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Opera casual

Attacco all'abito da sera: l'English National Opera chiama Terry Gilliam e Damon Albarn per svecchiarsi e introdurre in platea l'informale.

09 Ottobre 2012

In un caldo pomeriggio di settembre, sul lato sinistro della Scala, un gruppo di donne aspetta in fila indiana. Nessuna ha le sembianze di una giovane ballerina desiderosa di un autografo dell’etoile russa, la Zakharova. Nessuna freme in attesa di incontrare Roberto Bolle dopo averlo visto giustificarsi per un tweet maldestro alle Invasioni Barbariche. Più facile, invece, notare che fra di loro vi sono giovani badanti moldave, studentesse del conservatorio e grappoli di giapponesi con sacchetti di Céline che strisciano a terra. La coda è per i posti in piccionaia, quelli che per una decina di euro assicurano una visione decorosa di classiconi come Giselle o il Barbiere di Siviglia. Per ottenerli si ha d’attendere e sperare a qualcuno che rinunci alla prenotazione, oltre alla manciata di biglietti last minute quasi sempre disponibili.

Queste persone spesso entrano alla Scala così come hanno aspettato di avere i biglietti: un tocco di eyeliner nel bar vicino, uno strategico cambio di scarpe (se davvero necessario) e poi uno chignon (acconciatura a tema) che risulta salvifico. In qualche modo il loro abbigliamento è giustificato: la buona riuscita della coda last minute non era assicurata. Chi sbandiera il suo abbonamento under 30 o quello al palchetto di famiglia invece sa che l’abito della domenica trova ancora un senso solo qui, in una serata non mondana e quindi mondanissima. Eppure, finite le riprese del tg regionale che inquadrano velluti neri e pochette ricamate la sera della Prima che apre la stagione, il buon vestito va in sordina. Abbonamento o no, le mise per le serate dalle otto alle undici rasentano look da riunioni formali, nulla di più.

Se in Italia l’Opera non fa più paura a nessuno, in Inghilterra l’osservanza al tie e al long dress in sede di Traviata o Lago dei Cigni è ancora un problema. Il pubblico si allontana dall’Opera perché questa è troppo austera non nel libretto quanto nell’outfit richiesto. Per questo la English National Opera ha chiesto aiuto a due anti-tie di generazione diversa e due miscredenti della Britannia stile James Bond: con una campagna che vuole infrangere il mito dell’abito da sera per Lei e Lui a favore di sneaker, jeans e polo. Balconata, platea o piccionaia non importa: in un programma di democratizzazione della Musica Classica l’ENO ha chiesto l’intervento poco ironico, e molto pratico, di due “mangia borghesi” quali Terry Gilliam e Damon Albarn per dire la loro e riavvicinare un pubblico senza limiti di età e portafogli.

La strana coppia, chiamata a manifestare per un teatro più confortevole, non si è lasciata pregare e ha sciorinato definizioni non proprio edificanti sullo stato degli avventori dell’English National Opera, dove la parola “borghese” smussava dichiarazioni piccate. Come «I thougt opera was for a punch of old fart – the bourgeoise in dinner jackets» proclamata dall’americano in (eterna) vacanza a Londra Terry Gilliam che non vedeva l’ora di dissacrare bombetta e dinner jacket dai tempi delle vignette sui funzionari del Flying Circus e che, schiavo delle camicie batik, ora si auto legittima a indossarle anche all’English National Opera. Chissà se anche il giorno del suo debutto in cartellone (nel 2014 sempre all’Eno) le indosserà. In scena vada qualunque mattanza o dramma, infinite ore di clarinetto e trombone, l’importante è che Pony e bomber in pelle mettano a proprio agio Damon Albarn anche lui volto e voce del j’accuse di “poca democrazia” mosso al tempio dell’Opera inglese.  Autore di quell’ondata di britannicissimo sportswear che a tutt’oggi risulta credibile, Albarn ha schernito il completo sartoriale a partire dal primo successo coi Blur, Girls and Boys, dove un english man rischiava di abbandonare l’ombrello e scorrazzare sul dorso di un maiale. Ora guarda con un largo sorriso il direttore artistico dell’Eno, John Berry e incita a indossare «shorts, armour, jeans, pumps, anything!» in risposta all’etichetta.

Il clima di euforia per il giorno di festa – senza abito della festa – lo rovina il giornalista Rubert Myers, che sulle pagine del Guardian elenca le motivazioni per cui la “guerra al formale” sia inutile, se non addirittura controproducente. La sua arringa diventa inattaccabile quando coglie il punto più semplice della questione: se allo stadio i tifosi indossano la maglia dell’attaccante, all’Opera il pubblico indossa (o ci prova) la stessa divisa del direttore d’orchestra. Risultato: l’abito formale è solidale, altro che fiore all’occhiello del teatro d’élite. John Barry si appoggia a Damon Albarn per far passare il messaggio di abbigliamento “spontaneo e libero” tipico dei  club da indossare anche all’Opera. Anche se per entrare all’Opera basta sempre e comunque avere un biglietto, mentre nei club londinesi (e non solo lì) continua il giochino un tantino ridicolo basato sullo stile , quella selezione alla porta molto meno democratica di una dinner jacket.

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