è stato girato in solo due giorni sul set del procedente A Bucket Of Blood, di cui è stata reimpiegata anche la colonna sonora, poi riutilizzata (ancora e ancora) anche per La donna vespa (1959) e La creatura del mare fantasma (1961).
Ma non di soli drive in per pomicioni vive il cinema. Negli anni ’60 la AIP fattura bene grazie a Roger Corman, Vincent Price e Edgar Allan Poe, riuniti in una serie di film horror che fanno scuola. L’idea di Corman è semplice, sfruttare testi di alto valore letterario per, come diremmo oggi, alzare il percepito del brand, ma senza dover spendere i soldi per i diritti… Ecco allora La caduta della casa degli Usher, che ha il vantaggio di essere di dominio pubblico, privo di royalty. L’idea sembra buona e Corman riesce a convincere lo studio a concedergli un budget maggiore del solito, gira in widescreen a colori, con scenografie (un po’) più sfarzose. Nasce così I vivi e i morti (al momento lo trovate su Prime Video), è un successo. A cascata ecco arrivare quindi altri horror tratti da Poe, tutti diretti da Corman e interpretati da Price (tranne Sepolto vivo, con Ray Milland) che grazie a Corman rilancia la sua carriera: «La passione di Roger sul set ha compensato il fatto che si trattava di produzioni con tempi ristretti e a basso budget», ha ricordato Price. Le scenografie, ovviamente, sono utilizzate più e più volte per mantenere i costi.
Arrivano proposte anche da Studios più importanti, Corman vuole sperimentare l’ebbrezza di budget più importanti, ma le sue idee sono considerate troppo strane, non vanno in porto, le grandi società vogliono giocare sicuro. Le immagini ordinarie, riflette lui, non fanno soldi. Sono gli anni in cui la Golden Age è ormai tramontata, il sistema dei grandi Studios è in crisi e pronto al collasso, emergono nuovi autori, con pochi fondi e grande idee, che riescono a sfruttare le dinamiche e le suggestioni dei B-Movie per fare breccia nel sistema. Dennis Hopper, in una cena verso la metà degli anni ‘60, si rivolge verso George Cukor e gli dice: «Vi seppelliremo!». Corman torna così alla AIP dove può girare film di motociclisti con Peter Fonda e Nancy Sinatra, I Selvaggi (1966), con Bogdanovich che gli fa da assistente. Il film apre la Mostra del Cinema di Venezia e diventa un successo al box office.
«Conobbi casualmente Roger Corman (in un cinema)», ricorda Bogdanovich in Chi ha fatto quel film?, «mi scritturò per lavorare in un paio dei suoi film, soprattutto I selvaggi (1966), un film a basso costo (350.000 dollari) sull’ambiente dei motociclisti che incassò sei milioni di dollari, diede il via a un filone di successo, e fece diventare Peter Fonda una star. […] avevo riscritto l’ottanta percento del copione, ma senza citazione nei credits; per tre settimane diressi anche la seconda unità del film, comprese scene con Fonda, Nancy Sinatra e Bruce Dern. Anche per questo lavoro, niente credits. Ma come ricompensa, Roger mi offrì – a una serie di condizioni – Boris Karloff per il mio primo film come regista. Accettai […] e nell’aprile del 1967 diressi, produssi e recitai un ruolo importante in Bersagli».
Attorno al regista nel corso degli anni si è creata una factory, una scuola, un club… Registi, sceneggiatori e attori mal pagati, sfruttati, non accreditati, in un sistema di baratto al di fuori di qualsiasi logica sindacale, eppure eternamente, calorosamente, sinceramente riconoscenti al loro pigmalione sottomarca
Nei suoi film, sotto la buccia succulenta dell’intrattenimento, Corman (a suo modo) ha veicolato anche messaggi di critica sociale e rivendicazione femminista. Con The Trip – Il Serpente di fuoco (1967), da una sceneggiatura di Jack Nicholson, Corman inaugura il filone psichedelico di Hollywood, nel cast Peter Fonda e Dennis Hopper; da un budget di 100.000 dollari a un incasso al botteghino di 10 milioni di dollari. Nel 1970 è la volta di Bloody Mama, con Shelley Winters e un giovane Robert de Niro, il suo capolavoro (ho deciso io): «Roger Corman rilegge la storia di Ma’ Barker, la signora che con i suoi quattro figli, uno peggio dell’altro, mise su una banda di fuorilegge, rapinatori e omicidi nell’America della Depressione. E mette al centro della scena la sfrenata, vorace vitalità di Shelley Winters, che non si tira indietro davanti a nessuna nefandezza e la fa finita impugnando il mitra contro decine di poliziotti. Realismo crudo e isterico, in chiave matriarcal-incestuosa» (Emanuela Martini su Cineforum, 4 maggio 2023). Stufo dei tagli e delle ingerenze della AIP, nel 1970 Corman fonda assieme al fratello una nuova compagnia, la New World Pictures, con un doppio obiettivo. Da una parte continua la produzione di film che cavalcano l’onda dell’exploitation (si vedano i titoli del filone “carcere femminile”, come Sesso in gabbia di Jack Hill, girato nelle Filippine, che ha lanciato la carriera di Pam Grier come star del cinema per smanettoni, poi recuperata, omaggiata e nobilitata da Tarantino in Jackie Brown, poi quelli del filone infermiere sexy e quello ancora delle insegnanti sexy), dall’altra invece prende il via l’attività di distributore dei pellicole d’essai provenienti dall’Europa (Sussurri e Grida, Amarcord…).
Ron Howard per ricordarlo ha scritto: «Un grande regista e mentore. Quando avevo 23 anni mi ha dato la prima possibilità come regista. Ha lanciato molte carriere e ha guidato silenziosamente il nostro settore in modi importanti. È rimasto acuto, interessato e attivo anche a 98 anni. Sono grato di averlo conosciuto». Attorno al regista nel corso degli anni si è creata una factory, una scuola, un club… Registi, sceneggiatori e attori mal pagati, sfruttati, non accreditati, in un sistema di baratto al di fuori di qualsiasi logica sindacale, eppure eternamente, calorosamente, sinceramente riconoscenti al loro pigmalione sottomarca. Tra una tetta e una chiappa, Corman produce America 1929: sterminateli senza pietà (1972), il secondo lungometraggio diretto da Martin Scorsese con David Carradine, Terrore alla 13ª (1963) di Francis Ford Coppola (già suo assistente in diversi titoli) e Femmine in gabbia (1974) l’esordio di Jonathan Demme (e anche qui tette, culi e botte da orbi in galera). Grande la riconoscenza di tutti i suoi protetti, di tutti i puledrini del cinema che ha nutrito e lanciato nel circuito, che negli anni della gloria l’hanno richiamato per rendergli omaggio con camei nelle loro pellicole di successo. Il senatore del Padrino – Parte seconda, il capo dell’FBI del Silenzio degli Innocenti… Tra gli altri lo trovate anche in Philadelphia, Apollo 13 e The Manchurian Candidate. Dopo quelli di Hitchcock i suoi sono i camei più amati dai cinefili. «Non so se potrei definirmi un artista», da detto Corman in un’intervista del 2011 al Guardian, «direi che sono un artigiano. Provo a fare il mio lavoro nel miglior modo possibile. Se occasionalmente qualcosa va oltre il mestiere, beh… Stupendo! Ma non succede spesso».