Intervista a Carlos Moreno, l'urbanista franco-colombiano che ha teorizzato il concetto di Human Smart City e la necessità di creare quartieri in cui tutto sia a portata di mano.
Il fotografo della contestata campagna di Balenciaga ha paura di non trovare più lavoro
Gabriele Galimberti è un fotografo documentarista noto soprattutto per il suo lavoro con National Geographic e per serie come Toy Stories, in cui ritraeva bambini e bambine nelle loro camerette, circondati dagli oggetti della loro vita quotidiana (soprattutto giocattoli, ovviamente). A essere precisi, questo (incompleto) riassunto della carriera di Galimberti valeva fino al lancio dell’ultima, criticatissima e ritiratissima, campagna pubblicitaria di Balenciaga, scattata proprio da Galimberti e in parte ispirata anche dal suo Toy Stories. Dal momento in cui la campagna Balenciaga è stata lanciata, Galimberti è diventato l’autore delle fotografie che hanno scatenato un nuovo satanic panic: in quelle foto, dicono gli scandalizzati che hanno portato alla quasi immediata rimozione delle stesse, si fa propaganda pe il demonio e si incita alla pedofilia.
Prima di quella per Balenciaga, Galimberti non aveva mai scattato una campagna pubblicitaria. Ovviamente, prima che tutto venisse spazzato via dalla shitstorm, il fotografo era entusiasta di lavorare con uno dei brand più noti e influenti al mondo (anche perché ha raccontato che l’offerta di Balenciaga era «venti volte più alta» rispetto a quelle che riceve di solito). Ora di quell’entusiasmo restano le «migliaia» di minacce di morte ricevute a causa di quelle foto di bambini che stringono orsacchiotti Bdsm. E, come se non bastasse il ciclo continuo di minacce ricevute attraverso ogni mezzo di comunicazione moderno e antico, Galimberti ha raccontato, in un’intervista a PetaPixel, di aver perso in queste settimane diverse opportunità di lavoro a causa del suo coinvolgimento nella campagna Balenciaga. La paura di Galimberti è di non trovare mai più nessun lavoro. È la cosa che lo spaventa di più, molto più delle minacce di morte o della diffusione di suoi dati sensibili (il suo numero di telefono è stato pubblicato su Twitter) sui social. Nelle ultime settimane, racconta in questa intervista, National Geographic gli ha comunicato la cancellazione di un suo reportage, una mostra a lui dedicata è stata annullata e tre clienti gli hanno fatto sapere che non hanno più nessuna intenzione di comprare sue stampe alle quali fino a poco tempo fa si erano detti interessatissimi.
Nel racconto di Galimberti, lui si è limitato a lavorare sulle luci e scattare le foto, tutto il resto è stato deciso da altri. Il fotografo ha detto di aver prima mandato a Balenciaga delle foto di prova con protagonisti dei manichini, poi «in un paio d’ore» le foto hanno ricevuto l’approvazione, sul set sono arrivati i bambini accompagnati dai genitori, dopo cinque minuti lo shooting era finito e lui in cammino verso casa. Gli orsacchiotti dello scandalo non li aveva nemmeno mai visti prima di cominciare a scattare e, una volta visti, ha pensato fossero ispirati dal punk e non dal Bdsm. Il suo errore, dice Galimberti, è stato fidarsi delle «altre 25 persone presenti sul set», più esperte di lui in materia di moda. Tornando indietro nel tempo, ammette Galimberti, sapendo tutto quello che sa ora, forse deciderebbe di non accettare l’offerta di Balenciaga.