Hype ↓

Toshio Suzuki, l’uomo che inventò lo Studio Ghibli

I geni dello Studio Ghibli, appena uscito per Dynit Manga, è un "diario" del produttore che, assieme a Hayao Miyazaki e Isao Takahata, ha cambiato per sempre la storia dell'animazione giapponese e mondiale.

04 Luglio 2023

Prima di lavorare nello Studio Ghibli, Toshio Suzuki ha fatto il giornalista. È stato il primo responsabile della rivista Animage, una delle più importanti del Giappone, e ha intercettato un tema che, fino a quel momento, nessun altro aveva intercettato. Ha aiutato a creare un certo tipo di giornalismo e di approfondimenti; ha lottato contro i pregiudizi e i luoghi comuni (sua madre diceva ai vicini che frequentava ancora l’università pur di non ammettere di avere un giornalista in famiglia). Quando ha chiuso il primo numero Animage, si è sentito un miracolato. Non sapeva niente di animazione, eppure ci era riuscito. Incredibile. Mentre metteva insieme gli articoli, le interviste e le foto ha incontrato Hayao Miyazaki e Isao Takahata. Due tipi strani, come li ricorda nei Geni dello Studio Ghibli, pubblicato da Dynit, ma palesemente eccezionali. In qualcosa si somigliavano, dice Suzuki, e in qualcos’altro si respingevano. Lavoravano insieme, e allo stesso tempo si evitavano.

Prima di diventare un film, Nausicaä è stato un manga, e a volere quel manga fu proprio Suzuki. Non conosceva il mondo della produzione, e così provò a imparare tutto quello che c’era da imparare da Takahata. Si trasformò nella sua ombra. Lo ascoltava, prendeva appunti, capiva. Era entrato nel cerchio magico degli animatori giapponesi, e stava provando a capire una realtà che, fino a poco prima, non aveva mai frequentato. È quello che fanno i più bravi: si adattano. Ma non si limitano a imitare: rubano, approfittano, rigirano. Sono venditori nati. Sono imprenditori di sé stessi. All’inizio, come racconta nel suo libro, Suzuki si divise tra Animage e Studio Ghibli. La mattina tra gli storyboard, e la sera tra gli articoli da chiudere. Un po’ tra quei pazzi che stavano per rivoluzionare l’animazione giapponese – pardon: l’animazione mondiale – e un po’ nella redazione di una rivista che stava ancora mettendo radici.

Suzuki aveva visto qualcosa che nessun altro era stato in grado di vedere; aveva intuito, stando semplicemente accanto a Miyazaki e a Takahata, come sarebbe stato il futuro. Era un giornalista, e quello che aveva era una visione editoriale. I produttori in Giappone non sono solo gli investitori; sono anche quelli che si fanno venire le idee per portare a compimento un film, per la promozione, per coinvolgere brand e aziende. E Suzuki, in questo, è sempre stato un fuoriclasse. Se un film ha avuto successo, è stato per una scelta che ha preso o per una che ha suggerito a qualcun altro di prendere. La cosa più interessante di I geni dello Studio Ghibli è proprio questa: vedere in che modo, negli anni, Suzuki si è mosso. Quando ha lasciato il suo lavoro da giornalista e si è dedicato totalmente allo Studio Ghibli. Quando, in qualche modo, convinceva Miyazaki a calmarsi. Le decine di contatti che è stato in grado di mettere insieme e di organizzare.

Se Miyazaki e Takahata sono stati i due condottieri dello Studio Ghibli, i suoi eroi, Suzuki è stato il generale: spesso nelle retrovie, nascosto, mai in primo piano, ma consapevole di tutto quello che stava succedendo. Ha capito perfettamente con chi aveva a che fare. Non esagerava, non arrivava alla rottura; si fermava esattamente un minuto prima. Non era un manipolatore, era uno che sapeva ascoltare. Guardava una stanza e vedeva le persone che la popolavano. Suzuki ha decifrato il carattere di Miyazaki e ha accettato quello di Takahata. Ha visto nel primo un lavorato instancabile, e nel secondo un perfezionista ozioso. Ha coinvolto talenti, doppiatori, cantanti e capitani di industria. Ha sempre avuto l’idea giusta al momento giusto. Quando, per esempio, era necessario fare spazio ai nuovi talenti. Oppure quando, insieme a Miyazaki, ha capito l’importanza di dare un contratto a tempo indeterminato agli animatori, in modo da poterli formare e da averli sempre pronti, a disposizione. O quando per primo ha dato una possibilità a Gorō, figlio di Hayao, dicendogli di costruire il Museo Ghibli (in realtà, prima si è assicurato di avere il consenso e l’appoggio di Miyazaki senior, e solo in un secondo momento è andato avanti).

Nei Geni dello Studio Ghibli Suzuki non si risparmia sui retroscena e sulle curiosità; non nasconde i fallimenti che ha dovuto sopportare, e le sfide che ha imparato a superare. Non gira intorno alla mancata conclusione di Una tomba per le lucciole, al travagliatissimo sviluppo di Pioggia di ricordi o alla genesi incredibile, e abbastanza impensabile, de La città incantata. Non nasconde nemmeno la sorpresa – sua, di Miyazaki e del resto dello Studio – per la vittoria dell’Oscar per il miglior film di animazione. Suzuki è un giapponese estremamente pratico, modernissimo, disposto a sperimentare e a studiare. In questo libro, che è più un saggio che un diario, riesce a ricostruire, anche non volendo, lo stato dell’industria cinematografica giapponese. Per esempio, ammette candidamente che dopo il successo de La città incantata e dopo l’arrivo dei multisala era vitale per tutti non ripetere risultati del genere: perché altri film non avrebbero avuto la loro possibilità di essere programmati e la produzione nazionale avrebbe rischiato di ristagnare.

