Una ricerca dimostra che i videogiochi hanno un problema con le persone Lgbtq+

14 Febbraio 2024

La Gay & Lesbian Alliance Against Defamation (GLAAD) ha realizzato un sondaggio per capire quante siano le persone Lgbtq+ che giocano abitualmente ai videogiochi e come queste siano rappresentate nell’industria e nei prodotti dell’industria videoludica. Stando al GLAAD, dunque, il 17 per cento dei gamer sono omosessuali, lesbiche, bisessuali, transessuali o queer. E fin qui, niente di nuovo: che circa un quinto dei videogiocatori appartengano alla comunità Lgbtq+ è cosa nota ormai da tempo. L’altra cosa notada altrettanto tempo è che questa percentuale non trova nessuna corrispondenza nei videogiochi: soltanto il 2 per cento dei titoli console, infatti, ha nel suo cast almeno un personaggio Lgbtq+.

«Il numero di videogiocatori abituali appartenenti alla comunità Lgbtq+ è cresciuto del 10 rispetto al sondaggio Nielsen’s Games360 fatto nel 2020. […] I dati dimostrano che per questi gamer la questione dell’inclusività ha un’importanza che va oltre il videogioco in sé e per sé. Circa il 70 per cento di loro ha detto che è più difficile che acquistino un titolo prodotto da uno studio che discrimini i lavoratori Lgbtq+». Secondo il sondaggio GLAAD, il 72 per cento dei gamer intervistati ha detto di che la presenza di personaggi Lgbtq+ in un videogioco «li fa sentire meglio», più accettati e compresi. Una percentuale che sale al 78 per cento nella fascia demografica che va dai 13 ai 17 anni.

La questione dell’inclusività e della rappresentatività dei videogiochi è antica, ormai. Che la comunità gamer abbia diversi problemi ad accettare personaggi (e persone) appartenenti a minoranze è un fatto tristemente noto: non è un caso che a dieci anni di distanza dall’inizio del Gamergate, ancora si pubblichino articoli per spiegare che no, passi avanti non se ne sono fatti poi tanti. E questo sondaggio GLAAD è solo un’altra conferma.

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