Parla dell’accordo con Disney, primo distributore americano dei film Ghibli, come di una cosa normalissima. Il successo internazionale, spiega, è arrivato con Principessa Mononoke, un film d’azione. Il mercato europeo e americano si aspettavano più Giappone, e così Il castello errante di Howl ha preso tutti in contropiede. L’incontro con Ursula Le Guin, per I racconti di Terramare, fu vivace e per niente prevedibile. Per promuovere Kiki – Consegne a domicilio, Suzuki non esitò a coinvolgere sua figlia e le sue amiche per lo sviluppo di uno speciale televisivo: giocheranno a fare le streghe. E per Porco Rosso, invece? L’idea iniziale era quella di fare un cortometraggio per la Japan Airlines, ma poi lo storyboard diventò più lungo, Miyazaki si fece prendere la mano e arrivò a un film di sessanta minuti. E allora? Suzuki non si fermò; decise di rilanciare. Japan Airlines rimase a bordo dell’operazione, e questo nonostante la scelta di un protagonista con la faccia di un maiale.

La caratteristica più importante di Suzuki non è mai stata la sua diplomazia. E nemmeno la visionarietà. Questa ce l’aveva, e continua ad averla. Guardate quello che sta facendo, ora, con How do you live?: nessuna promozione, nessun poster; nessun trailer. Niente. In un’epoca in cui tutti vogliono apparire, in cui sappiamo per filo e per segno la trama di qualunque film prima ancora della sua uscita, lui è andato nella direzione opposta. No, la sua caratteristica più importante è sempre stata un’altra, e cioè la capacità di riconoscere negli altri il talento e di capire immediatamente come fare per valorizzarlo. Da Nausicaä a Si alza il vento e La storia della principessa splendente, c’è sempre un pezzettino di Suzuki. Del suo modo di condurre gli incontri e di far scivolare tra le persone, con nonchalance, le sue idee. È stato lui, per dire, a suggerire Hideaki Anno per doppiare Jiro, il protagonista di Si alza il vento. Ed è stato sempre lui a far andare bene a Joe Hisaishi, storico compositore e collaboratore dello Studio, la canzone composta per Ponyo.

Ecco, I geni dello Studio Ghibli funziona come come una mappa. E se da una parte ci sono i film – alcuni dei quali, in questi giorni, stanno per tornare al cinema con Lucky Red e la rassegna Un mondo di sogni animati – dall’altra ci sono le persone. L’animazione, dopotutto, è un mestiere di gruppo, che parte dal singolo ma che poi si allarga agli altri. E questo Toshio Suzuki l’ha sempre saputo. Non ha mai sottovalutato il pubblico (quando si cominciò a pubblicizzare Principessa Mononoke, non si tirò indietro davanti alla decisione di parlare di morte nel trailer; in questo modo, disse, le persone verranno preparate). E non ha mai esitato ad affidarsi e a fidarsi di Miyazaki e Takahata. Nel primo ha trovato un amico e un punto di riferimento; nel secondo una sfida e un maestro. Se oggi possiamo godere dei classici dello Studio Ghibli, è anche, e forse soprattutto, per merito suo. Toshio Suzuki è stato – e per certi versi è ancora, con la sua voglia di trovare un erede per lo Studio Ghibli – uno degli ingranaggi fondamentali di una delle realtà più ricche, prolifiche e artisticamente avanzate dell’animazione giapponese.

Leggi anche ↓
di Studio
I libri del mese

Cosa abbiamo letto a marzo in redazione.

È il momento perfetto per guardare On Your Mark, l’unico video musicale mai realizzato dallo Studio Ghibli

Disegnato da Hayao Miyazaki in persona, nel 1995. Tutto a mano, ovviamente, come il vero stile Ghibli vuole.

Di Pino Daniele c’è ancora molto da scoprire

Arriva oggi nelle sale Pino, racconto della vita, delle opere, della famiglia e della leggenda di Pino Daniele. Ne abbiamo parlato con il regista, Francesco Lettieri.

Il meraviglioso mondo di Joel Meyerowitz

Abbiamo parlato con il maestro della street photography di A Sense of Wonder, la mostra a Brescia che fino al 24 agosto ospita più di 90 immagini a colori scattate tra il 1962 e il 2022.

Con La città proibita, Gabriele Mainetti si conferma il freak del cinema italiano

Dopo il successo di Lo chiamavano Jeeg Robot e il flop di Freaks Out, il regista romano torna con un altro film, anche questo di genere, anche questo costosissimo, anche questo folle per gli standard del nostro cinema.

La controrivoluzione di Lucio Corsi

Volevo essere un duro, l'album dello Starman di Sanremo, è stato accolto con un entusiasmo che dice tanto di lui, del suo talento di musicista e scrittore. Ma anche dello stato della musica italiana e, soprattutto, di noi.